PERCHE' BISOGNA ANDARE A SCUOLA? A QUESTA FATIDICA DOMANDA...
Data: Marted́, 09 maggio 2006 ore 00:25:00 CEST
Argomento: Opinioni


I compiti a casa? Inghiottiti dal videofonino-stress

Luigi Galella

All'ultimo consiglio di classe, in cui abbiamo discusso dell'adozione dei nuovi libri di testo, ci siamo a un certo punto interrogati su una domanda che i ragazzi, in maniera diretta o indiretta, si pongono ogni giorno: perché bisogna andare a scuola? Se la rivolgono soprattutto i maschi, con i loro comportamenti svogliati. Quando si gettano sui banchi, abulici e disperati, le spalle che a fatica si tengono dritte e si piegano avanti, come irresistibilmente attratte dalla forza di gravità; o si dondolano nervosamente sulla sedia, indietro, con le facce depresse o mortificate dai rimproveri, o che hanno già varcato la soglia di ogni residua disponibilità, e si fanno aggressive, rancorose o indifferenti. Quando dicono no alle verifiche, sottraendosi quasi compiaciuti, con un mezzo sorriso, fuggiasco e malinconico, accumulando le pagine, i capitoli, i debiti da recuperare, e neutralizzando il terrore del domani con un nuovo, definitivo no, senza rimedio. Separati, distratti e astratti. Chiusi nei propri universi, nei quali si rappresenta la loro vera realtà, e il relativo, massimo investimento energetico: il calcio, spesso frequentato con ambizioni di carriera, il nuoto, la danza, le arti marziali, il pugilato. Appuntamento pomeridiano con il quale inizia la loro giornata, quella dell'impegno, essendo gli «impedimenti» della mattina solo una spiacevole parentesi. Il nostro interrogativo, tuttavia, era più articolato. Ciò che descrivevamo era in qualche modo sempre stato presente, e diverso un tempo era la nostra capacità di reagire perché eravamo più giovani, o ci troviamo di fronte, oggi, a un oggettivo degrado, nuovo come fenomeno e rapido nella sua progressione, che va precipitando di giorno in giorno? È prevalsa, nella nostra discussione, la seconda ipotesi, quella del declino, del progressivo sfaldarsi di ogni interesse positivo verso la scuola. E le cause? E i possibili rimedi? Se chiediamo a un alunno del perché sia così disinteressato, la risposta stenta a venire. Non gli va, e basta. Ma anche a noi adulti e docenti risulta difficile formulare una risposta, che sia veramente soddisfacente. I motivi, forse, sono tanti. Uno potrebbe essere la distanza, sempre più grande, fra la complessità dei saperi e il moltiplicarsi delle conoscenze, e il bisogno di raggiungere dei traguardi immediati, senza attraversare quindi il faticoso travaglio dello studio e dell'iniziazione. Troppo lavoro. Troppa distanza fra ciò che si è e ciò che, solo impegnandosi molto e senza averne prima la garanzia, si diventerà fra vent'anni. Un altro motivo è costituito dalle molte, troppe distrazioni. Dai molti «consumi». Ogni nuovo consumo è tempo ed energia che si dilapidano. Che sia un videofonino - nel quale ora si affaccia la possibilità di accedere perfino ai programmi televisivi - con i messaggini che interrompono la concentrazione e reclamano, invadenti, una risposta, o una play station, che elettrizza e droga, o un impianto stereo da curare e perfezionare, o un qualsiasi altro consumo, elettronico e non, i ragazzi si trovano di fronte da un lato alla necessità di far fronte a sempre nuovi acquisti, dall'altro a quella altrettanto dispendiosa di usarli. Consumare costa tempo e fatica. Se ne vanno larghe porzioni di tempo, e ciò che resta è un senso di vuoto. Domani l'insegnante interrogherà, e non si è fatto nulla. Ma forse questo nulla è proprio la cifra del nostro tempo. È il tempo vuoto che si sostituisce al pieno, ne divora il senso, e trionfa e si compiace della propria vacuità. Ci sono, poi, altri motivi. Quelli determinati dalle scelte tecniche e politiche sulla scuola. Le recenti riforme, ad esempio, anziché attenuare hanno accelerato il declino della scuola. Anche perché, dietro il belletto di un presunto progetto educativo, erano mosse da una pura, esclusiva esigenza di risparmio. Volontà di investire, quindi, ma anche qualità delle decisioni. Con l'augurio e la speranza che la nuova politica sappia guardare la scuola con attenzione, competenza e saggezza. Per riformarla. Senza distruggerla.
luigalel@tin.it









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