VACANZE ESTIVE...E SE FOSSERO DUE MESI INVECE CHE TRE?!
Data: Luned́, 15 maggio 2006 ore 00:15:47 CEST
Argomento: Opinioni


REBUS VACANZE PER LA SCUOLA

di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI

Tra meno di un mese iniziano per le scuole le grandi vacanze: tre mesi buoni, quando non di più, per riposarsi delle fatiche scolastiche. Ma, anche, per le famiglie, tre mesi difficili da gestire, sia se i figli sono piccoli, sia se sono più grandi. I nonni, gli zii, i cugini provvisti di una ospitale casa in campagna sono, infatti, un bel ricordo del passato. E, fatta eccezione per le tradizionali tre settimane, nei casi fortunati quattro, da passare con la famiglia, per «coprire» il resto delle vacanze scolastiche e impedire che bambini e ragazzi passino giugno e luglio a ciondolare per case e per piazze, rimangono, soltanto, i campeggi del Comune e delle parrocchie, i soggiorni sportivi e i tradizionali corsi di lingue in Italia o all’estero. A parte, però, che si tratta di affrontare spese non indifferenti, sono tutte iniziative che durano in media una settimana, eccezionalmente due. Nel migliore dei casi si sarà, dunque, solo a metà dell’opera e da riempire resteranno ancora, almeno un mese e mezzo. Fino a qualche tempo fa, quando, per cercare di risolvere il problema secondo la (ragionevole) linea comune scelta dalla maggioranza dei Paesi europei, si auspicava una riduzione a due mesi delle vacanze estive, si assisteva a una levata di scudi - sotto forma di furibonde lettere ai giornali - non solo da parte di alunni ma anche di genitori e, in misura, a onor del vero, minore - in quanto sanno come sia difficile, dopo tanta pausa, riavviare allo studio gli alunni - di insegnanti.
Gli studenti, comprensibilmente, continueranno a opporsi a una eventuale modifica del calendario ma, per quel che riguarda i genitori, i toni sono significativamente cambiati negli ultimi tempi: basti pensare alle tante mamme milanesi che, nelle scorse settimane, hanno protestato contro le numerose vacanze forzate imposte da ponti ed elezioni. Quanto agli insegnanti, quelli contrari a un progetto di «ristrutturazione» dei tempi dello studio sostengono sempre che tra i compiti della scuola non c’è il baby-sitting. In teoria hanno ragione, in pratica forse no, perché l’istituzione non può non tener conto dei cambiamenti della società e dei bisogni che ne discendono.
Tutto giusto, si dirà allora, ma poiché modi e tempi dell’istruzione sono regolati dal Ministero, se quest’ultimo sul tema specifico non ci sente, che può mai fare Milano per modificare la situazione? Per esempio, osare un primo passo, approfittando, per un verso, di quella certa autonomia di cui godono gli istituti e, per l’altro, del fatto che non poche scuole, qui in città, sono comunali. Si potrebbe tentare, insomma, un esperimento, e si sa bene che, quando è Milano che lo tenta, facilmente altrove si cercherà di imitarlo.








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