ANTONELLUS MESSANEUS ME PINXIT
Data: Giovedì, 15 dicembre 2005 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


ANTONELLUS MESSANEUS ME PINXIT… Paesaggi e volti di Sicilia nelle opere di Antonello da Messina, incomparabile pittore della memoria… A Messina, dicono le storie, nacque un pittore che, forse per celebrare quella sua città, era solito quasi sempre firmare i quadri su un cartiglio dipinto e collocato in basso, con la seguente musicale frase: “Antonellus Messaneus me pinxit”. E dopo di lui, frutto insolito e inatteso, bisognerà attendere la folgorazione caravaggesca per tornare a parlare di artisti meridionali, di Napoli e di Sicilia. Antonello da Messina, glorioso pittore siciliano rinascimentale, è un artista misterioso, di cui invano si cercherebbero notizie che ne delineino la personalità umana. Strano, ma vero: la sua vita è avvolta nel mistero e affidata alle testimonianze di atti legali, contabili e processuali; parlano solo le sue opere, preziosi dipinti disseminati qua e là per il mondo, frutto di un’anima inquieta. E, in effetti, tutto quel che lo riguarda è presumibile e mai certo: la data di nascita, il 1430, gli anni dell’apprendistato a Napoli presso il più grande pittore meridionale del tempo, Colantonio, (il quale, però, come scrive il Summonte, uno dei primi storici della pittura meridionale, “non arrivò, per colpa delli tempi, alla perfezione del disegno delle cose antique, sì come ci arrivò il suo discepolo Antonello da Messina”!), la sua presenza a Milano e il suo contatto con Petrus Christus, pittore fiammingo di Bruges, che gli avrebbe insegnato la maniera dei pittori d’oltralpe. Eh, già, il fiamminghismo: Antonello usa per la prima volta, o meglio riscopre in Italia la pittura a olio, così come ci informa il Vasari ( “fece molti quadri a olio, secondo che in Fiandra aveva imparato”), convinto che egli fosse stato proprio lì a carpire il segreto dai grandi artisti fiamminghi.E invece la Fiandra per Antonello era lì, a Napoli e in Sicilia: ecco perchè per lunghi anni non si mosse da Messina, dove numerose opere, molte delle quali purtroppo perdute, gli venivano incessantemente commissionate. Eppure da qui, da un’isola ai confini del panorama artistico italiano, Antonello stava silenziosamente compiendo una grande rivoluzione pittorica, divenendo maestro del colore lucente, splendido, brillante, unito al gusto tutto fiammingo dei particolari, senza trascurare, “folgorato sulla via di Arezzo” dagli affreschi di Piero della Francesca, la prestigiosa tradizione italiana del suo tempo, dominata dal trionfo della prospettiva e della luce. Artista straordinario dunque Antonello, maestro del colore, della luce e della prospettiva. E soprattutto artista della memoria.Sì, perché egli, sempre perennemente legato alla sua Messina, anche dopo aver messo da Napoli, da Venezia, (dalle Fiandre, da Milano, da Roma?) tra sé e la sua città una distanza infinita, la ripensa e la ricorda nostalgicamente, tratteggiando un po’ della nostra isola in ogni sua opera. Ed ecco allora, in questa straordinaria pittura memoriale, la Crocefissione di Sibiu, dove, afferma Cesare Brandi, “nello sfondo già idoleggia, il giovane siculo, la straordinaria situazione della sua città, con i Peloritani e le Eolie”; la stupenda Crocefissione di Anversa e quella di Londra; la Pietà di Venezia e il San Gerolamo di Londra. In esse guardiamo e rimaniamo abbagliati dalla luce del cielo e del mare dello Stretto; e riconosciamo, stupiti, i colli di San Rizzo, le Eolie affioranti a pelo d’acqua, la Rocca Guelfonia, la Chiesa di San Francesco, il bel Duomo, la falce del porto col forte di San Salvatore e la suggestiva lanterna in punta. La Sicilia, il suo mare e i suoi colori, paesaggi mediterranei a noi tanto cari, vivono nel mondo grazie ad Antonello, immortalati dal suo magico pennello. Ma non solo.I suoi dipinti presentano una galleria straordinaria di volti tipici della nostra isola, quei volti a cuore d’oliva, misteriosi, inaccessibili, remoti, carnosi, veri e beffardi o sprofondati in tragedie e in dolori inconsolabili. Su tutti spicca il famoso ritratto d’uomo del 1470, oggi al Museo Mandralisca di Cefalù, una vera gemma della pittura quattrocentesca, detto anche dell’Ignoto marinaio, trovato casualmente dal barone Mandralisca a Lipari, nella bottega di uno speziale. Indimenticabili, a chi li osserva, appaiono i suoi occhi, luminosi e ammiccanti, e il sorriso, incarnazione della furbizia viva dei siciliani. Così come si fissa per sempre nella mente il perfetto ovale bruno e quasi contadino dell’ Annunciata della Galleria Nazionale di Palermo, che con la sua mano destra sembra invitarci ad arrestare lo slancio di spettatori verso di lei, donna e madre di Gesù; e l’altro bel volto di Madonna, umano e delicato, della tavola del Polittico di San Gregorio, commissionato dalla badessa del monastero di Santa Maria alle Monache per la Chiesa di Santa Maria extra moenia a Messina, oggi al Museo Nazionale del capoluogo peloritano. “Sicilitudine” profonda, questa delle opere di Antonello, che è stata anche triste “sicilitudine” della loro sorte. Molte, infatti, tra cui quest’ultima, sono state vittima dei terribili terremoti che hanno sconvolto la nostra isola.E, per ironia beffarda della sorte, al pari di tanti suoi capolavori, anche la sepoltura di Antonello sarà destinata a perdersi, vittima della crudeltà del clima: nel 1863 un’alluvione travolgerà il piccolo cimitero del convento di Santa Maria del Gesù, e con esso le spoglie del più grande, straordinario e famoso pittore siciliano di ogni tempo. Silvana La Porta





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