Bonanni:” Vogliamo il Ponte. Il ministro Bianchi ha sbagliato” E sulla Biagi la conferma che va corretta per dare risposte ai precari
Data: Sabato, 20 maggio 2006 ore 13:56:10 CEST
Argomento: Recensioni


Palermo 20.5.2006.  Quello di ieri, è stato il suo primo intervento nell'Isola da capo della Cisl italiana. Ad accoglierlo, tra gli altri, oltre 200 componenti del parlamentino regionale del sindacato. Ma, per Raffaele Bonanni, che nel passato proprio in Sicilia ha guidato per anni i cislini, è stata soprattutto l'occasione per lanciare al governo Prodi "un segnale forte per il Sud. In primo luogo col fisco di vantaggio". Una questione sottolineata pure da Paolo Mezzio, numero uno del sindacato siciliano: "Chiediamo la ripresa della politica degli incentivi mirati, dal fisco compensativo al credito d'imposta alla programmazione negoziata a una nuova politica dei collegamenti e della programmazione dei fondi strutturali".

Poi, il life-motiv del Ponte, trasformato dallo stesso Bonanni che s'è detto "favorevole" a realizzarlo, in un vecchio adagio tra l'uovo (il ponte) o la gallina (strade, ferrovie, autostrade).

Segretario Bonanni, il neo ministro dei Trasporti Bianchi non ha dubbi: no al Ponte sullo Stretto di Messina.

"Noi siamo favorevoli alla realizzazione del Ponte. E' stata una gaffe, invece, l'affermazione del ministro Bianchi senza capire, tra l'altro, i danni che fa tant'è che le azioni della società Impregilo sono crollate. Un fatto molto pesante. Ma al di là di questo e della cautela che farebbe bene ad avere, spererei che il ministro dicesse, allo stesso tempo, no al Ponte e impegnarsi a realizzare il raddoppio delle linee ferrate, più autostrade, più porti, interporti e autostrade del mare, in modo da potenziare la malconcia rete dei trasporti nel meridione d'Italia. Tuttavia, sono convinto che se si realizza il Ponte si fanno, gioco forza, le altre opere; qualcuno, invece, sostiene che l'uovo forse viene prima della gallina. Certo è che senza uovo e senza gallina mi sembra eccessivo".

La Uil ha posto in secondo piano l'unità sindacale, rispetto alla non abrogazione della legge Biagi.

"Mi pare una tempesta in un bicchier d'acqua, anche perché il nuovo governo dice di non abrogarla. Anzi il governo dice che le cose buone vanno conservate e le non buone dimesse. La stessa posizione è della Cisl. Tuttavia, vedremo nel confronto. Per evitare la tempesta in un bicchier d'acqua, invece, il vero problema è affrontare la precarietà nel lavoro che ha poca attinenza con la 'Biagi' e con la 'Treu'. In altre parole, la precarietà nasce da una mancanza di tutele in quanto non tutti i lavoratori hanno la stessa previdenza, formazione, indennità di malattia e di maternità, in sostanza gli stessi diritti. Solo un terzo. li hanno. Quindi, il problema oggi è dire agli artigiani, commercianti, imprenditori di pagare più contributi per allestire le tutele che toglieranno dalla precarietà quei lavoratori flessibili e atipici. Questo è il punto. Poi, quando il governo Prodi promette la riduzione di cinque punti del cuneo fiscale. che vuol dire trovare 10 miliardi di euro si può, in questo caso, fare uno scambio: si aiuta a sostenere l'alzamento dei contributi ai fini delle tutele e le aziende ottengono un defalco forte di tassazioni".

Cosa porterete sul tavolo del governo Prodi?

"Le priorità che la Cisl porterà al nuovo governo riguardano lo sviluppo e i provvedimenti forti che possono favorirlo. Uno sviluppo che passa attraverso il sostegno all'innovazione e alla ricerca, ma soprattutto attraverso il sostegno al meridione dove c'è un patrimonio umano altamente scolarizzato e zone sgombre che possono essere utilizzate per lo sviluppo nazionale. Ma per tutto ciò, servono risorse".

Si parla anche di tagli allo stato sociale.

"Ribadiamo la nostra contrarietà ai tagli allo stato sociale. Siamo invece favorevoli, anzi lo chiediamo, a tassare le rendite finanziarie. Ciò serve per recuperare le risorse necessarie a sostenere quelle che per noi sono le priorità per lo sviluppo. Tutto questo va fatto, naturalmente, attraverso la concertazione".

Gaetano Mineo

 

prime tensioni nel governo  

 

 

Roma.  Il Ponte sullo Stretto alimenta la prima polemica sulle competenze tra le Infrastrutture e i Trasporti, con il ministro dell'Ambiente che non si tira indietro e dice la sua sul destino della grande opera. Così, dopo tre giorni di polemiche, il nuovo ministro delle Infrastrutture non esita a bacchettare il collega ai Trasporti: su questi temi, dice, «non si decide alla buvette». Di Pietro mantiene la posizione e continua a ripetere: «il riparto delle competenze ad oggi non può dirsi ancora attuato nei dettagli». «Spiegheremo al ministro dei Trasporti - aggiunge - che è bene che tutti i ministri si confrontino. C'è un governo e ci sono le commissioni. Insieme valuteremo, previa una disamina dei fondi in cassa, delle priorità del Paese e dell'impatto ambientale delle varie opere, le infrastrutture da realizzare».

Bianchi, invece, non lesina anticipazioni su ognuno dei temi che sarà oggetto delle diverse deleghe: non solo sul Ponte sullo Stretto, su cui ha reso nota la sua posizione un minuto dopo il suo insediamento, ma anche sulla Tav: «Pur salvaguardando la compatibilità sociale e ambientale dell'opera - ha detto - l'Italia non può rinunciare a essere parte della rete infrastrutturale europea». Bianchi ha anche annunciato che nei primi giorni di giugno aprirà un dossier sull'operazione Autostrade-Abertis. Il neoministro ha aggiunto che la competenza sulle concessioni autostradali è relativa al suo dicastero. «Se si tratta di costruire un pezzo di autostrada - ha precisato - la competenza è delle Infrastrutture, ma se si tratta di gestire la rete, spetta a me».

«Il Ponte sullo Stretto non si farà. Non è una priorità per il governo» assicura a sua volta il ministro dell'Ambiente, Pecoraro Scanio, che ha dalla sua anche il giudizio di Fassino secondo il quale «ci sono altre priorità che premono. Penso all' ammodernamento di tutta la rete ferroviaria; penso ad un forte investimento sulla portualità; penso ad una politica che sfrutti la navigazione del mare. Queste sono le esigenze prioritarie».

Spiega infine Aurelio Misiti, deputato di Italia dei Valori con una lunga esperienza nel settore: «il Ministro Bianchi e il capo del partito Diliberto hanno riportato in maniera distorta il contenuto del programma dell' Unione sul Ponte. Il programma afferma semplicemente la non priorità dell' opera e non la sua negazione».

E lunedì, al ministero delle Infrastrutture guidato da Antonio Di Pietro, è previsto infatti un summit con all'ordine del giorno il Ponte. Proprio la prospettiva che l'opera non sia realizzata ha spinto alcune delle banche finanziatrici a lanciare segnali precisi per chiedere risarcimenti adeguati.

Per l'opera da 3,9 miliardi è stata indetta una gara internazionale, vinta da un consorzio capitanato dal gruppo Impregilo. E proprio il contratto con la cordata vincente sarà all'esame del summit del dicastero. Le eventuali penali previste e i costi sostenuti dal consorzio devono essere valutati e quantificati. L'esame delle oltre 50 mila pagine del contratto si presenta impegnativo e ricco di questioni controverse.

Il collegamento sullo Stretto rilancerebbe la Sicilia, il no la conferma «colonia»
Lo sviluppo buttato giù dal Ponte

Prodi dice: nessun'opera se non ci sono i soldi. Ma in questo caso lo Stato non spenderebbe nulla
il caso. Dopo il no di Bianchi ieri Fassino, in Sicilia, ha affermato che il Ponte sullo Stretto non è tra le priorità. Ma quest'opera rilancerebbe turismo e impresa, e bloccarla è confermare la Sicilia «colonia». Prodi ha detto che non si realizzerà nulla se non ci sono i soldi, ma il Ponte non costerebbe nulla allo Stato.

il caso. Dopo il no di Bianchi ieri Fassino, in Sicilia, ha affermato che il Ponte sullo Stretto non è tra le priorità. Ma quest'opera rilancerebbe turismo e impresa, e bloccarla è confermare la Sicilia «colonia». Prodi ha detto che non si realizzerà nulla se non ci sono i soldi, ma il Ponte non costerebbe nulla allo Stato.

infrastrutture
Quella Sicilia che schiaffeggia se stessa
Contro il Ponte la parte ricca del Paese ma anche, da noi, l'incapacità di alcuni di difendere i propri interessi

Tony Zermo
Catania 21.5.2006. Ci sforziamo di comprendere le ragioni di chi non vuole il Ponte sullo Stretto, ma onestamente non ci riusciamo. Sarà colpa nostra? Dicono: è un'opera faraonica, inutile e costosa. Invece è stato dimostrato e varie volte ripetuto che allo Stato non costa nulla e che non toglie risorse a nessuna opera pubblica per il semplice fatto che la società «Stretto di Messina» sull'importo d'asta di 3,9 miliardi ha in cassa di suo 2,5 miliardi e il resto lo troverà sul mercato finanziario in cambio dei pedaggi. Abbiamo aggiunto che alla fine lo Stato ci guadagnerà perché la «vita» del Ponte è prevista in due secoli e siccome dopo 30 o 50 anni l'opera tornerà allo Stato si potrà riaffittare. Prodi dice: non inizieremo opere per le quali non ci sono i soldi. Ma nessuno chiede soldi per il Ponte. Purtroppo la società «Stretto di Messina» non è riuscita a comunicare il concetto all'opinione pubblica, magari facendo pubblicità sui grandi mezzi di comunicazione.
Dicono ancora: il Ponte non è prioritario perché è come mettersi una giacca di cachemire senza avere sotto nemmeno la camicia. La risposta è facile: mettendoci la giacca sarà necessario anche cucire la camicia. Il governo Berlusconi aveva previsto nel suo programma che il Ponte e il riassetto del sistema ferroviario siculo-calabro marciassero di pari passo, «contestualmente», per cui fra 7-8 anni sarebbe stato possibile che i treni dell'alta velocità arrivassero in Sicilia, realizzando anche la parte finale del «corridoio 1 Berlino-Palermo». Qualcuno sostiene che Berlusconi è stato scorretto per il fatto che l'appalto è stato assegnato in campagna elettorale. Ma l'iter dura da 35 anni e se fosse stato veramente scorretto avrebbe messo la prima pietra una settimana prima del voto, anche a costo di far pagare allo Stato i danni alla Impregilo.
Ora non si capisce perché il governo Prodi rovesci le priorità e dica: prima le ferrovie, quando potremo farle. E l'Unione cosa risponderà all'Unione europea, che il Ponte è rimandato a non si sa quando? E cosa dirà alla società «Stretto di Messina» che per legge del 1971 ha il compito di realizzare il Ponte? E cosa dirà alla Impregilo e alle imprese della stessa cordata che hanno vinto l'appalto e che hanno già subito pesanti perdite in Borsa per la posizione del nuovo governo?
Per fortuna una cosa positiva: nessuno afferma più che il Ponte è irrealizzabile e che sfascia le coste perché sarebbe una eresia davanti ai tanti ponti costruiti nel mondo. L'obiezione è solo: lo faremo «dopo» perché non ci sono i soldi. Ma essendo dimostrato che soldi non ne servono è una obiezione che non regge.
Abbiamo visto troppe volte la vergogna dell'imbarcadero di Villa San Giovanni, visto troppe volte le colonne di Tir per il centro di Messina, atteso in auto delle ore per traghettare nelle giornate di punta, da parte loro i treni impiegano un'ora e 45' con i traghetti che perdono 100 milioni di euro l'anno, mentre quelli privati si arricchiscono. E allora c'è da chiedersi: quelli che sono contro il Ponte hanno mai preso un treno che passi lo Stretto, hanno mai preso a Parigi o a Berlino oppure a Strasburgo i treni ad alta velocità da 300 all'ora che potrebbero portare comodamente i passeggeri in tre ore da Catania alla stazione Termini? Nessuno riuscirà a convincerci che questo giornale stia combattendo da anni una battaglia sbagliata.
La verità è un'altra: il Ponte cambierebbe il volto della Sicilia e rilancerebbe alla grande turismo e impresa, ma al nuovo governo di Roma sembra non interessi proprio nulla della Sicilia, non c'è nulla nel suo programma, siamo solo una colonia di 5 milioni di abitanti che ha avuto perdipiù il torto di votare a destra. E fin quando Rifondazione, Pdci e Verdi saranno al governo con diritto di veto per la Sicilia «politicamente scorretta» non ci sarà alcuna speranza. Questa verità amarissima trova come alibi le istanze degli ambientalisti che in nome della perenne intoccabilità del territorio e della romantica sicilitudine non sanno di fare il danno loro e dei loro figli che un giorno chiederanno: perché nel resto d'Europa si viaggia ad alta velocità e in Sicilia dobbiamo stare due ore sopra un traghetto e impiegare quasi un'intera giornata per arrivare a Roma?

Il Ponte sullo Stretto è «l'opera più inutile e dannosa che sia stata progetta in Italia negli ultimi cento anni, e dunque non si farà».

È stata questa, mercoledì scorso, la prima dichiarazione alla stampa del neoministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, interpellato al Quirinale al termine della cerimonia per il giuramento del nuovo governo Prodi.

Ed è stata appunto questa dichiarazione, ad un tempo, a stroncare le attese sull'opera e ad innescare una polemica, con la Cdl ad accusare il nuovo esecutivo di «voler bloccare lo sviluppo del Sud» negando «un'iniziativa epocale» foriera di «grandi vantaggi in particolare per calabresi e siciliani». Ma non solo: pure nel governo, da subìto, non tutti sono sembrati dello stesso avviso di Bianchi. In particolare il nuovo ministro delle Infrastrutture, Antonio di Pietro, ha «bacchettato» immediatamente il collega affermando che «l'eventuale decisione di abbandonare il progetto deve essere presa a livello collegiale, quindi in Consiglio dei ministri e in Parlamento». E il neo ministro per lo Sviluppo economico, Bersani, ha detto: «Se varrà la pena farlo, il Ponte si farà». Di Pietro ha poi più volte ribadito: «Sarà il governo, collegialmente, a valutare». Ma l'orientamento, si sa, è che prioritari, per il Sud, sono altri lavori, «secondo una logica di sistema - ha detto Prodi - e non privilegiando le grandi opere».

Quando la sinistra voleva fare il Ponte sullo Stretto
Nell'ottobre '97 il sì del Consiglio superiore dei Lavori pubblici

La società “ Stretto di Messina “ha una struttura finanziaria autosufficiente. Non Ha alcun senso parlare di “ priorità”

Catania 22.5.2006. Per favore, almeno non prendeteci in giro, non dateci collanine di vetro come i conquistadores facevano con gli indigeni. Perché quando Fassino e gli altri vengono a dirci che il Ponte non è una priorità, o non sanno quel che dicono o fanno i furbi. Che vuol dire in questo caso «priorità»? Vuol dire che se lo Stato deve spendere soldi per realizzare opere pubbliche deve cominciare con quelle più indispensabili delle altre. Solo che si trascura un piccolo particolare. Il Ponte ha una struttura finanziaria autosufficiente perché la società «Stretto di Messina» sui 3,9 miliardi del costo dell'opera ne ha la metà in cassa e il resto lo trova sui mercati finanziari in cambio dei pedaggi. Allora che senso ha parlare di priorità quando il Ponte non sottrae risorse ad alcuna opera? Siamo stanchi di ripetere questa semplice verità, ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Anche chi è favorevole al Ponte e protesta per questo contro il governo Prodi, invece di ricordare che la Sicilia sarebbe tagliata fuori dal «corridoio 1 Berlino-Palermo», che l'alta velocità si fermerà a Napoli e che senza il Ponte non arriverà mai in Sicilia - tutte cose verissime -, farebbe bene a dire solo: lo Stato non deve spendere un euro! Deve dire solo sì. E' così difficile da capire? Ed è così difficile per la società «Stretto di Messina» confermare ufficialmente che ha due miliardi in cassa?
Il segretario ds Fassino, peraltro politico intelligente, non può dire: «Abbiamo un grande piano di investimenti sulla portualità del Mezzogiorno e in Sicilia, un progetto molto più ambizioso che fare un ponte». Ma per piacere. La portualità va benissimo, ma che c'entra con il Ponte? E poi «non si tratta di fare un ponte», perché non è un ponte qualunque, ma il Ponte a una sola luce più lungo del mondo. Queste cose le deve sapere, e allora perché gioca a nascondino con i siciliani? Perchè non dice che i Bertinotti, i Pecoraro Scanio e i Diliberto, se solo si dicesse un mezzo sì al Ponte, sono capaci di far cadere il governo Prodi? E allora non ci vengano a gettare polvere negli occhi con la portualità e con le «autostrade del mare» quando ad esempio Catania e tutta la Sicilia orientale è collegata via nave solo con Napoli sul Tirreno e con Ravenna sull'Adriatico.
Il Ponte è un diritto sacrosanto della Sicilia, è una immensa opera tecnica che non è né di destra e né di sinistra. Anzi l'hanno promesso anche i governi di centrosinistra che ora fanno finta di dimenticarlo. Hanno chiesto di farlo i giapponesi (quelli che a Istanbul hanno realizzato il ponte sul Bosforo) e gli hanno detto di no, hanno chiesto di farlo gli americani, stessa risposta negativa. Ha ragione l'on. Raffaele Lombardo, fondatore del movimento per l'autonomia, quando dice che «affossando il Ponte, simbolo e volano di sviluppo, il teatrino romano ha messo in scena il programma che attende la Sicilia e il Sud, da mantenere come mercati di consumo passivo».
«Repubblica» ha pubblicato con obiettività quel che fece il governo di centrosinistra per il Ponte: ottobre '97: il Consiglio superiore dei lavori pubblici considera il progetto del Ponte idoneo a diventare definitivo; luglio '98: il progetto è trasmesso al Cipe per il parere definitivo; aprile 2001: il governo avvia le audizioni con diversi istituti finanziari e operatori specializzati. Poi, siccome lo voleva fare Berlusconi e Berlusconi ha perso, allora niente Ponte. Ma non è una posizione politicamente intelligente. Sarebbe stato più giusto dire: approfondiremo e poi decideremo. Anche perché, alla vigilia delle regionali, Rita Borsellino non meritava di essere colpita da «fuoco amico».
Tony Zermo

Oggi vertice Di Pietro-BianchiNessuna polemica. Di Pietro (Idv) e Bianchi (Pdci) hanno deciso di lavorare di comune accordo. Di Pietro ha convocato pe

Oggi vertice Di Pietro-BianchiNessuna polemica. Di Pietro (Idv) e Bianchi (Pdci) hanno deciso di lavorare di comune accordo. Di Pietro ha convocato per oggi un vertice al ministero delle Infrastrutture per fare il punto della situazione e vedere come costruire un percorso comune tra il ministero che a lui fa capo, e quello dei Trasporti, guidato da Bianchi: «Ho convocato questa riunione per fare un elenco delle priorità e studiare insieme le soluzioni migliori».
 

"La Gazzetta del Sud"
7 dicembre 2004

PERCHE' IO NON MARCIO CONTRO IL PONTE

Un paio di settimane fa una brava e coraggiosa combattente per la salvezza di animali in pericolo, Anna Giordano, che una quindicina di anni fa vinse con me il "Gabbiano D'Oro", massima onorificenza per i "paladini della natura", mi inviò di rimbalzo un messaggio di tale Calabrò Tiziana.
Non lo avrei letto, immaginandone il contenuto, se non me lo avesse inviato proprio Anna Giordano, che stimo molto, per quanto si oppose - era ancora una ragazza - alla strage dei rapaci che volavano sullo Stretto di Messina. Una battaglia coraggiosa contro una tradizionale superstizione ("se non uccido almeno un falco, sarai cornuto) che alla fine, Anna Giordano è riuscita a vincere.
Ho quindi letto il lungo papiro elettronico inviatomi, si trattava di un invito a partecipare a una marcia contro la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Niente di nuovo, in quel testo. E io mi sarei limitato a non rispondere se l'invito non mi fosse giunto, appunto, da Anna.
E così Le ho scritto una decina di righe per informarla di non aver alcuna intenzione ad unirmi "a chi si oppone al sempre maggiore, indispensabile progresso delle comunicazioni; e non si pone certo lo scopo di creare catastrofi ecologiche. Sarebbe bene che chi è in buona fede, ma miope, osservasse cosa e come si è costruito in gran parte del mondo (anche in paesi molto sensibili ai problemi dell'ambiente quali gli scandinavi e i giapponesi)".
Credevo d'essere stato chiaro, ma Anna - che è una ragazza di carattere, e anche questa è una dote -ha insistito raggiungendomi con una e-mail interminabile. Nella cui premessa, mi confessava di aver "giocoforza iniziato a dedicare energie e tempo per scongiurare lo scempio dello Stretto".
Seguivano alcune pagine (!) di riflessioni, misto di banalità e di buone motivazioni, di elementi reali, di altri immaginari.
Ho voluto risponderle, nel rispetto delle sue idee. Precisandole quanto sia stato necessario, nel cammino della civiltà, prendere decisioni che hanno comportato a volte problemi non indifferenti, ma di certo non tali da bloccare passi in avanti del progresso umano.
Anna mi aveva, tra l'altro, scritto d'opporsi al ponte "Perché non muoiano migliaia di uccelli impattando con il ponte quando il vento, la nebbia, la pioggia, la stanchezza impediscono loro di evitare un ostacolo". La qual cosa credo che valga per tutti i mille ponti del mondo, eppure di uccelli in cielo ne volano ancora molti. E se ne muoiono troppi, le cause sono altre.
Che dire, poi, delle balene che "sarebbero spaventate dall'ombra del ponte"? A parte la facile battuta che di notte e con tempo brutto non si creano ombre, l'obiezione è un'altra: sotto i grandi ponti sul mare del nord Europa, America e Asia, nessun ambientalista ha mai comunicato dati allarmanti su moria di cetacei a causa di un ponte (di cetacei ne muoiono molti, purtroppo; ma anche in questo caso, i motivi sono di tutt'altro genere).
Così, ho riacceso il computer e ho spedito una seconda risposta. E qui la trascrivo quasi per intero: "Cara Anna, non metto in dubbio la tua buona fede, ma non posso che ripeterti quanto ho già risposto. Sarebbe bello vivere nell'eden della preistoria? Non lo so.
Ti ricordo che i romani chiamavano Pontifex, il "costruttore di ponti", autorità massima dell'Impero.
Anche i primitivi hanno sentito la necessità di costruire ponti; ancor oggi ne costruiscono con liane e pali i pigmei della foresta equatoriale africana, per collegarsi con altri uomini, per conoscersi, per sopravvivere.
E' identica vicenda per tutti i popoli di tutte le culture, di tutte le età, il "costruire ponti", perché questo significa collegarsi, conoscersi, unirsi, progredire. Di conseguenza chi è contro un ponte, è contro l'idea più nobile del progresso: quella di creare un mondo nel quale si sia tutti "vicini".
Ti ricordo, per concludere, che nel Medio Evo gli oscurantisti tentavano di proibire la costruzione dei ponti, considerandoli "creature del diavolo". E minacciavano il taglio della testa e la perdita dell'anima, al primo che si fosse azzardato a violare quel tabù.
Nel pregarti di tentar di ragionare su tutto questo, mi auguro che tu non voglia, come gli stregoni del medio evo, condannandomi al taglio della testa, anche se io grido "Viva il Ponte di Messina"."
A quest'ultimo messaggio Anna non mi ha risposto. Forse è troppo impegnata a scrivere slogan da sbandierare domani. Le auguro una giornata di sole.

Folco Quilici

Folco Quilici è nato a Ferrara nel 1930 da Nello Quilici, storico e giornalista e Mimì Buzzacchi, pittrice.
Il nome di Folco Quilici si associa da tempo alla conoscenza del rapporto tra uomo e mare. Con film: "Sesto Continente" (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), "Ultimo Paradiso" (scritto con Ennio Flaiano, Orso d'Argento al Festival di Berlino del 1956), "Tikoyo e il suo pescecane" (scritto con Italo Calvino, Premio Unesco per la Cultura del 1961), "Oceano" (Premio Speciale Festival di Taormina del 1971) e "Fratello Mare". E' del 1991 il suo film di fiction a grande schermo tratto dal suo romanzo "Cacciatori di Navi" (presentato e premiato a Umbria Fiction nel 1992)
Nel campo dei medio e corto metraggi sono oltre trecento i film a carattere culturale da lui realizzati. Da ricordare due opere presentate fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: Gauguin (1957), L'angelo e la Sirena (1980) e la nomination all'Oscar nel 1971, per Toscana uno dei sedici film della serie Italia dal Cielo alla quale hanno collaborato - dal '64 al '79 - nomi di massimo prestigio della letteratura italiana come Calvino, Sciascia, Silone, Praz, Piovene, Comisso. Questi film sono stati trasferiti su DVD con un programma di perfetto restauro iniziato nel 2002 che si concluderà entro il 2005.
L'attività di Folco Quilici ha trovato vasto spazio nei programmi culturali della Televisione in Italia e all'estero: dal reportage Tre volti del deserto ('57) alle Serie in cooproduzioni europee come Alla scoperta dell'Africa ('64/'65), Malimba ('66), India ('66/'67), Islam ('68/'69), Alba dell'uomo ('70/'75), Mediterraneo ('71/'76), I mari dell'Uomo ('71/'74), L'Uomo Europeo ('76/'80) e molti altri titoli sino a Il rischio e l'obbedienza ('90/'92), Archivi del tempo ('88/'93), L'Avventura e la Scoperta ('90/'93), Viaggi nella Storia ('92/'93), Arcipelaghi ('93/'95).
Per i tredici film della Serie Mediterraneo e gli otto di Uomo Europeo Quilici ha avuto a fianco, uno dei maggiori storici del nostro tempo, Fernand Braudel. Hanno anche prestato la loro consulenza l'antropologo Levi Strauss, il paletnologo Leroy-Gouran. L'archeologo Sabatino Moscati ha guidato Quilici nelle Serie dedicate all'archeologia subacquea ("Mare Museo" - 1988-'92), sui Fenici ("Sulle rotte di porpora" 1987-'88). Con l'archeologo George Vallet ha realizzato "I Greci d'Occidente".
Dal 1992 al 1999 ha realizzato per l'Istituto Luce e la RAI, come regista "L'Italia del XX secolo", 65 film su testi degli storici De Felice, Castronovo e Scoppola
Dal 1997, ha iniziato per RAI 3, la Serie "Alpi", in collaborazione con il CAI (Club Alpino Italiano). Otto film dedicati alla natura e alle genti dell'arco montano. In vendita come video-libri VHS.
Nel 2000, per la rete franco tedesca Arté ha realizzato "Kolossal", lungometraggio culturale e nel 2002, con la stessa coproduzione, "Viaggio nel Mondo di Pinocchio".
Dal 1996 al 2002 ha realizzato la Serie "Italia Infinita", 5 film prodotti per RAI 3, RAI International e reti televisive internazionali. In vendita come video-libri VHS.
Nel 2002/2003 ha curato la realizzazione di sei film dedicati ai suoi viaggi nelle isole del mondo (Di Isola in Isola), di cui è prevista la messa in onda televisiva e la successiva vendita come video-libri nei primi mesi del 2004.
Nel 2004 ha realizzato il lungometraggio a grande schermo "L'Impero di Marmo" per Cinecittà Holding/Istituto Luce.
Premi internazionali hanno riconosciuto il suo impegno per la TV culturale in questo campo. Dal Premio della Critica Francese per la regia della Serie "Mediterranéé", al Premio della Critica italiana per "India" (1966), di nuovo attribuito a "Alba dell'Uomo" (1975) e a "Festa Barocca" (1983). Il più recente riconoscimento (1995) è la "Targa d'Oro Europea" per il suo impegno nel cinema storico-culturale.
Dal 1950 in poi ha pubblicato numerose opere di saggistica, spesso illustrate. Tra gli altri Mille Fuochi, Magia, Gli ultimi primitivi, Il Riflesso dell'Islam, India, L'Uomo Europeo, I Mari del Sud, La mia Africa, Il Mio Mediterraneo, Le Americhe.
Nel 2004 un'impegnativa opera di ricerca storica e biografica: Tobruk 1940, dedicato al Diario storico di guerra scritto dal padre, Nello Quilici, caduto sul fronte libico con Italo Balbo.
Premiato come scrittore, nel '55 con il Premio Marzotto per Sesto Continente (rieditato nel 2000), con il Premio Malta nel'81 per Mediterraneo, il Premio Fregene nell'85 per Cacciatori di Navi e il Premio Estense nel '93 per Africa.
Tra il 1976 e il 1979 ha diretto La Grande Enciclopedia del Mare. Nel '74/'75 è stato coautore dei due volumi La Mediterranee editi in Francia con la Direzione di Fernand Braudel. Nel 1997 gli è stato assegnato il "Premio Internazionale Cultura del Mare" per le sue opere sui mari d'Italia. E nel luglio 2000, gli è stato assegnato il "Tridente d'Oro alla Carriera", dall'Accademia delle Arti della Scienza Subacquea.
Nel febbraio del 2002, Folco Quilici ha ricevuto il Premio NEOS dall'Associazione Giornalisti di Viaggio, per il suo impegno di scrittore.
Per la narrativa italiana, dopo il premiato "Cacciatori di Navi" (1985) tradotto negli Stati Uniti con il titolo "Danger Adrift", la Mondadori ha pubblicato nel 1997 il suo "Cielo Verde", romanzo entrato nella classifica dei libri più venduti in Italia. Nel giugno '98 il romanzo "Naufraghi". Nel 1999 con il suo romanzo "Alta Profondità", anch'esso entrato nella classifica dei libri più venduti. Il sequel narrativo iniziato nel 2001 con "L'Abisso di Hatutu", continuato nel 2002 con "Mare Rosso" (che ha vinto nel 2003 il Premio Scanno di Letteratura), ha incontrato un vasto favore di pubblico ed è continuato nel 2003 con il quarto romanzo "I Serpenti di Melqart".
In collaborazione con la moglie Anna, ha pubblicato due "biografie avventurose": "Amundsen" (1998) e "Jack London" (2000), Edizioni Piemme; quest'ultimo nel 2001 ha vinto il "Premio Chianciano" e il "Premio Castiglioncello".
Quilici collabora alla stampa italiana e internazionale. Dal '54 su Life, Epoca, Panorama, Europeo, e altri periodici nazionali e internazionali; e con vari quotidiani tra i quali La Stampa e Il Corriere della Sera e Il Giornale. Ha vinto il "Premio Italia" di giornalismo nel 1969; e nel 1990 il "Premio Giornalistico Europeo".
Nel 1983 gli è stata conferita dal Presidente Pertini la "Medaglia d'Oro" per meriti culturali.
Nel '94 la "Penna d'oro" per i suoi servizi sull'Africa. Nel '97 gli è stato conferito il "Premio Marforio-Campidoglio per la Carriera, per il giornalismo culturale". E nel '99 il "Premio San Giorgio" per l'insieme dei suoi scritti.
Ha tenuto corsi all'Università di Bologna (1966-67) di Berlino (1991), al Centro Sperimentale di Cinematografia (1995), all'Università Cattolica di Milano (1998). Dal 1985 al 1989 è stato il responsabile di ORAO, il Centro di Formazione dell'Immagine Culturale. I cui corsi sono ripresi nel 1997 e proseguiti nel 1998.
Dal febbraio del 2003 ha la responsabilità di dirigere l'Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, ICRAM, di cui è Presidente dal 2004. Per l'Istituto dirige dal 2005 "I Quaderni dell'ICRAM". Precedentemente, dal '95 al '96, era stato Direttore del mensile "Mondo Sommerso", esperienza editoriale maturata con i cinque anni (1978-1982) dedicati come responsabile alla pubblicazione degli otto volumi dell'Enciclopedia del Mare.
Dal 2002 collabora a una serie di volumi illustrati di Luca Tamagnini dedicati alle aree protette dei mari italiani: "Asinara", "Arcipelago Toscano", "Isole Tremiti", "Isole Egadi", "Portofino", "Penisola del Sinis, Isola di Mal di Ventre", "Isole Pelagie", "Isole di Ventotene e Santo Stefano". In preparazione altri volumi dedicati alle altre aree marine protette.
E' tra i soci fondatori dell'H.D.S. (Historical Diving Society) e dell'Associazione Ambientalistica Marevivo. E' membro dal 2001 della SOCIETA' GEOGRAFICA ITALIANA.
Come fotografo che opera dal 1949, accumulando un archivio d'oltre un milione d'immagini a colori e in bianco e nero, Folco Quilici è stato dichiarato "Great Master for creative excellence" dall'International Photo Contest 1998 .




Il collegamento sullo Stretto rilancerebbe la Sicilia, il no la conferma «colonia»
Lo sviluppo buttato giù dal Ponte

Prodi dice: nessun'opera se non ci sono i soldi. Ma in questo caso lo Stato non spenderebbe nulla
il caso. Dopo il no di Bianchi ieri Fassino, in Sicilia, ha affermato che il Ponte sullo Stretto non è tra le priorità. Ma quest'opera rilancerebbe turismo e impresa, e bloccarla è confermare la Sicilia «colonia». Prodi ha detto che non si realizzerà nulla se non ci sono i soldi, ma il Ponte non costerebbe nulla allo Stato.

il caso. Dopo il no di Bianchi ieri Fassino, in Sicilia, ha affermato che il Ponte sullo Stretto non è tra le priorità. Ma quest'opera rilancerebbe turismo e impresa, e bloccarla è confermare la Sicilia «colonia». Prodi ha detto che non si realizzerà nulla se non ci sono i soldi, ma il Ponte non costerebbe nulla allo Stato.

infrastrutture
Quella Sicilia che schiaffeggia se stessa
Contro il Ponte la parte ricca del Paese ma anche, da noi, l'incapacità di alcuni di difendere i propri interessi

Tony Zermo
Catania 21.5.2006. Ci sforziamo di comprendere le ragioni di chi non vuole il Ponte sullo Stretto, ma onestamente non ci riusciamo. Sarà colpa nostra? Dicono: è un'opera faraonica, inutile e costosa. Invece è stato dimostrato e varie volte ripetuto che allo Stato non costa nulla e che non toglie risorse a nessuna opera pubblica per il semplice fatto che la società «Stretto di Messina» sull'importo d'asta di 3,9 miliardi ha in cassa di suo 2,5 miliardi e il resto lo troverà sul mercato finanziario in cambio dei pedaggi. Abbiamo aggiunto che alla fine lo Stato ci guadagnerà perché la «vita» del Ponte è prevista in due secoli e siccome dopo 30 o 50 anni l'opera tornerà allo Stato si potrà riaffittare. Prodi dice: non inizieremo opere per le quali non ci sono i soldi. Ma nessuno chiede soldi per il Ponte. Purtroppo la società «Stretto di Messina» non è riuscita a comunicare il concetto all'opinione pubblica, magari facendo pubblicità sui grandi mezzi di comunicazione.
Dicono ancora: il Ponte non è prioritario perché è come mettersi una giacca di cachemire senza avere sotto nemmeno la camicia. La risposta è facile: mettendoci la giacca sarà necessario anche cucire la camicia. Il governo Berlusconi aveva previsto nel suo programma che il Ponte e il riassetto del sistema ferroviario siculo-calabro marciassero di pari passo, «contestualmente», per cui fra 7-8 anni sarebbe stato possibile che i treni dell'alta velocità arrivassero in Sicilia, realizzando anche la parte finale del «corridoio 1 Berlino-Palermo». Qualcuno sostiene che Berlusconi è stato scorretto per il fatto che l'appalto è stato assegnato in campagna elettorale. Ma l'iter dura da 35 anni e se fosse stato veramente scorretto avrebbe messo la prima pietra una settimana prima del voto, anche a costo di far pagare allo Stato i danni alla Impregilo.
Ora non si capisce perché il governo Prodi rovesci le priorità e dica: prima le ferrovie, quando potremo farle. E l'Unione cosa risponderà all'Unione europea, che il Ponte è rimandato a non si sa quando? E cosa dirà alla società «Stretto di Messina» che per legge del 1971 ha il compito di realizzare il Ponte? E cosa dirà alla Impregilo e alle imprese della stessa cordata che hanno vinto l'appalto e che hanno già subito pesanti perdite in Borsa per la posizione del nuovo governo?
Per fortuna una cosa positiva: nessuno afferma più che il Ponte è irrealizzabile e che sfascia le coste perché sarebbe una eresia davanti ai tanti ponti costruiti nel mondo. L'obiezione è solo: lo faremo «dopo» perché non ci sono i soldi. Ma essendo dimostrato che soldi non ne servono è una obiezione che non regge.
Abbiamo visto troppe volte la vergogna dell'imbarcadero di Villa San Giovanni, visto troppe volte le colonne di Tir per il centro di Messina, atteso in auto delle ore per traghettare nelle giornate di punta, da parte loro i treni impiegano un'ora e 45' con i traghetti che perdono 100 milioni di euro l'anno, mentre quelli privati si arricchiscono. E allora c'è da chiedersi: quelli che sono contro il Ponte hanno mai preso un treno che passi lo Stretto, hanno mai preso a Parigi o a Berlino oppure a Strasburgo i treni ad alta velocità da 300 all'ora che potrebbero portare comodamente i passeggeri in tre ore da Catania alla stazione Termini? Nessuno riuscirà a convincerci che questo giornale stia combattendo da anni una battaglia sbagliata.
La verità è un'altra: il Ponte cambierebbe il volto della Sicilia e rilancerebbe alla grande turismo e impresa, ma al nuovo governo di Roma sembra non interessi proprio nulla della Sicilia, non c'è nulla nel suo programma, siamo solo una colonia di 5 milioni di abitanti che ha avuto perdipiù il torto di votare a destra. E fin quando Rifondazione, Pdci e Verdi saranno al governo con diritto di veto per la Sicilia «politicamente scorretta» non ci sarà alcuna speranza. Questa verità amarissima trova come alibi le istanze degli ambientalisti che in nome della perenne intoccabilità del territorio e della romantica sicilitudine non sanno di fare il danno loro e dei loro figli che un giorno chiederanno: perché nel resto d'Europa si viaggia ad alta velocità e in Sicilia dobbiamo stare due ore sopra un traghetto e impiegare quasi un'intera giornata per arrivare a Roma?

Il Ponte sullo Stretto è «l'opera più inutile e dannosa che sia stata progetta in Italia negli ultimi cento anni, e dunque non si farà».

È stata questa, mercoledì scorso, la prima dichiarazione alla stampa del neoministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, interpellato al Quirinale al termine della cerimonia per il giuramento del nuovo governo Prodi.

Ed è stata appunto questa dichiarazione, ad un tempo, a stroncare le attese sull'opera e ad innescare una polemica, con la Cdl ad accusare il nuovo esecutivo di «voler bloccare lo sviluppo del Sud» negando «un'iniziativa epocale» foriera di «grandi vantaggi in particolare per calabresi e siciliani». Ma non solo: pure nel governo, da subìto, non tutti sono sembrati dello stesso avviso di Bianchi. In particolare il nuovo ministro delle Infrastrutture, Antonio di Pietro, ha «bacchettato» immediatamente il collega affermando che «l'eventuale decisione di abbandonare il progetto deve essere presa a livello collegiale, quindi in Consiglio dei ministri e in Parlamento». E il neo ministro per lo Sviluppo economico, Bersani, ha detto: «Se varrà la pena farlo, il Ponte si farà». Di Pietro ha poi più volte ribadito: «Sarà il governo, collegialmente, a valutare». Ma l'orientamento, si sa, è che prioritari, per il Sud, sono altri lavori, «secondo una logica di sistema - ha detto Prodi - e non privilegiando le grandi opere».

Quando la sinistra voleva fare il Ponte sullo Stretto
Nell'ottobre '97 il sì del Consiglio superiore dei Lavori pubblici

La società “ Stretto di Messina “ha una struttura finanziaria autosufficiente. Non Ha alcun senso parlare di “ priorità”

Catania 22.5.2006. Per favore, almeno non prendeteci in giro, non dateci collanine di vetro come i conquistadores facevano con gli indigeni. Perché quando Fassino e gli altri vengono a dirci che il Ponte non è una priorità, o non sanno quel che dicono o fanno i furbi. Che vuol dire in questo caso «priorità»? Vuol dire che se lo Stato deve spendere soldi per realizzare opere pubbliche deve cominciare con quelle più indispensabili delle altre. Solo che si trascura un piccolo particolare. Il Ponte ha una struttura finanziaria autosufficiente perché la società «Stretto di Messina» sui 3,9 miliardi del costo dell'opera ne ha la metà in cassa e il resto lo trova sui mercati finanziari in cambio dei pedaggi. Allora che senso ha parlare di priorità quando il Ponte non sottrae risorse ad alcuna opera? Siamo stanchi di ripetere questa semplice verità, ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Anche chi è favorevole al Ponte e protesta per questo contro il governo Prodi, invece di ricordare che la Sicilia sarebbe tagliata fuori dal «corridoio 1 Berlino-Palermo», che l'alta velocità si fermerà a Napoli e che senza il Ponte non arriverà mai in Sicilia - tutte cose verissime -, farebbe bene a dire solo: lo Stato non deve spendere un euro! Deve dire solo sì. E' così difficile da capire? Ed è così difficile per la società «Stretto di Messina» confermare ufficialmente che ha due miliardi in cassa?
Il segretario ds Fassino, peraltro politico intelligente, non può dire: «Abbiamo un grande piano di investimenti sulla portualità del Mezzogiorno e in Sicilia, un progetto molto più ambizioso che fare un ponte». Ma per piacere. La portualità va benissimo, ma che c'entra con il Ponte? E poi «non si tratta di fare un ponte», perché non è un ponte qualunque, ma il Ponte a una sola luce più lungo del mondo. Queste cose le deve sapere, e allora perché gioca a nascondino con i siciliani? Perchè non dice che i Bertinotti, i Pecoraro Scanio e i Diliberto, se solo si dicesse un mezzo sì al Ponte, sono capaci di far cadere il governo Prodi? E allora non ci vengano a gettare polvere negli occhi con la portualità e con le «autostrade del mare» quando ad esempio Catania e tutta la Sicilia orientale è collegata via nave solo con Napoli sul Tirreno e con Ravenna sull'Adriatico.
Il Ponte è un diritto sacrosanto della Sicilia, è una immensa opera tecnica che non è né di destra e né di sinistra. Anzi l'hanno promesso anche i governi di centrosinistra che ora fanno finta di dimenticarlo. Hanno chiesto di farlo i giapponesi (quelli che a Istanbul hanno realizzato il ponte sul Bosforo) e gli hanno detto di no, hanno chiesto di farlo gli americani, stessa risposta negativa. Ha ragione l'on. Raffaele Lombardo, fondatore del movimento per l'autonomia, quando dice che «affossando il Ponte, simbolo e volano di sviluppo, il teatrino romano ha messo in scena il programma che attende la Sicilia e il Sud, da mantenere come mercati di consumo passivo».
«Repubblica» ha pubblicato con obiettività quel che fece il governo di centrosinistra per il Ponte: ottobre '97: il Consiglio superiore dei lavori pubblici considera il progetto del Ponte idoneo a diventare definitivo; luglio '98: il progetto è trasmesso al Cipe per il parere definitivo; aprile 2001: il governo avvia le audizioni con diversi istituti finanziari e operatori specializzati. Poi, siccome lo voleva fare Berlusconi e Berlusconi ha perso, allora niente Ponte. Ma non è una posizione politicamente intelligente. Sarebbe stato più giusto dire: approfondiremo e poi decideremo. Anche perché, alla vigilia delle regionali, Rita Borsellino non meritava di essere colpita da «fuoco amico».
Tony Zermo

Oggi vertice Di Pietro-BianchiNessuna polemica. Di Pietro (Idv) e Bianchi (Pdci) hanno deciso di lavorare di comune accordo. Di Pietro ha convocato pe

Oggi vertice Di Pietro-BianchiNessuna polemica. Di Pietro (Idv) e Bianchi (Pdci) hanno deciso di lavorare di comune accordo. Di Pietro ha convocato per oggi un vertice al ministero delle Infrastrutture per fare il punto della situazione e vedere come costruire un percorso comune tra il ministero che a lui fa capo, e quello dei Trasporti, guidato da Bianchi: «Ho convocato questa riunione per fare un elenco delle priorità e studiare insieme le soluzioni migliori».

Due miliardi di euro scippati al Meridione


Tony Zermo
Catania 23.5.2006 Stanno per evaporare i 2 miliardi di euro del Ponte sullo Stretto. E per spiegare perché dobbiamo fare brevemente la storia di quest'opera epocale ancora sulla carta, che non è di Berlusconi, ma di questo Paese immemore.
Fu nel 1971 che il Parlamento varò una legge che istituiva la società «Stretto di Messina» con il compito di realizzare l'attraversamento stabile dello Stretto. Nella società entrarono Fintecna, le Regioni Sicilia e Calabria, l'Anas e le Ferrovie e nel 1997 il Consiglio superiore dei lavori pubblici decretò che il Ponte era «tecnicamente fattibile».
Allo scioglimento dell'Iri la Fintecna aveva tre miliardi: uno venne congelato per eventuali debiti, per gli altri due la Comunità europea disse all'Italia che sarebbe stato opportuno destinare quella somma ad alleviare il deficit statale. Soltanto allora Berlusconi prese in mano la situazione e convinse Bruxelles a destinare quella somma ad una grande opera a favore del Sud, e quest'opera venne individuata nel Ponte per un semplice motivo: la vita del Ponte è prevista in due secoli, il 60 per cento della somma la metterebbero i privati in cambio dei pedaggi. E siccome il Ponte dopo 30 o 50 anni tornerà allo Stato, che potrà riaffittarlo per altri 150 anni, ecco che l'Italia non solo rientrerà dei due miliardi di euro, ma ce ne guadagnerà tanti altri. La Comunità europea se ne convinse e dette lo sta bene per vincolare quei due miliardi alla realizzazione del Ponte, un'opera in cui ci si guadagna e non si perde nulla.
Quindi questa è un'opera pubblica, una delle più importanti e certamente la più prestigiosa, la cui preparazione dura da 35 anni, siamo ai tempi di Moro, non certo dal governo di centrodestra. Berlusconi ha solo avuto il merito, da imprenditore geniale, di avere visto l'utilità del Ponte non solo a favore dello sviluppo della più grande isola del Mediterraneo, ma della rete europea dei trasporti, che invece di fermarsi a Napoli scenderebbe sino in Sicilia attraverso il Ponte chiudendo il «corridoio 1 Berlino-Palermo».
Detto questo, ne consegue che se il governo Prodi non vuole fare il Ponte - che pure era nel programma elettorale del centrosinistra nel 2001 - i due miliardi di euro della società «Stretto di Messina» prenderanno il volo, magari a favore della Tav in Val di Susa che la sinistra vuol fare tentando di convincere i contrarissimi valligiani che è necessario collegarsi con la Francia e il «corridoio 5» Lisbona-Kiev. Mentre invece che il Ponte colleghi la Sicilia e i suoi 5 milioni di abitanti con l'Europa non gliene frega niente a nessuno, perché «deserto strutturale » è, e che resti tale. Perché è chiaro che se non c'è il Ponte in Sicilia non arriveranno i treni veloci, in Sicilia non arriveranno i grandi flussi turistici, la Sicilia importerà ed esporterà con tempi anteguerra e resterà cristallizzata nella sua «isolitudine».
Aggiungiamo solo che una ricerca del Cnr affidata all'Università di Napoli stabilì che il solo indotto turistico del Ponte avrebbe creato 15 mila posti di lavoro anche per l'apertura del fronte mare di Messina. E ricordiamo che Fassino tre anni fa alla Fiera di Bari, davanti al plastico del Ponte, disse di essere «favorevole perché sono industrialista». Lo stesso Prodi nel 1996 dichiarò che il tempo che un treno ci mette a traghettare dalla Sicilia alla Calabria si può coprire in auto la Napoli-Roma. Ora il centrosinistra ha dimenticato tutto per non scontentare Bertinotti, Pecoraro Scanio e Diliberto, che già dicono di destinare quei soldi del Ponte alla Salerno-Reggio Calabria. Ma non era stata già finanziata?
Ci dispiace insistere sull'argomento in periodo di campagna elettorale, ma ripetiamo che il Ponte non appartiene a nessun partito, è solo una grande opera dell'ingegno dell'uomo che porta progresso. Se Roma ignora la Sicilia, è il momento in cui la Sicilia deve fare valere il proprio diritto al futuro, perché finora nel programma Prodi per noi c'è solo il fumo negli occhi delle «autostrade del mare».

Nell'85 Prodi disse: «Farò il Ponte»
La Regione siciliana si affidi all'Unione europea per premere su Roma, o lanci una gara internazionale


Raffaele Lombardo
«Un comitato per sostenerne la costruzione»
Catania 24.5.2006 «Costituire un comitato popolare formato da cittadini, imprenditori, intellettuali, giovani, associazioni di volontariato e di categoria per attuare varie forme di mobilitazione per sostenere politiche di sviluppo infrastrutturale ed economico-sociale in Sicilia. È necessario che la Sicilia abbia il Ponte sullo Stretto - afferma il fondatore del Mpa - che, peraltro, non avrebbe bisogno di finanziamenti aggiuntivi statali, madre di tutte le altre infrastrutture, stradali, ferroviarie e portuali ad esso collegate. Occorre che venga applicata la fiscalità compensativa o di vantaggio per il Sud, che nei mesi scorsi ha ricevuto il via libera dal Parlamento Europeo, indispensabile per attrarre investimenti e occupazione; che venga differita l'attivazione dell'area di libero scambio euro-mediterranea prevista per il 2010; che si definisca con date certe un piano di smobilizzo delle raffinerie di petrolio con relativa creazione di corrispondenti posti di lavoro». Le adesioni alle iniziative possono darsi anche su Internet ai siti mpa-sicilia.it oppure mpa-italia.it

L'annuncio del 1985



Tony Zermo
Catania 24.5.2006 Forse venerdì prossimo il Consiglio dei ministri deciderà il destino del Ponte sullo Stretto. Ad andare bene, vista l'opposizione di Verdi, Rifondazione e partito dei comunisti italiani, Prodi probabilmente dirà di «approfondire la questione finanziaria relativa all'opera», rimandando il problema ad altra data. Ma ha poco margine perché metterebbe a rischio la tenuta del governo che poggia anche sulla gamba sinistra e perché è vincolato dal concordato programma di 281 pagine dove il Ponte non appare, così come non c'è la Tav in Val di Susa. Ma può questo governo congelare le grandi opere che sono il presupposto per lo sviluppo del Paese?
Prodi è in grande imbarazzo. Sentite cosa disse in un'intervista apparsa su «Panorama» il 15 settembre 1985. Il titolo dell'articolo era questo: «Il Ponte lo faremo, parola di Prodi». E nel testo l'allora presidente dell'Iri diceva: «Metteremo presto la prima pietra. Del resto è già in discussione alla commissione congiunta Lavori Pubblici e Trasporti il decreto legge n. 1216, promosso dal ministro Signorile, che prevede l'erogazione in tre anni di 220 miliardi per passare alla progettazione entro il 1987 e l'apertura dei cantieri entro il 1989. Non sarà certo l'Iri a porre ostacoli alla progettazione di un'opera definita all'unanimità dal nostro Parlamento di "prevalente interesse nazionale"».
E l'intervista di Prodi così continuava: «L'Italstat sarà il general contractor. Sia nel campo degli acciai che dei lavori edili, l'Iri intende ricorrere all'intervento privato e possibilmente a imprese meridionali. Ma non è detto che per aspetti molto specifici non ci si debba rivolgere al di fuori dei confini italiani». E sull'utilità del Ponte precisava: «Oggi la produttività del settore agricolo e delle industrie di trasformazione e manufatturiera della Sicilia è fortemente ostacolata da questa barriera naturale. Secondo stime attendibili, con un collegamento stabile i costi di trasporto calerebbero del 13%, senza parlare della maggiore rapidità negli spostamenti. Oggi , per esempio, se l'uva Italia di Caltanissetta arriva ad Amburgo in tre giorni riesce a spuntare un prezzo soddisfacente; se arriva dopo sette giorni il prezzo cala del 30%; se ci mette più di una settimana non viene ritirata. Anche per l'economia calabrese i vantaggi sarebbero naturalmente molti, e importantissimi».
E Prodi dichiarava queste cose nell'85 quando in Italia non si parlava nemmeno di alta velocità ferroviaria che aumenta per dieci volta l'utilità del Ponte e che ha avuto proprio per questo il co-finanziamento dell'Unione europea e la sua inclusione nel «corridoio 1 Berlino-Sicilia» nel quadro della rete di comunicazioni della Grande Europa.
Prodi è una persona seria e non può certo dimenticare che anche da presidente della Commissione europea aveva dato il via libera al Ponte, che del resto era stato anche nei programmi del centrosinistra. Il problema è che si trova prigioniero della sinistra massimalista che non vuole il Ponte anche a costo di sfasciare tutto. Dubitiamo che con questi chiari di luna riesca a fare ragionare i Pecoraro Scanio e i Diliberto, così come sarà difficile convincere i valsusini dell'utilità della Tav che libererebbe la valle dalle colonne dei Tir.
E allora, in questa situazione di stallo, bisogna trovare altre strade. Una può essere quella dell'Unione europea che su sollecitazione della nostra Regione può prendere un'iniziativa autonoma per intervenire sul governo di Roma. Mentre il nostro centrosinistra non considera «prioritario» il Ponte, per l'Europa questa è un'opera prioritaria e fondamentale per collegare con i treni ad alta velocità anche la Sicilia e completare il «corridoio 1». Se la Sicilia è Regione svantaggiata per la sua perifericità geografica e per il suo sviluppo ritardato rispetto alle Regioni del centro-nord, il Ponte è l'unica super-struttura in grado di svincolare l'Isola dalla sua subalternità economica. Quindi potrebbe essere l'Unione a far capire a Roma che non può fare disinvoltalmente marcia indietro dopo tutto il lungo iter approvativo.
La seconda strada è una «provocazione». Non si vogliono dare i due miliardi di euro destinati al Ponte perché il governo ritiene di avere altre necessità più impellenti? Ebbene, che lo lasci fare alla Regione siciliana - e per essa la società «Stretto di Mesina» - che può lanciare una sottoscrizione internazionale. Siamo convinti, e non crediamo di sbagliare, che se si offre il Ponte più lungo del mondo con i suoi pedaggi - che sarà possibile sfruttare durante la «vita» dell'opera lunga duecento anni - grandi imprese internazionali, banche, azionato popolare possono mettere i capitali necessari. Il progetto di massima c'è, bisogna solo fare quello definitivo per aprire i cantieri. E' un'impresa affascinante e oggi il mondo degli affari va cercando il modo migliore per investire i capitali. Già questa «provocazione» l'aveva raccolta Sergio D'Antoni: «Facciamolo fare con i soldi dei privati». Ma tutto questo sarebbe possibile solo a patto che il governo Prodi dichiari ufficialmente e senza mezzi termini che l'opera si può fare a spese dei privati, altrimenti nessun investitore sarebbe disponibile a correre rischi in un quadro politico-normativo incerto, se non ostile.
Ricordiamo anche che le Ferrovie dello Stato, che con i traghetti sullo Stretto perdono ogni anno 100-150 milioni di euro, avevano sottoscritto una convenzione con la società del Ponte per il passaggio dei treni pagando un canone annuo di 100 milioni di euro per trent'anni, il che fa tre miliardi di euro. Finanziariamente sarebbe un'eccellente base di partenza.







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