REFERENDUM, LE RAGIONI DEL SI' E DEL NO
Data: Domenica, 11 giugno 2006 ore 09:15:05 CEST
Argomento: Comunicati


  Le ragioni del sì e del no

 
 di  Paola Sacchi

10/6/2006 
 

In ballo non c'è solo la devoluzione cara a Bossi. C'è anche la più profonda riforma istituzionale nella storia della Repubblica, con un premier più forte, meno parlamentari, differenti compiti tra Camera e Senato. Per alcuni è un toccasana, per altri un azzardo. Ma tra le due posizioni c'è spazio per il dialogo »Grafici


 
In ballo c'è un nuovo modo di funzionare dello Stato e del governo. Ma a meno di 20 giorni dal voto del 25 e 26 giugno, la devoluzione appare ancora come quell'oscuro oggetto del referendum. La scarsa conoscenza dei contenuti della posta in gioco è allarmante. Oltre il 60 per cento di quanti intendono recarsi alle urne (circa il 60 per cento) non sa ancora se votare sì o no, proprio perché ha poche e confuse informazioni sulla riforma della seconda parte della Costituzione varata dalla maggioranza del governo di Silvio Berlusconi.

A indicarlo è il sondaggio commissionato da Panorama all'istituto Simulation Intelligence Sìmera, che ha interpellato tra il 5 e il 6 giugno un campione rappresentativo di 800 aventi diritti al voto. Insomma, fatte le proiezioni sull'intero corpo elettorale, 26 milioni di italiani non hanno ancora deciso come comportarsi nell'urna. Fra quanti invece hanno già deciso prevalgono i no (28,6 per cento) sul sì (10,5). E fra chi ha deciso come votare anche al Nord il no è in vantaggio.

Ma sarà quella enorme nebulosa di indecisi a stabilire le sorti della devoluzione. Che in realtà, accanto alle competenze affidate dallo Stato alle regioni, soprattutto in materia di sanità, scuola e polizia locale (da cui il nome del pacchetto), contiene anche significativi cambiamenti sulla forma di governo. Per esempio: elezione diretta del premier, che ha anche il potere di nominare e revocare i ministri; clausole che rendono impossibili cambiamenti di maggioranza; riduzione (ma dal 2016) dei deputati da 630 a 518 e dei senatori da 315 a 252; abbassamento a 21 e 25 anni dell'età minima per essere eletti rispettivamente a Camera e Senato, che acquistano anche funzioni diverse. Le novità che secondo il sondaggio suscitano maggiori consensi sono la riduzione del numero dei parlamentari (l'80 per cento), seguita dai più ampi poteri alle regioni (69) e dalla distinzione di funzioni tra i due rami del Parlamento (54).

Intanto la riforma è oggetto di uno scontro tra politici e costituzionalisti. Un punto in particolare è al centro del dibattito: posto che le istituzioni hanno comunque bisogno di una revisione, e su questo concordano quasi tutti i partiti, sarà più facile procedere se vinceranno i no o i sì?

Il ministro delle Riforme Vannino Chiti
Paradossalmente è Carlo Fusaro, docente di diritto costituzionale all'Università di Firenze, considerato vicino ai Ds, a mettere in guardia dalla possibilità di migliorare la riforma se vincesse il no. «Il centrosinistra già da ora non ha una strategia condivisa. Quindi, se vincesse il no, l'Unione avrebbe ancora meno forza per riaprire un dialogo con l'opposizione.
A quel punto prenderebbe il sopravvento l'ala radicale capeggiata da Rifondazione che non vuole in alcun modo ritoccare la seconda parte della Costituzione». Ecco dove i cambiamenti previsti dalla riforma della Cdl, secondo Fusaro, sono positivi: «Il Senato, per esempio, non darebbe più la fiducia al governo. Verrebbe eliminato alla radice il problema delle maggioranze disomogenee nei due rami del Parlamento».

Il docente di diritto costituzionale alla Statale di Milano Nicolò Zanon, che si definisce «un conservatore liberale senza tessere di partito», è categorico: «La vittoria del no sarebbe la pietra tombale di qualsiasi ipotesi di riforma. Riconosco che quella della Cdl contiene anche difetti, come per esempio quello di non giungere ancora a un vero federalismo: sono più le cose che tornano allo Stato che quelle che vanno alle regioni».
Ma secondo Zanon in ballo c'è soprattutto il rischio che il no sancisca una pregiudiziale nei confronti del centrodestra, insomma una sorta di fattore K rovesciato: «Se passasse il no, una parte decisiva dell'Italia sarebbe ancora una volta esclusa e vincerebbe quella scuola di pensiero per la quale la Costituzione la debbano riscrivere solo il centrosinistra e non partiti come Forza Italia o Lega che rappresentano le istanze nuove, a cominciare da quelle del Nord».

PERCHÈ APPROVARLA
In pillole, gli argomenti più efficaci messi in campo dagli esperti dei due schieramenti
1) Le regioni decidono su scuola, sanità, polizia locale. Più efficienza e meno sprechi.
2) Lo Stato torna a occuparsi di energia e infrastrutture. Niente più casi come il blocco dell'alta velocità.
3) Parlamento più snello, giovane ed efficiente: 20 per cento di parlamentari in meno ed età più bassa per essere eletti.
4) Camera e Senato non si sovrapporranno più. Alla Camera materie statali, al Senato quelle regionali.
5) Vietati i ribaltoni. Il premier avrà più poteri e se la maggioranza va in crisi si torna a votare.

PERCHÈ RESPINGERLA
1) Si spacca il Paese in 20 sistemi sanitari e scolastici diversi con il rischio di diseguaglianze tra Nord e Sud.
2) Non è vero federalismo ma rischio di blocco delle decisioni per i conflitti tra Stato e regioni.
3) Il Senato non è realmente federale e ha il potere di veto su moltissime leggi di competenza della Camera.
4) La riduzione dei parlamentari avverrebbe solo nel 2016.
5) Non è vero che il premier è più forte. Può anche essere sostituito, seppur sempre dalla sua stessa maggioranza.






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