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Il governo Prodi
D'Alema e Rutelli vicepresidenti "Volevo più donne" Tutti i ministri DIRETTA. Il neo premier ha presentato la lista dei nuovi ministri. I due vicepresidenti sono D'Alema (Esteri) e Rutelli (Beni culturali). Napolitano esprime "soddisfazione". Il giuramento alle 16,30. Prima un Cdm. Da domani al Senato per la fiducia. Marini: "Qui andrà tutto bene" VIDEO: PRODI LEGGE LA LISTA FORUM: IL NUOVO ESECUTIVO Dopo 10 anni, il Professore giura di nuovo |
Ministri per i partiti o ministri per le riforme?
Romano Prodi ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. La lunga attesa si è interrotta ieri sera alle 19, quando il professore è salito al Quirinale per incontrare il capo dello Stato. L’indicazione dell’Unione non lasciava dubbio e, ha informato Giorgio Napolitano, neppure Berlusconi si è opposto, prendendo atto formalmente della sconfitta (e meditando la pronta rivincita stando al proclama del Cavaliere). Il passaggio è stato rapido, come annunciato da Prodi il quale, tuttavia, non si è recato al Colle con la lista del ministri in tasca. Per lo meno, non di tutti i ministri. La trattativa è stata faticosa, complessa, ancor più del previsto. Sappiamo bene che una coalizione di tanti partiti si presta di per sé a un negoziato dalle variabili multiple. Ma deve essere chiaro che caselle importanti non possono essere riempite solo per accontentare i partiti. Bisogna sapere chi mettere e dove, anche sulla base di quel che si vuol fare. Se si confermano le anticipazioni, il governo Prodi avrà alcuni puntelli forti: D’Alema agli esteri e vicepremier insieme a Rutelli, Amato agli interni, Padoa Schioppa all’economia (voluto dal Professore), Bersani alle attività produttive. Il recupero di Amato è stato importante perché ha dato più spessore alla squadra. Tuttavia, in troppi casi si ha l’impressione che la scelta sia dovuta soltanto a un tumultuoso rincorrersi di veti incrociati. E non su ministeri di poco conto.
La giustizia, snodo quanto mai delicato, se andrà a Mastella non sarà certo sulla base di una analisi delle competenze né di una chiara mission (la riforma Castelli va rivista, e come?). Il lavoro toccherebbe a Rosy Bindi, destinata altrove, escludendo Treu e Damiano che sembravano i candidati naturali.
L’istruzione viene assegnata senza avere in testa come gestire l’ingombrante eredità della riforma Moratti: per noi ha molti aspetti positivi, l’Unione ha dato un giudizio nell’insieme negativo, ma sa bene che non si può ricominciare per l’ennesima volta da capo. Sarà un caso, ma si tratta proprio dei settori investiti dalle riforme più impegnative approvate dal centrodestra.
Dunque, la scelta dei titolari avrebbe dovuto rispondere più di ogni altra cosa ai contenuti programmatici.
Sabato scorso, Il Sole 24 ore ha sollevato l’interrogativo sul tasso di riformismo di questo governo. A giudicare da questo modus operandi, c’è il rischio che non sia molto alto. Aspettiamo che tutte le caselle vengano riempite. Ma ieri si è profilato anche un altro pericolo. Prodi aveva parlato con felice espressione di «ministri con il cacciavite», quelli che dovrebbero rimettere in sesto la macchina spossata dell’Italia. Per risolvere la questione Bonino (che a nostro avviso sarebbe stata un ottimo ministro della Difesa) si è discusso di affidarle le politiche comunitarie con delega anche al commercio con l’estero che spettava alle attività produttive. Quindi a Bersani, ministro con il cacciavite per antonomasia, che rischia di non trovarsi tra le mani una vite tra le più importanti per aggiustare il motore dell’economia. Certo, non è una bella partenza.