E ora che succede? Chi sarà il nuovo ministro dell'Istruzione ? E che cosa sarà in grado di fare?
Data: Sabato, 15 aprile 2006 ore 16:43:40 CEST
Argomento: Opinioni


UN PROGETTO PER IL NUOVO GOVERNO: ISTRUZIONE, LAVORO, MERCATI  

 

Le sfide di fronte alle quali si trova il nuovo governo di Centro-sinistra non sono affatto di poco conto. Se ritenessimo di governare limitandoci a fare l’esatto contrario di quanto è stato fatto dalla Destra, sbaglieremmo di grosso, perché la Destra non solo ha governato male, ma ha adottato uno stile di lavoro – se si può di così – che è l’esatto contrario di quello che un governo normale dovrebbe adottare in un Paese ad alto sviluppo. Va aggiunto che la società di oggi è estremamente complessa e che ormai i contesti socioeconomici trascendono di gran lunga quelli squisitamente nazionali: pertanto, non possiamo non coordinarci con le politiche dell’Unione europea, per di più in un mondo che si va sempre più globalizzando. 

La Destra ci ha costretti per cinque anni al muro contro muro, alla politica strillata, a fare della battaglia contro il berlusconismo l’obiettivo primario! Ma non va dimenticato che sono stati cinque anni perduti, a fronte delle esigenze di un mondo che procede ad alta velocità e che ci chiede di attestarci su livelli ben più dignitosi rispetto all’uno a zero raggiunto con le elezioni del 9 e 10 aprile. Occorre imboccare, e rapidamente, in via preliminare, due strade, che in una campagna elettorale, imposta per certi versi dall’avversario, sono state appena tracciate! 

La prima è quella di assumere comportamenti ed iniziative politiche che siano tutte di ampio respiro, che abbiano come divisa quella Progettualità con la P maiuscola di cui un Paese normale non può fare assolutamente a meno. E, quando si parta di progettualità, occorre avere ben presente che nei vari settori della vita economica e sociale occorre ragionare avendo chiara conoscenza sia degli obiettivi da perseguire che dei tempi per la loro realizzazione. Se è vero che le leggi finanziarie hanno un respiro e una cadenza annuale, è anche vero però che in una società complessa non si può rinunciare a progetti ed obiettivi che trascendano tale cadenza. In effetti, è come se la normativa attuale in termini di finanza pubblica riflettesse più il Paese di un tempo ormai lontano che un Paese proiettato in un arengo internazionale ben più articolato e multiforme rispetto a quei confini nazionali sui quali per certi versi siamo ancora un po’ noi tutti costretti! 

La seconda strada da percorrere è strettamente legata alla prima! Se la scelta dei ministri e delle concrete politiche dei diversi dicasteri si fonda sul mero gioco della spartizione delle poltrone, il rischio è che non si andrà molto avanti. Nessuna obiezione contro il fatto che ogni forza politica dell’Unione abbia il suo premio – se si può dir così – ma è necessario che questo premio non gratifichi il particolare, a danno di quell’universale su cui si gioca lo sviluppo di un Paese avanzato. E’ una vecchia consuetudine che la valenza politica prevalga sempre su quella tecnico-operativa, perché – si suol dire – è il politico il lungimirante ed al tecnico spetta solo il compito di eseguire! Ma oggi è ancora così? Nel mondo complesso e globalizzato politica e tecnica – concetti che utilizzo in senso lato, ovviamente! – debbono procedere all’unisono, la competenza politica non può prescindere dalla competenza tecnica. 

Non possiamo più accettare che a Porta a Porta o a Ballarò i leader parlino di tutto e su tutto vantando spesso conoscenze e competenze che non possono avere, e che nessun Leonardo oggi potrebbe possedere! I senatori della Bulè ateniese facevano appello alla loro esperienza di anziani, e ciò poteva essere sufficiente per il governo della polis. Ma oggi la polis è il mondo, e dai nostri rappresentanti dobbiamo pretendere molto di più, ma in primo luogo in termini di responsabilità. E’ doveroso che un politico abbia una visione globale dei mille problemi che oggi sono sullo scenario mondiale prima che nazionale, ma è anche doveroso che, quando il politico scende sul terreno tecnico, sia anche il vero tecnico di quel determinato problema! Quindi, nella scelta dei ministri già sarà chiaro quale impronta e quale direzione il nuovo Presidente del Consiglio intende dare al suo Governo. 

In una prospettiva di questo genere sarà estremamente importante verificare quale ruolo dovranno assumere l’educazione, l’istruzione e la formazione in un Paese che deve assolutamente riassumere quella leadership mondiale e quella credibilità che in tempi non lontani abbiamo conosciute. Evito coscientemente di parlare di scuola in senso stretto, perché in un Paese ad alto sviluppo – in cui apprendere significa apprendere per tutta la vita – è riduttivo parlare di scuola, né si può più dire che il ministro dell’istruzione si occupa di scuola, perché non è così e non deve essere così! E’ estremamente grave che in campagna elettorale la questione istruzione abbia sempre svolto il ruolo di cenerentola, a fronte di questioni economiche e sociali (il lavoro, lo sviluppo, il Pil, e così via). Il che sta a significare che nel retropensierio di tanti politici tale questione sia pur sempre di secondo livello. Ma non è così, perché la definizione di “società della conoscenza” non è un adagio qualsiasi, un vezzo, un omaggio alle intuizioni di un Delors o di un Morin! La conoscenza, se ci è concessa la similitudine, è per il mondo futuro ciò che il carbone e l’acciaio sono stati per il mondo della industrializzazione! 

Il Presidente del Consiglio deve avvertire esigenze di questo tipo, e soprattutto deve avvertirle il nuovo ministro dell’istruzione! Politique d’abord, disse una volta Pietro Nenni sostenendo il primato della politica in un Paese ancora troppo centrato sui problemi del quotidiano! E’ ora che oggi si dica: Education d’abord! In altri termini, il nuovo ministro dell’Istruzione non deve assolutamente pensare di doversi limitare a riparare i danni provocati dalla Moratti – di qui la necessità di superare il dilemma abrogazione sì, abrogazione no! Il che è anche doveroso, ma assolutamente limitativo rispetto alla sfide che ci attendono! 

La questione di fondo è quella del rilancio su larga scala di tutta la politica dell’educazione. Se non si è convinti che, se non disponiamo, e a breve, di competenze tecniche qualificate, di competenze organizzative e manageriali, di validi ricercatori, tutto il nostro apparato produttivo rischia di essere battuto da concorrenze che si fanno sempre più aggressive. E una politica diffusa dell’educazione dovrà coniugarsi con una politica del lavoro e una nuova politica estera che guardi con prospettive assolutamente nuove ai mercati orientali. 

Ricostruire una legislazione del lavoro che non baratti per flessibilità ciò che è soltanto precarietà è uno degli assi della nuova Progettualità. Ma la politica estera non va affatto sottovalutata, se non vogliamo trovarci imbrigliati in una sorta di precarietà nei rapporti internazionali. 

Cinque secoli fa la “scoperta dell’America” aprì i mercati dell’Ovest e affondò il primato di Venezia sul Mediterraneo. Oggi bussano alle nostre porte i mercati dell’Est e il nostro Paese può costituire quel ponte mediterraneo che dia vita a un nuovo asse commerciale tra l’Europa e i Paesi emergenti dell’Asia. La politica aggressiva degli Stati Uniti ieri contro l’Irak, oggi contro l’Iran, può essere battuta solo se l’Europa è capace di assumere verso l’Asia un ruolo di protagonismo e di pace, ruolo di cui il nostro Paese può diventare un indispensabile alfiere. 

E’ in una strategia di questo tipo che le scelte del governo della Destra in materia di istruzione, in materia di lavoro e nella politica estera (l’asse Berlusconi-Bush) vanno assolutamente rovesciate, se si vuole far ripartire il nostro Paese con un ruolo promozionale per una nuova vocazione dell’Unione europea. 

Secondo una visione sistemica e progettuale dell’esercizio della politica, le tre direzioni indicate, l’educazione, il lavoro, la politica estera, dovrebbero, a nostro avviso, procedere contestualmente per avviare il nostro Paese su un cammino assolutamente nuovo ed originale. 

Per quanto riguarda l’istruzione, il primo obiettivo è quello di rileggere e tradurre in atto quanto è sancito nel novellato Titolo V della Costituzione: a) che lo Stato si limiti veramente a dettare le norme sull’istruzione e quei livelli essenziali che in tale materia devono essere garantiti dalle istituzioni scolastiche e formative; b) che le Regioni con gli Enti locali esercitino la loro legislazione, concorrente in materia di istruzione, esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale; c) e che le istituzioni scolastiche e formative possano veramente “insegnare” e “formare” – secondo metodologie le più integrate possibili – nella autonomia che è loro costituzionalmente riconosciuta. Liquidare al più presto tutte le invasioni di campo perpetrate dalla Moratti è un compito primario del nuovo governo. 

Per queste ragioni la scuola militante e il Paese devono pretendere in primo luogo due cose: a) un impegno reale del governo affinché i problemi dell’educazione siano affrontati contestualmente con quelli del lavoro e della politica estera; b) ed un ministro dell’istruzione di elevato profilo che sia veramente all’altezza di una situazione non facile! 

Roma, 13 aprile 2006 

Maurizio Tiriticco

 

 

DOPO LA VITTORIA ELETTORALE, TUTTI A BARBIANA CON UN CERO GRANDE COSÌ 

 

Ho aspettato tre giorni per recuperare la notte di incubi incollato alla tv e a internet, e avere la forza, finalmente, di scrivere un ragionamento di realistica speranza, finalmente libero dalle ritorsioni di cinque anni di acida vischiosità, che ha oppresso la libertà di parola a molti di noi. 

E’ finalmente primavera. Ha vinto il centrosinistra, forse torna la Politica, dopo anni di stramberie demagogiche e un mese di campagna elettorale da delirio. Una primavera regalata da 24.254 votanti in più e da emigranti che qualcuno pensava fascisti, forse perché non è stato emigrante e non ha visto, ad esempio, la cooperativa italiana di Zurigo, dove mangiavano Lenin e Pertini.  

Ma che paura! E che Italia! Un’Italia che a noi gente di scuola deve far pensare.  

Un’Italia non solo spaccata in due, ma dissociata al suo interno tra paure del presente, egoismo da portafoglio, corporazioni e bisogno di solidità/solidarietà. Il nuovo come paura. Una società né liberista né socialdemocratica, né cattolica né laica. Un’Italia-minestrone drogata dalla paura, che ha avuto nel berlusconismo l’effetto non la causa di una crisi civile e di speranza di lungo periodo. 

Per questo trovo formidabile la vittoria di Prodi, anche se sottile come un foglio di carta. Ridà a noi la speranza (e la difficile responsabilità) di una trasformazione del paese senza retorica, senza strappi, ripartendo dai fondamentali della democrazia: partecipazione, responsabilità, solidarietà, etica dei comportamenti, opportunità. Ritorna forse una difficilissima normalità, la politica senza eroi, il realismo mescolato al sogno. Normalità quanto mai ardua, per la quale spero che l’esigua maggioranza numerica dia ai soggetti politici vincenti l’umiltà di un lavoro con i piedi per terra ma la mente tra le stelle, per sanare il paese non solo dal punto di vista socio-economico ma anche da quelle tossine culturali e sociali che hanno reso il recente quinquennio irrespirabile. 

Certo per noi gente di scuola questa vittoria del centro sinistra è un trionfo almeno nelle parole. Da stamattina possiamo amabilmente ridere su parole strampalate come tutor e porfolio, considerare le indicazioni nazionali un incidente pedo-onirico, spariranno tra poco gli OSA (mai sigla mi è stata più antipatica, visto che ogni volta che viene detta tutti…si girano a guardarmi per la vicinanza al mio cognome). C’è già aria di pulizia dalle incrostazioni di un quinquennio di banalità pedagoghe spiegate male, militarizzate male silenziando il confronto e l’autonomia delle scuole.  

Per fortuna le scuole non hanno abboccato all’amo del silenzio, ma non si sono neanche fatte prendere dalle mosche cocchiere di sinistra che volevano “sinistrare” queste parole.  

Tutor, porftolio, OSA sono parole di una dannosa pedagogia del nulla, costruita sulla sabbia perfino per una cultura di destra liberale. Un pedagogismo di basso respiro, vecchio e moralistico, pura vendicatività di pedagoghi ombrosi gonfi di pessimismo sociale, con il mito della Famiglia, della Persona, tutti esseri maiuscoli quando poi si tagliavano posti di insegnante, soldi alle scuole, spazi di libertà didattica e organizzativa. Roba da San Patrignano, catene e carota. 

Dispiace, forse, che nella campagna elettorale di scuola si sia parlato poco, visto che questo era stato un terreno di scontro notevole in questo quinquennio, e forte fosse la dissidenza contro la Moratti anche dai bauscia lombardi che non vogliono pagare le tasse, ma vogliono il tempo pieno e poche fisime pedagogiche. Sempre Italia dissociata è, ma la grande maggioranza degli italiani non ama una scuola provinciale e bacchettona. 

Comunque, siate felici compagni/e e amici/che, ricordandoci che la resistenza è stata grandiosa. 

Sono molto vicino e ringrazio commosso quelle migliaia di insegnanti, dirigenti scolastici, genitori che in questi anni hanno resistito resistito resistito ad una pressione ideologica e fisica senza precedenti. E’ anche merito loro questa vittoria della serietà sulla demagogia. 

Soprattutto ha vinto l’autonomia delle scuole come filosofia strutturale dei rapporti tra governo nazionale e sistema formativo. Oggi l’autonomia sperimentata anche come autodifesa è il patrimonio più forte che questi anni di conflitto ha consolidato. Anche gli scettici di sinistra si sono accorti dell’enorme potenziale culturale dell’autonomia. Adesso, noi non possiamo che trarne frutto e rispettare questo scenario strutturale. Dall’autonomia conquistata con i denti si riparte per un nuovo patto culturale e civile tra insegnanti, scuole e politica. Nessuna altra Pedagogia di Stato, nessuna violenza pedagogica e organizzativa alle scuole. E’ ora di libertà e responsabilità. 

E da qui conviene, seriamente partire. Immaginiamo il primo anno di governo di Prodi sulla scuola. Immaginiamo che io abbia appena parlato con la candidata ministra dell’istruzione cercando qualche idea sul primo periodo, senza andare più in là solo per un fatto di energia fisica. C’è fretta di governare e di governare bene. E sappiamo che i primi periodi creano quell’incanto che aiuta a creare consenso, e che non si deve assolutamente sbagliare l’avvio. 

Facciamoci dunque una scaletta di lavoro immaginaria, non difficile peraltro da costruire. Immaginiamo, per ora, con il realismo oggi necessario e con la fredda ricognizione delle condizioni economiche e sociali in campo, alcune scelte di avvìo, compatibili con la fase. 

Partiamo con quattro che non costano nulla, almeno economicamente, ma che hanno gran valore. 

La prima, come ho già anticipato, è dare onore pieno all’autonomia delle scuola sgretolando subito i decreti applicativi della Legge 53 in relazione alla lesione degli ambiti di autonomia delle scuole: tutor, portfolio, tempo scuola, organizzazione didattica e così via. Da settembre, finalmente libertà di Pof e di progettazione. Accompagnare questa opzione con un intenso lavoro di riconciliazione e simpatia verso l’autonomia delle scuole anche in chiave locale. Quindi grande interesse a radicare l’autonomia scolastica come sorella delle altre autonomie locali. 

La seconda è avere il coraggio di partire da subito con una riforma radicale del Ministero dell’Istruzione che abbia al primo punto una seria revisione di quella zavorra data dallo spoil sistem e la sconfitta dell’ipetrofia ministeriale che avuto in questi anni un inatteso trionfo. Mai come in questi anni la burocrazia ministeriale è tornata forte e dominante, altro che liberismo! Ci vuole il coraggio di un nuovo patto tra amministrazione scolastica e politica: non più gestione burocratica e potere, ma solo supporto e indirizzo, un Ministero più leggero, e scuole più pesanti e padrone del proprio destino. Per questo iniziamo subito a smontare l’Invalsi, l’Indire, forse anche gli Irre, pensiamo in modo libero a strutture professionali di ricerca, valutazione, promozione che siano svincolate dagli apparati e dai politicanti. La scuola autonoma ha bisogno di supporti di serietà professionale e istituzionale, non di servi sciocchi. 

La terza è di cominciare subito a sgretolare le indicazioni nazionali bertagnesche con una grande campagna di discussione, confronto e dialogo tra scuole, accademie, ricerca, sui saperi essenziali della modernità, avendo a cuore un curricolo leggero e lento, affidato alle scuole come libertà e responsabilità, non come pista militarizzata di tanti PECUP o simili. Il nostro messaggio non può che essere “fare insieme”. Prodi lo dice anche di notte. Per la scuola non può che essere simpatia per l’autonomia e dialogo con tutti gli insegnanti. L’esatto contrario del “punto a capo” morattiano. Partiamo invece dal patrimonio di quello che la scuola è, ha sviluppato in questi ultimi 40 anni.  

La quarta è la più facile. Dopo un decennio di ingegnerie e paturnie, dire chiaro e tondo alla scuola dell’infanzia, elementare e media che non c’è per loro bisogno di alcuna riforma strutturale, ma di soldi (vedi dopo), di personale (vedi dopo), e soprattutto di libertà progettuale e territoriale. Significa sicuramente tutti istituti comprensivi, ma anche investimenti veri e integrati con il territorio perché sappiamo che la dispersione scolastica della scuola superiore comincia alla… materna e che quello che ha bisogno il nostro paese è di salvare tutti i ragazzi nella scuola di base con un forte investimento pedagogico e culturale. Poi c’è la riforma della superiore e l’auspicato biennio unitario, che sarebbe però una favola inutile se non ci fosse un investimento forte sulla scuola che viene prima, lì dove la forbice inizia o finisce.  

Ci sono, poi, alcune cose per cui la nostra futura ministra dovrà sgomitare e farsi sentire. Servono almeno 20.000 posti di insegnanti nel triennio solo per ripristinare una minima (non massima) qualità della scuola. L’Unione parla di sviluppo degli asili nido, ma anche della scuola dell’infanzia e non si può tacere sulla domanda di tempo scolastico non solo sociale ma soprattutto educativo. Un primo segnale va dato subito in organico di fatto. Ma ci vuole per l’anno prossimo il coraggio di lavorare per organici funzionali, dando alle scuole flessibilità e autogoverno, tagliando le unghie alle burocrazie romane e regionali, sviluppando un’analisi non solo della quantità, ma anche della qualità delle tipologie di insegnanti di cui abbiamo bisogno. Un buon decreto estivo deve aprirci almeno 1.000 sezioni di scuola dell’infanzia in più e altrettanti tempi pieni a cui finora si è chiusa la porta in faccia. Se serve meno computer e più insegnanti, meno corsi di aggiornamento inutili e insegnanti, meno burocrazia ministeriale e insegnanti, più lotta all’evasione fiscale e insegnanti. Ma se fosse utile, credo si possa perfino pensare ad un patto “storico” tra gli insegnanti e il paese per un biennio di moderazione salariale finalizzata ad avere più risorse di personale. Meglio 40 euro in meno di stipendio ma più insegnanti. Meglio sarebbe un segno più tra i soldi e le persone, ma se si dovesse scegliere ci vuole il coraggio delle priorità. La scuola, tra aumento demografico e aumento delle complessità infantili e pre-adolescenziali, così com’è non ce la fa più. Non si batte la dispersione con l’e.learning, né si garantisce una buona scuola con 28 alunni per classe. 

Servono poi soldi freschi alle scuole, almeno quelli della Legge 440 scippati alle scuole stesse per tutte le paturnie ministeriali e i nuovi poteri delle burocrazie. Basta con i ricatti dei “progetti”, basta con le liturgie burocratiche che scippano alle scuole il 40% del loro budget. 

Serve, più avanti nella prossima finanziaria, un nuovo “patto” tra politica, scuole, società per investimenti nuovi su strutture, personale, ricerca, capaci di essere selettivi e non con la solita pioggia clientelare italiana. Ma per ora con la ministra chiacchieriamo solo per i primi mesi. 

Serve, anche, ripristinare un minimo di serietà della scuola anche con una maggiore coerenza dei comportamenti, per esempio uno statuto deontologico che abbia valore disciplinare perché almeno si abbia la capacità di mandare via le mele marce. Ci vuole una politica contro il precariato perenne, ma qui vado troppo avanti rispetto alla mia chiacchierata con la ministra e ci vogliono altri tempi e altre pagine. Per ora penso al prossimo settembre: posti e soldi in più e l’avvio degli organici funzionali. Poi avremo tempo di tornare sul resto. 

Eppure, detto tutto questo sul contingente di una fase difficile e tumultuosa, penso che fin da subito serva rialzare l’anima della scuola, tornare a fare pedagogia e politica alta, cercare pensieri forti, ridare un senso a questa immane fatica di migliorare il paese. Perciò credo che questa vittoria debba ritrovare oggi una fonte grande cui riattingere la propria spinta valoriale.  

Il 21 maggio prossimo ci sarà la quinta marcia di Barbiana, finalmente non solo una marcia di lotta ma anche di speranza. La neo-ministra sarà in prima fila anche se le complicazioni istituzionali non l’avranno ancora formalmente eletta. Si tratta di rifare quel patto storico che quel benedetto pretaccio ci ha insegnato quarant’anni fa e che oggi è più valido che mai. Lì sono le nostre radici, quelle vere unitarie che attraversano tutti, persino alcuni improvvidi votanti a destra. Ci sono dalla Barbiana di Don Milani idee forti e c’è un quarantennale che cade l’anno prossimo a cui pensare per dirci che la scuola non nasce oggi, non ha bisogno di catarsi ingegneristiche ma di tornare ai propri fondamentali. Quest’anno la marcia di Barbiana diventerà la festa dei moltissimi che hanno resistito alla deriva e che credono in una buona scuola di tutti e di ciascuno. Sapendo che l’educazione o è radicale nei valori o è solo un allevamento di polli clonati. 

Forse però a Barbiana bisognerà andare tutti con un grande cero, perché solo il rotto della cuffia ci permette oggi di essere un po’ più felici e normali. Un cero grande così ad un’Italia che merita maggior fortuna e serietà. Una ministra che a piedi insieme a tutti noi cammini con i propri pensieri avrà un grande valore simbolico ma anche pratico.  

Ci insegna Don Milani che solo insieme se ne può uscire. E che questo si chiama Politica. Che è prima di tutti valori, sentimenti, desideri, partecipazione.  

Desideri di una scuola calda, lenta, appassionata dei bambini e dei ragazzi, non serva sciocca della sub-modernità. Così è una scuola per tutti, per queste nuove generazioni altrimenti perdute. 

Arrivederci al 21 maggio. Manca solo un mese.

Chi l’avrebbe mai detto la notte scorsa? Per questo il cero deve essere grande grande, come la nostra buona volontà e pazienza. 

Raffaele Iosa 

 

La scuola è di tutti: che fare dopo il voto ?   

 

“Grande è la confusione sotto il cielo, dunque la situazione è eccellente”. Probabilmente il Presidente Mao Zedong pensava all’Italia del post-berlusconismo, quando coniava questo famoso aforisma. Quello che pare sicuro è che questo aforisma calza a pennello con l’attuale situazione della scuola italiana. C’è una Riforma in atto applicata “poco e male” perché coloro che la dovevano applicare “tutta e bene” aspettavano che un plebiscito cacciasse Berlusconi e mettesse al suo posto delle forze politiche che, come prima cosa, abrogassero la Riforma.

Ci sono delle Indicazioni nazionali che aspettano di essere analizzate, discusse e modificate e che per due anni sono state osteggiate e dileggiate da molta parte della scuola italiana, perché venivano da una pedagogia familista e conservatrice e perché dal 10 aprile non ci sarebbero state più.

I Programmi non ci sono più dal 1999, ma quasi tutti li insegnano lo stesso. E via di seguito enumerando. Poi c’è lo sconforto degli insegnanti “di sinistra” che non accettano l’idea che qualcuno che la pensa diversamente possa parlare di scuola. E ci sono anche gli insegnanti che non vogliono cambiare niente.

Ma nella scuola ci sono anche quelli pronti a discutere, ragionare, rivedere; ad affrontare il problema della Riforma Moratti da un punto di vista culturale; ad utilizzare l’autonomia scolastica per ricercare e innovare in modo da proporre solidi cambiamenti alle Indicazioni nazionali. Credo sia importante abbandonare la polemica ed entrare in medias res. Dopotutto di non applicato c’è ancora molto (anche di derivazione berlingueriana) e il rapporto tra le scuole e il Miur è tutto da ripensare. Forse è da ripensare il Miur stesso, affidandogli anche la formazione professionale, in modo da realizzare un unico sistema italiano per l’istruzione e la formazione professionale.

Chi si deprime perché l’Italia non ha accettato la proposta di Romano Prodi farà bene a rileggerla. La parte sulla scuola è generica e inapplicabile (portare “le retribuzioni di tutto il personale al livello dei Paesi europei” significa pagare di più anche quello che fa poco o niente?; “immediata copertura di tutti i posti vacanti” significa assumere precari tramite sanatorie?) e tutto il programma indica più compromessi che reali innovazioni.

Se la scuola deve essere di tutti allora deve essere anche di quelli che votano a destra. Se non può esserci una scuola “di destra” non può esserci neppure una scuola “di sinistra”. Qualcuno si vanta di aver portato i bambini in piazza contro la Riforma Moratti: e questo rimane un grosso problema. I bambini non si portano in piazza contro qualcuno e non si portano a manifestare contro qualcosa che non conoscono. Se la sinistra ha strumentalizzato i bambini ha fatto male. Ora deve accettare di discutere una Riforma di destra lasciando da parte le ideologie e ragionando sulle didattiche. E’ possibile, infatti, che tante debolezze portino ad una scuola migliore: alla prepotenza della destra (imporre la Riforma) si voleva rispondere con la prepotenza della sinistra (abrogare la Riforma). E queste due prepotenze sono state neutralizzate dagli elettori. Non servono strappi ma dialogo.

S. Stefanel

 

Ma dove era il popolo della scuola che è sceso in piazza contro la "Riforma Moratti" ?
di Vittorio Delmoro 

L'intervento che qui proponiamo è ripreso dal sito ReteScuole e viene pubblicato con l'intento di promuovere un dibattito sui problemi evidenziati da Delmoro 
Dove è finito il popolo della pace, che invadeva le piazze ed esponeva le bandiere della pace? Ci dicevano che oltre l’80% degli italiani fosse contrario alla guerra in Iraq.
Dove è finito il popolo del lavoro, che in tre milioni invadeva Roma tre anni fa? Oltre dieci milioni di iscritti al sindacato, che in queste elezioni era chiaramente schierato.
Dove è finito il popolo della scuola, che ha portato in piazza pure i bambini? Se avessero fatto un referendum sulla riforma l’avremmo vinto di gran lunga. 
Scrivo queste tristi note sulla scia emotiva della cocente delusione elettorale, una delusione simile a quella di trent’anni fa (1976), quando la NSU, speranza nella quale avevamo riposto tutti gli aneliti di 8 anni di rivolte, arraffò la miseria di un’uno e mezzo per cento.
Lasciai allora la politica, come tanti e per fortuna non mi autodistrussi nella droga, come tanti, ma profusi tutte le mie energie nella scuola. 
Ci sarebbe voluto Berlusconi e la sua nefanda riforma a farmi tornare in attività : 5 anni di lotte, di fatiche, di sacrifici, per raccogliere la miseria di oggi.
A questo punto non so cosa mi salverà; il pensionamento, la famiglia, la cura per conservare la salute.
Sarebbe stato meglio se avessimo perso : la sindrome del fortino assediato mi è ormai congeniale.
Mi ero anche ben preparato : ripartire dalle 50,100 mila firme della nostra Legge Popolare, dalla rete dei contatti, dall’opposizione scuola per scuola, dal sindacato, dai Consigli; per una lotta di resistenza di lungo periodo, sapendo di essere circondati da eserciti di forza impari, ma fidando nella forza dei nostri ideali e nella nostra tenacia.
Una specie di ritorno alle origini, quando al mio primo voto elettorale annullai la scheda scrivendoci su non è il voto che decide, ma la lotta. 
Ora invece ci attende l’inciucio, la politica che converge al centro, il compromesso su tutto.
Ci attendono due mesi in cui la politica litigherà sul numero dei voti, così come successe alle elezioni americane del 2000 e poi cinque anni di stallo in cui non si toccherà quasi nulla delle precedenti riforme, né si farà nulla di quello per cui abbiamo lottato. 
Ci terremo la riforma moratti; magari senza tutor, ma col portfolio; magari senza 8 licei, ma col doppio canale; magari senza personalizzazione, ma coi tagli.
Ci terremo la legge 30, magari affievolita; ci terremo le truppe in Iraq, magari ritirandole a poco a poco; ci terremo la privatizzazione dei servizi, magari col concorso pubblico. 
Non me la sento di sopportare tutto questo, tanto più che non ne vedo un termine; un amico mi diceva stamattina sfogliando il giornale : cosa avrebbe dovuto fare Berlusconi di peggio di ciò che ha fatto per perdere voti?
Ecco, peggio di come sono andate le cose in questi ultimi anni forse non si poteva (ricordate che tutto cominciò da Genova) e se dunque ci troviamo ad avere dalla nostra solo la metà degli italiani, penso che non ci sia più speranza di redimere questa nostra terra, dove la pancia, l’egoismo, gli istinti più bassi l’hanno vinta ancora una volta.

Farinelli (Margherita): "E' urgente affrontare il problema delle risorse e degli organici"
di Reginaldo Palermo
Con questa intervista a Fiorella Farinelli, responsabile scuola della Margherita, cerchiamo di incominiciare a delineare i possibili scenari che si apriranno nelle scuole a partire da settembre.
A Fiorella Farinelli, responsabile del Dipartimento Scuola della Margherita abbiamo posto alcune domande sugli scenari che si apriranno nelle scuole subito dopo la formazione del nuovo Governo.
Nell’immediato, nei primi mesi di Governo, cosa bisognerà fare ?
Personalmente non ho dubbi: per prima cosa bisognerà trovare risorse finanziarie da trasferire alle scuole per ricostruire le condizioni che possa consentire alle istituzioni scolastiche di garantire il funzionamento ordinario.
Nè si potrà dimenticare il problema degli organici, in modo da consentire alle scuole di rispondere alle richieste delle famiglie.
Ma a settembre le scuole del primo ciclo dovranno ancora fare i conti con le norme del decreto legislativo 59 ?
Penso di no: nel decreto applicativo per il primo ciclo ci sono diverse cose da mettere a posto, come per esempio il problema degli anticipi e quello del tempo pieno
Vuol dire che ci sarà un provvedimento di legge durante l’estate ?
Questo non lo so: non ho studiato il problema del tipo di strumento da utilizzare, ma certamente occorrerà dare subito dei segnali di discontinuità rispetto alla riforma Moratti.
La questione degli anticipi nella primaria è molto delicata: le famiglie hanno mostrato di gradire ed eliminare questa novità potrebbe significare, di fatto, alimentare nuovamente il "mercato" delle "primine" gestite dalle scuole private
E’ vero, infatti io penso che questo problema vada affrontato tenendo conto delle specificità locali; non escludo che su questo punto le scuole possa decidere in modo autonomo in accordo con gli Enti Locali.
Che fine faranno le Indicazioni Nazionali ? Ci sarà una Commissione per riscriverle ?
Personalmente non credo che debbano esistere indicazioni nazionali: penso invece che si debbano valorizzare l’autonomia delle scuole e delle realtà locali. Ovviamente il "centro" dovrà definire con chiarezza livelli di competenze e standard validi per tutto il territorio nazionale.







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