alla prepotenza della destra (imporre la Riforma) si voleva rispondere con la prepotenza della sinistra (abrogare la Riforma).
Data: Marted́, 18 aprile 2006 ore 15:07:07 CEST
Argomento: Recensioni


Una parte consistente del mondo della scuola ha sempre sostenuto che la Riforma Moratti andasse abrogata in quanto nasceva da un’idea “di destra” della scuola e questa idea non doveva avere cittadinanza in un luogo che viene definito “democratico” intendendo con ciò “di sinistra”. A urne chiuse e a mandato ottenuto sul filo (25.000 voti alla Camera; i seggi esteri e quelli dei senatori a vita al Senato) e attraverso i marchingegni inventati dalla destra per vincere (premio di maggioranza nazionale alla Camera e regionale al Senato, voto agli italiani all’estero, liste bloccate, ecc.: una strategia alla fine degna del miglior Tafazzi) stanno spuntando coloro che ritengono che il metodo di Brenno (“Guai ai vinti”) sia il migliore per risolvere una questione delicata com’è quella della scuola.
Raffaele Iosa (Dopo la vittoria elettorale, tutti a Barbiana con un cero grande così, su “ScuolaOggi.org”) sbeffeggia la Riforma Moratti con parole pesanti: “Da stamattina possiamo amabilmente ridere su parole strampalate come tutor e portfolio, considerare le indicazioni nazionali un incidente pedo-onirico, spariranno tra poco gli OSA”. E continua: “Tutor, portfolio, OSA sono parole di una dannosa pedagogia del nulla” nate dalla “pura vendicatività di pedagoghi ombrosi gonfi di pessimismo sociale”. Iosa sfodera la spada di Brenno e “taglia” la Riforma Moratti come una nullità eliminabile con un semplice colpo di lama. Innalza poi un inno a quelli che non hanno ceduto e non hanno applicato la Riforma, dando per scontato che le leggi di destra non si debbano applicare e quelle di sinistra sì e che quando ci sarà una Riforma di sinistra tutto il mondo della scuola la applicherà con entusiasmo. Iosa ha già dimenticato che alla base della vittoria del 2001 di Berlusconi c’era anche lo sciagurato e spocchioso “riordino dei cicli”, che faceva parte della sua idea di scuola. L’irrisione verso coloro che la pensano diversamente l’ha manifestato a più riprese anche Maurizio Tiriticco, e ha condensato il tutto nell’editoriale post-elezioni (Un Progetto per il nuovo Governo: istruzione, lavoro, mercati, su www.edscuola.it): “sono stati cinque anni perduti”.
La realtà è però più complessa di quanto ritengano Iosa e Tiriticco e la spada di Brenno ha sempre dato solo vittorie effimere (pensiamo al “Non faremo prigionieri” di Cesare Previti) e il fatto che Iosa e Tiriticco la pensino come Brenno (e Previti) mi mette tristezza, perché Prodi ha vinto col voto loro, ma anche col voto mio. Io voglio discutere di scuola in un ambito di esperti della scuola, non voglio la vendetta politica di una parte sull’altra (neppure se la parte vincente è la mia). Ci sono dei fatti e penso che prima di agire vadano analizzati per bene. C’è una Riforma in atto applicata “poco e male” perché coloro che la dovevano applicare “tutta e bene” aspettavano che un plebiscito cacciasse Berlusconi e mettesse al suo posto delle forze politiche che, come prima cosa, abrogassero la Riforma. Ci sono delle Indicazioni nazionali che aspettano di essere analizzate, discusse e modificate e che per due anni sono state osteggiate e dileggiate da molta parte della scuola italiana (spesso senza neppure leggerle), perché venivano da una pedagogia familista e conservatrice e perché dal 10 aprile non ci sarebbero state più. Ma attenzione: nessuno ha detto con precisione quali sono i 400/500 OSA da buttare, l’unica cosa che Iosa e Tiriticco (e Cerini) dicono e ribadiscono da tempo è che bisogna ripartire da zero. Dopo i libri di Bertagna e Puricelli avremo quelli di Iosa e Tiriticco a spiegare cosa si deve fare? Irridendo la Riforma e il suo lessico si irridono anche quelli che ci hanno lavorato sopra e che l’hanno studiata e analizzata. Non perché sono di destra o perché sono “mosche cocchiere di sinistra che volevano ‘sinistrare’ queste parole” (Iosa), ma perché non hanno mai pensato che la scuola vada affrontata con le lenti dell’ideologia. Ma credo che a Iosa piacciano di più quelli che l’hanno bocciata senza neppure leggerla.
E poi ci sono Programmi del 1979 e del 1985, neutralizzati dal DPR 275/99 scritto anche da Iosa, ma che quasi tutti le scuole insegnano lo stesso (anche se sono stati scritti per un altro mondo, quello senza l’Iraq, senza Internet, senza i computer, senza il federalismo, con l’Urss, con la Guerra Fredda, ecc.). C’è lo sconforto degli insegnanti “di sinistra” che non accettano l’idea che qualcuno che la pensa diversamente da loro possa parlare di scuola. E ci sono anche gli insegnanti che non vogliono cambiare niente. Ma nella scuola ci sono anche quelli che hanno discusso e vogliono continuare a farlo, quelli che vogliono ragionare e rivedere, quelli che intendono affrontare la Riforma Moratti da un punto di vista culturale, quelli che cercano di utilizzare l’autonomia scolastica per ricercare e innovare in modo da proporre solidi cambiamenti alle Indicazioni nazionali. Credo sia importante abbandonare la polemica ed entrare in medias res, di non applicato c’è ancora molto (anche di derivazione berlingueriana) e il rapporto tra le scuole e il Miur è tutto da ripensare. Forse è da ripensare il Miur stesso, affidandogli anche la formazione professionale, in modo da realizzare un unico sistema italiano per l’istruzione e la formazione professionale.
Chi si deprime perché l’Italia non ha accettato la proposta di Romano Prodi farà bene a rileggerla. La parte sulla scuola è generica e inapplicabile (portare “le retribuzioni di tutto il personale al livello dei Paesi europei” significa pagare tutti di più e senza differenziazioni anche a favore di quelli che fanno poco o niente?; “immediata copertura di tutti i posti vacanti” significa assumere precari tramite sanatorie?) e tutto il programma indica più compromessi che reali innovazioni. Iosa nel suo articolo ribatte su questi tasti: più soldi e più insegnanti, senza controlli, senza progetti, senza prospettiva. Una pioggia di soldi e insegnanti, puro e semplice aumento del deficit senza contropartite. Se la scuola deve essere di tutti allora deve essere anche di quelli che votano a destra. Se non può esserci una scuola “di destra” non può esserci neppure una scuola “di sinistra”: si deve accettare di discutere una Riforma di destra lasciando da parte le ideologie e ragionando sulle didattiche. Se è giusto che la strumentazione pedagogica di una Nazione non abbia come riferimento la sola Università di Bergamo è altrettanto giusto che Iosa e Tiriticco non si apprestino a stabilire chi ha diritto di parlare e chi no. E’ possibile, infatti, che tante debolezze portino ad una scuola migliore: alla prepotenza della destra (imporre la Riforma) si voleva rispondere con la prepotenza della sinistra (abrogare la Riforma). E queste due prepotenze sono state neutralizzate dagli elettori. Non servono strappi ma dialogo.
di STEFANO STEFANEL

 

UN’AGENDA PER IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE

Nel mio ultimo scritto, Un progetto per il nuovo governo, ho tentato di dimostrare come e perché non si possano avviare specifici programmi, se prima non si adotta una strategia rigorosamente progettuale. Un Progetto nasce da un’idea; sono poi i Programmi che via via lo concretizzano. In una società complessa, ed in un mondo globalizzato, è necessario collocare le persone giuste ai posti giusti, in una logica che sia di lungo periodo e che realizzi punto per punto, passo dopo passo, le linee progettuali che si assumono come inderogabili.

Ed ho anche sostenuto che nelle materie di istruzione, lavoro e mercati, occorre procedere con processi strettamente contestuali. Ovviamente, a monte di tutto c’è sempre quella variabile indipendente data dalle scelte che si effettueranno in termini di budget! Se è vero che l’istruzione è la carta vincente del lungo periodo – dato che operiamo nella società della conoscenza – occorrono anche politiche economiche adeguate e che guardino lontano. La Finanziaria è alle porte e costituirà la cartina di tornasole circa le scelte governative in ordine alla materia istruzione. Occorrerà investire, e tanto e bene, altrimenti nel giro del prossimo quinquennio la partita del rilancio del nostro Paese sullo scacchiere europeo è perduta! Va anche rilevato che, sotto questo profilo, i cinque obiettivi di Lisbona del 2010 appaiono soltanto un traguardo minimo rispetto a quelli ben più ambiziosi che ci attendono e che ancora non sono stati scritti! Emergeranno dal nuovo scenario internazionale, in cui l’asse delle cose che contano si sta spostando dall’Ovest e dall’Atlantico al Mediterraneo, all’India e alla Cina.

Detto questo, non dobbiamo, però, assolutamente dimenticare che, oltre al Progetto di lungo periodo, c’è anche la politica del giorno dopo giorno. C’è il Programma che l’Unione ha adottato e che occorre realizzare, anche perché settembre è alle porte e le scuole attendono concreti provvedimenti da adottare in progress ed in linea con il Programma/Progetto, provvedimenti che restituiscano loro quella dignità e quella sicurezza che cinque anni di malgoverno hanno seriamente offese e calpestate!

Occorrerà procedere su due piani paralleli, uno di medio ed uno di breve periodo, ambedue saldamente orientati verso il lungo periodo della costruzione di un Sistema Educativo nazionale di Istruzione e Formazione – e non sono parole grosse – che sia adeguato ad un Paese ad alto sviluppo.

Nel medio periodo occorre por mano ai provvedimenti per i quali noi dell’Unione ci siamo impegnati. E sono:

a) la diffusione del sistema dei nidi e la generalizzazione della scuola dell’infanzia, con tutti le iniziative da assumere in ordine alle diverse responsabilità, dello Stato (i Livelli Essenziali delle Prestazioni, in primo luogo), delle Regioni e degli Enti Locali;

b) l’obbligo di istruzione fino ai 16 anni di età, con tutte le ricadute che questo comporta in termini di curricoli, di periodizzazione dei percorsi, della comprensività in verticale (dai 6 ai 16 anni) ed in orizzontale (il biennio unitario 14-16 anni con forme di integrazione). Il che significa rileggere il ruolo delle scuole elementare e media in ordine sia ai suggerimenti della ricerca in materia di sviluppo/crescita dei bambini e dei preadolescenti sia ai condizionamenti proposti ed imposti dalla difficile società in cui stiamo vivendo. Il che comporta che sia una larga commissione di esperti ad indicare come e perché il sistema di istruzione possa rispondere alle esigenze di apprendimento e di inserimento dei giovani oggi in una società complessa ed interculturale. Chi cresce e apprende, nato qui od altrove, da un lato deve misurarsi con valori plurimi e diversi, dall’altro si trova ad interagire con una realtà in cui mano e mente sono sempre più fortemente interrelati;

c) la ricostruzione di un rapporto collaborativo e fecondo tra Stato e Regioni per la costruzione di un secondo ciclo di istruzione in cui i processi di inclusione e di discriminazione positiva siano assunti come determinanti a fronte di quanto avviato dalla amministrazione precedente che ha scelto l’esclusione e la discriminazione selettiva precoce. In tale contesto andrà anche considerata la questione dell’obbligo formativo e della revisione del sistema dell’apprendistato.

A monte di tutto dovrà valere una scelta che ribalti quella derivante da un male inteso concetto di personalizzazione – che pur vanta nobili origini – adottato dalla precedente amministrazione. Occorre, cioè, giungere alla definizione di standard di uscita dai diversi gradi del Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione – da aggiornarsi costantemente nel tempo – che comportino la ricomposizione di quel sistema educativo unitario che abbiamo sempre perseguito e che è stato fortemente compromesso nell’ultimo quinquennio.

La questione degli standard è strettamente collegata alla attuazione, per l’intero sistema di Educazione, Istruzione e Formazione, di quanto è indicato dal nuovo Titolo V della Costituzione, quando afferma che lo Stato ha competenza legislativa esclusiva per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione e la determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni. Va fortemente sottolineato che la legge 53/03 è assolutamente inadempiente rispetto a tali obblighi costituzionali. Infatti, le Indicazioni nazionali, allegate in via transitoria alle legge, sono solo una brutta copia dei Programmi ministeriali di un tempo! Ed i LEP… semplicemente non esistono! Com’è noto, gli estensori delle Indicazioni nazionali, al fine di rendere visibile e fattibile il principio della personalizzazione (in versione Moratti) hanno indicato gli Obiettivi Specifici di Apprendimento come livelli di prestazione delle scuole e non come obiettivi relativi alle competenze degli alunni, come invece è indicato dall’articolo 8 del dpr 275/99 sull’autonomia. Di qui, in ordine alla rottura della uguaglianza degli obiettivi, è derivato il disastro della valutazione faidate(1), Ne consegue che su tutta la materia delle Indicazioni nazionali occorre una radicale riscrittura, affidata, ovviamente, ad una commissione ampia di esperti che dovrà lavorare in un tempo medio-lungo, ma certo!

Di qui emergono anche alcune indicazioni per i provvedimenti di breve periodo:

a) restituire dignità e fiducia alle scuole, o meglio alle Istituzioni Scolastiche Autonome, alle ISA – ed anche alle IFA, alle Istituzioni Scolastiche Formative – eventualmente con una assunzione di responsabilità da parte dell’esecutivo, che promuova una consultazione che conduca ad una Carta delle Autonomie, da cui emergano con chiarezza gli ambiti e le competenze di quei tre poteri che il Titolo V indica con molta chiarezza: a) i compiti di governance dello Stato; b) quelli di government delle Regioni e degli Enti locali; c) quelli di realizzazione dei curricoli da parte delle ISA e delle IFA;

b) restituire alle ISA le schede di valutazione di cui alla CM 441 del ’96, le quali – pur a prescindere dai giudizi di merito non tutti favorevoli che a suo tempo furono espressi – hanno pur sempre costituito una garanzia della unità del Sistema Nazionale di Istruzione; e che ancora possono avere piena legittimità fino a che non si abbia chiarezza sugli standard;

c) restituire alle ISA la certezza degli orari obbligatori di cui ai quadri orario allegati ai Programmi del ’79 e dell’85; restituire contestualmente la certezza degli organici, in previsione di una rapida restaurazione degli organici funzionali e della riattivazione del tempo pieno e del tempo prolungato;

d) procedere alla riqualificazione degli esami di Stato della scuola secondaria di secondo grado, operando in due direzioni: ritornare alle commissioni miste di cui all’art. 4, c. 1 della legge 425/97; definire un modello di diploma che certifichi realmente le competenze acquisite da candidato, come prescritto dall’articolo 6 di detta legge;

e) ricordare alle ISA che il Miur della Moratti, incapace di gestire la partita del tutor e del portfolio, con la Nota del 9 febbraio u. s. le ha già liberate di tali adempimenti. Si leggano attentamente gli ultimi capoversi della nota e si noterà come il Miur ha di fatto svuotato la natura del portfolio, cassandone tutte le parti caratterizzanti e vincolanti e restituendo alle scuole la possibilità di “adeguare gli strumenti valutativi alle previsioni a suo tempo deliberate in sede di programmazione delle attività didattiche”. Il che comporta che anche la funzione tutoriale, tutta incentrata sulla compilazione del portfolio, viene di fatto liquidata.

I provvedimenti indicati possono essere assunti in tempi brevi e ciò ridarebbe alle scuole quella credibilità nel Miur che si è venuta perdendo in seguito alle iniziative della Destra. Si ricucirebbe quel discorso tra l’amministrazione e dirigenti, insegnanti, personale Ata, che da cinque anni è stato violentemente e volutamente perturbato e interrotto. Il percorso non sarà affatto facile, ma se il nuovo governo e il nuovo ministro ripartono dalle scuole che pazientemente lavorano sarà senz’altro un percorso vincente.

Maurizio Tiriticco


(1) A questo proposito mi piace riportare quanto riportato sulla fascetta di un volume uscito qualche giorno fa, che costituisce una sorta di testamento spirituale del ministro Moratti, affidato ad una conversazione con Piero Ostellino (La nostra scuola, Rizzoli, Milano), in cui leggiamo l’hard core del Moratti pensiero: “Le differenze culturali non si colmano dando una scuola uguale a tutti, ma dando a tutti una piena possibilità di realizzare le proprie aspirazioni, avviando i ragazzi a trovare il proprio percorso”. Tutto filerebbe liscio, se numero e qualità delle aspirazioni non dipendessero proprio dalle differenze culturali di origine. Che fare con chi non ha aspirazioni? Ma questa preoccupazione non è nel Moratti pensiero e neppure nella scuola che ci ha imposto!
 







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