QUESTA RIFORMA DELLA SCUOLA S'AVEVA DA FARE...O NO?
Data: Lunedì, 09 gennaio 2006 ore 00:10:00 CET
Argomento: Opinioni


Finito di sfogliare

l'ultimo rapporto Ocse

sullo stato dell'istruzione

nei Paesi membri dell’organizzazione,

chi può dire che non fosse necessaria

una riforma della scuola in Italia?

di Gaspare Barbiellini Amidei da Il Corriere della Sera del 7/1/2006



Fotografia internazionale: una scuola vecchia nei suoi docenti, ultraquarantenni al 90%, contro il 64% della media Ocse; una scuola priva di nuove idee e nuove energie, con solo l’1,8% di professori sotto i 30 anni, contro una media Ocse di 16 trentenni ogni cento docenti; una scuola nella quale la società investe il 4,9% del suo prodotto interno lordo contro il 5,8% dell’Ocse. In una struttura inefficiente abbiamo poco più di 10 alunni per docente nelle medie contro i 14,6 dell’Ocse. Il costo per alunno è più alto che altrove, 7.474 dollari contro i 6.081 della media Ocse. Però gli stipendi dei docenti sono fra i più bassi. A fine carriera un professore in Lussemburgo va in pensione con una retribuzione doppia rispetto a quella italiana. In compenso superiamo gli altri Paesi nei numeri del personale: 139 fra docenti e non docenti ogni 1.000 studenti, contro i 107 della media Ocse. Inoltre, una scuola povera di competenze matematico-scientifiche: siamo gli ultimi fra i tredici Paesi più industrializzati del mondo nei test per la soluzione di problemi scientifici. Siamo gli ultimi anche nelle competenze matematiche rilevate dai test del Pisa (Programme for International Student Assessment).

È un’Italia meno diplomata e meno laureata del resto del mondo avanzato, 10 laureati ogni cento cittadini contro i 24 dell’Ocse, 44 diplomati contro i 66 dell’Ocse.

Da questa sintesi straniera - con statistiche riferite in gran parte al 2003 - viene implicito l’invito a darsi una mossa. La riforma Moratti è nata nei suoi auspici e nelle sue giustificazioni con lo scopo di darsi questa mossa.

Finora i nodi maggiori non sono sciolti. Alcune premesse che si presentavano come centrali e risolutive parrebbero essersi illanguidite strada facendo. Eppure almeno su tre punti di debolezza che il rapporto Ocse segnala esistevano nelle carte iniziali della riforma formule per uscire dalla condizione di immobilismo.

1) La vecchiezza della struttura docente doveva essere superata con il meccanismo di reclutamento e di preparazione di giovani avviati alla laurea magistrale. Dopo una prima laurea triennale i futuri professori dovrebbero accedere a un percorso biennale di formazione specifica fino al conseguimento di un titolo forte. Poi dovrebbe cominciare un anno, retribuito, di praticantato con gli alunni in classe. I praticanti verrebbero affiancati da altri docenti esperti. Infine verrebbero la conferma e l’immissione in ruolo, a 25-26 anni. Tutto questo è ancora teoria. Fra i 35 mila precari (giustamente) immessi di recente nei ruoli, solo il 2% ha meno di 30 anni, il 20% ne ha più di 50.

2) L’inferiorità numerica della popolazione italiana nella scolarizzazione medio-alta poteva essere superata da un efficace e dignitoso avvio del percorso alternativo di istruzione e formazione professionale, che la Costituzione affida alle Regioni. È tutto fermo.

3) La povertà delle competenze matematico-scientifiche doveva essere affrontata anche liberando il sistema dell’istruzione dall’antica gerarchia piramidale socio-culturale. Doveva ridursi la licealizzazione degli studi più ambiti, che hanno al vertice il liceo classico. Sta per ora succedendo il contrario di quanto si programmava, c’è un boom di iscrizioni ai licei, classico in testa.

Con dati che risalgono al 2003, l’anno stesso del varo formale della legge Moratti, è presto per proclamare definitivamente il fallimento della riforma. Ma non c’è da essere ottimisti.

davvero singolare l’articolo

pubblicato ieri dal Corriere.

di Letizia Moratti, Il Corriere della Sera dell'8/1/2006



È davvero singolare l’articolo pubblicato ieri dal Corriere «Eppur (non) si muove», nel quale Gaspare Barbiellini Amidei commenta il Rapporto Ocse sulla scuola e sull’università. Egli infatti ammette che i dati riportati risalgono al 2003, anno di avvio della riforma, per cui «è presto per proclamarne definitivamente il fallimento». E conclude: «Ma non c’è da essere ottimisti». Perché tanto gratuito disfattismo? Se quei dati sono superati e non possono tener conto degli effetti della riforma, per quale motivo l’autore non ha preso in alcuna considerazione i significativi risultati raggiunti negli ultimi anni? Questi risultati sono stati tempestivamente diffusi con le relazioni annuali degli organismi di valutazione, l’Invalsi per la scuola, il Cnvsu per l’università e il Civr per la ricerca. Sin dall’inizio del mio mandato ho avviato una politica di rigorosa valutazione attraverso questi enti indipendenti. È in base a questi dati che ritengo opportune alcune puntualizzazioni, perlomeno sui tre punti principali enunciati nell’articolo.

La vecchiezza della struttura docente: con le 130.000 immissioni in ruolo a partire dal 2001 abbiamo «svecchiato» notevolmente l’età media degli insegnanti. Ma il passaggio fondamentale è costituito dal nuovo sistema di reclutamento dei docenti. Il decreto attuativo è stato approvato meno di un anno fa, gli effetti li vedremo con l’applicazione delle nuove norme, dall’anno scolastico 2007-2008. Questo sistema garantisce insegnanti più giovani, più qualificati e con la certezza del posto di lavoro.
L’inferiorità numerica della popolazione italiana nella scolarizzazione medio-alta: il dato Ocse relativo ai diplomati si riferisce alla fascia d’età 24-64 anni, sulla quale ovviamente non si può intervenire. Per la fascia d’età 18-24 anni, invece, siamo oggi nella media europea, ossia all’80% rispetto al 70 del 2001. Anche per quanto riguarda i laureati il rapporto 2005 del Cnvsu, Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, ha evidenziato un forte incremento, 220.000 all’anno, con un aumento del 30% rispetto al 2001, mentre il tasso di abbandono degli studi è sceso dal 65 al 40%. Per quanto riguarda la formazione professionale, siamo passati da un insieme di percorsi non strutturati affidati alle regioni e privi di valenza nazionale ed europea a un sistema organico e strutturato collegato con il sistema dei licei e di pari dignità. Questo permetterà di incrementare notevolmente il numero dei diplomati con qualifiche e titoli spendibili in tutta Europa.

La povertà delle competenze matematico-scientifiche: il rapporto Invalsi, Istituto nazionale di valutazione del sistema dell’istruzione, presentato un mese fa, rileva che, dopo anni di progressivo declino testimoniato dall’indagine Ocse-Pisa, le competenze degli alunni in matematica, oltre che in grammatica, stanno migliorando, mentre l’iscrizione alle lauree scientifiche è in netta ripresa (?10%) grazie a uno specifico progetto finanziato dal Ministero.

Altri punti meriterebbero di essere precisati, tra i quali quello relativo agli stipendi degli insegnanti, ora vicini alla media europea, essendo aumentati mediamente negli ultimi 4 anni di 274 euro mensili. Ma ritengo che i dati che ho riportato smentiscano ampiamente quelli dell’Ocse. La scuola italiana, dopo decenni di immobilismo, finalmente si è mossa. Sta ora a tutte le persone che hanno a cuore le sorti dei nostri giovani e il futuro del Paese portare avanti questo percorso.

Letizia Moratti mi accusa.

di Gaspare Barbiellini Amidei da Il Corriere della Sera dell'8/1/2006



Letizia Moratti mi accusa di «gratuito disfattismo». Preoccupante è sempre il deficit mnemonico in una scuola che dovrebbe fare della memoria il suo pilastro.

In cento articoli ho ripetuto la mia convinzione che non bisogna scoraggiarsi davanti alle carenze del sistema e ancora ieri il mio articolo 101, così scortesemente contestato, si apriva chiedendo: «Chi può dire che non fosse necessaria una riforma della scuola in Italia?».

Peccato che lo spazio tiranno abbia lasciato cadere la mia frase conclusiva: «Chi minaccia totali cancellazioni postelettorali della riforma, sarebbe bene rimeditasse le carte dell’Ocse». Moratti si domanda perché io non ho «preso in considerazione i significativi risultati raggiunti negli ultimi anni».

Vedo che i ricordi si illanguidiscono ancor più, dato che perfino nell’intervento di ieri tornavo a ribadire che ritengo positivi i punti programmatici della riforma sul reclutamento dei giovani docenti e sull’intenzione di dare pari dignità ai due percorsi, quello liceale e quello della istruzione e formazione professionale.







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