LA SCUOLA PRECARIA BRUCIA UN PATRIMONIO
Data: Martedì, 21 giugno 2005 ore 06:05:00 CEST
Argomento: Comunicati


La scuola precaria brucia un patrimonio 20 giugno 2005 - Repubblica Caro Augias, sono insegnante di filosofia in una scuola genovese, sono "precaria", significa assunta il 1° di settembre e licenziata il 30 giugno dell'anno dopo. Mi sono state assegnate 7 classi del triennio, circa 170 alunni, 170 volti e nomi, storie tutte diverse, dal punto di vista sia scolastico sia familiare e personale In dieci anni di precariato non ho mai avuto il bene di capitare nella stessa scuola, e quindi di ritrovare gli stessi alunni. Non ho perciò mai potuto verificare se le cose che ho insegnato sono rimaste, se hanno aiutato a pensare, fatto nascere amore per le idee oppure se non hanno lasciato traccia. Si deve giungere alla fine di un ciclo per capire la bontà di un insegnamento, valutare se ha aiutato un giovane all'autonomia del pensiero, fatto nascere in lui quella curiosità che rende la vita una continua scoperta. Lo Stato ci prende e ci lascia (pare che siamo 200mila) incurante della continuità didattica, del fatto che non ritroveremo gli stessi alunni e loro non ritroveranno molti dei propri insegnanti. La ragione di questo enorme spreco di energie, neanche a dirlo, è economica: qualcosa si risparmia per i mesi non pagati, soprattutto si tengono molte persone con lo stipendio-base mentre, in caso di immissione in ruolo, dovrebbe essere adeguato agli anni di servizio con versamento di arretrati, e siccome soldi per la scuola non ce ne sono, si continua con questo assurdo balletto di insegnanti. Quando riesco a essere ironica sulla mia situazione scommetto con me stessa se arriverà prima il ruolo o la pensione, quando sono un po' più scoraggiata, penso che arriverà prima la morte. Mi restano le centinaia di volti di ragazzi che ho incontrato in questo mestiere che a me sembra il più bello del mondo. Patrizia Rimossi, Genova patrizia-rimossi@libero.it H o sempre pensato che il vero patrimonio della scuola siano gli insegnanti che giudicano il loro mestiere "il più bello del mondo". I programmi e le 'riforme' dei ministri vengono dopo, molto dopo. Chi dimostra una tale passione è sicuramente un ottimo insegnante perché quel mestiere è fatto certo di competenza professionale ma anche di molta passione e d'una certa attitudine teatrale, intendo proprio recitazione perché non c'è trasmissione del sapere senza un forte coinvolgimento emotivo. Insieme c'è ovviamente la 'cultura'. Definisco colta una persona capace di ragionare, di conoscere e soprattutto di articolare in una visione globale e in un sistema di valori le proprie conoscenze; in questo senso un insegnante dovrebbe essere 'colto'. E' certamente 'colto' il professore che insegna il rispetto della libertà, la correttezza logica di un ragionamento, la distinzione tra ciò che è oggetto di fede e ciò che è oggetto di ragione, tra ciò che compete alla razionalità e ciò che appartiene al sentimento, ciò che si può dimostrare e ciò in cui si può credere. La lettera di Patrizia Rimossi fa pensare a tutto ciò che perdiamo come investimento sul futuro scoraggiando tanti insegnanti, sballottandoli di qua e di là, togliendogli ogni sicurezza. Mi fa anche pensare che in un possibile (?) governo diverso da questo, sarebbe questa una voce da mettere al primo posto, o comunque tra i primi. Mi piacerebbe sentirlo dire, con forza, quando parlano in Tv. Invece non succede mai.





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