Gli insegnanti (bravi) hanno una vita (di ………). ed è difficile immaginare altro…
Data: Venerdì, 22 ottobre 2021 ore 10:27:17 CEST Argomento: Rassegna stampa
Un
incontro quasi casuale con una collega e suo marito. Ci sediamo e
scambiamo due chiacchere. Lui lavora
nell’ambito delle emergenze, con turni di notte, reperibilità, missioni
fuori
regione. Lei è
un collega, maestra di scuola primaria.
Ad
un certo punto, mentre sta raccontando un intervento della sua
squadra, Lui ci
fa una domanda: “Perché è più semplice
pianificare una squadra di emergenza che il lavoro di una maestra? Io
ho la
reperibilità, e so che devo partire se mi chiamano. Ma Lei è
in servizio permanente, dopocena, sabato,
domenica…. Ti sembra normale?”
Lei gira
gli occhi al cielo, e mi invita: “Prova a spiegarglielo tu, che io mi
sono arresa…”
Partirei
dalla parola “normale”, usata
da Lui.
E
la risposta è semplice: NO, non è normale che una lavoratrice dedichi
tutto il proprio tempo al lavoro. Non è normale, e non va bene.
Se
invece per normale intendiamo comune o diffuso, allora la risposta è
SI’, una parte degli insegnanti lavora tanto, troppo. E questo è un
serio
problema.
Ma c’è un
problema ancora più serio: dell’iper-lavoro degli insegnanti non frega
niente a
nessuno – dirigenti, sindacati, ministero… – a parte i loro familiari,
che ne
subiscono pesantemente le conseguenze.
C’è
un
gravissimo problema strutturale che rende impossibile alleggerire il
carico di
lavoro delle insegnanti: non di tutte, di quelle brave. Per problema
strutturale intendo un’organizzazione che nel suo “ultimo miglio” (le
scuole)
non è minimamente ordinata per rispondere in maniera adeguata alle
esigenze di
un buon servizio. E questo riguarda tutte le scuole e le istituzioni
educative,
dagli asili nido fino alle scuole superiori.
Nel
contratto di lavoro della scuola (statale – le scuole paritarie e
private
stanno anche peggio) c’è un punto specifico: “l’attività funzionale
all’insegnamento è costituita da ogni impegno inerente alla funzione
docente…”
che prevede il lavoro che gli insegnanti svolgono a casa per preparare
le
lezioni e per correggere gli elaborati. Mentre per i compiti che un
docente
svolge a scuola è previsto un certo numero di ore, il lavoro domestico
non ha
nessuna definizione temporale. Ed è veramente così: puoi non fare
nemmeno
mezz’ora, oppure puoi passare 70 ore alla settimana davanti al PC o
sulle
verifiche degli alunni. Nessuno controlla, nessuno rendiconta.
C’è
una
sorta di teoria a monte, per cui sarebbe impossibile capire quanto
un’insegnante lavora a casa (così implicitamente sostengono sindacati e
ministero…); ma c’è una pratica quotidiana costituita da lezioni ben
preparate
e da elaborati analizzati, corretti e valutati con serietà. Lo sanno
bene gli
alunni, ma lo sanno bene anche le famiglie. E in realtà lo sanno bene
anche i
dirigenti. Come dire, la qualità è un fattore ben visibile.
Quindi,
brave insegnanti e pessime insegnanti non vedono nessuna differenza di
trattamento, né economico, né di altro tipo.
Ma
questa
è solo una parte del problema.
Perché
la questione vera è un’altra: i bravi insegnanti spendono una
quantità immane di ore a casa, e se anche venissero ben retribuiti per
questo, resta
il dato di fatto che è sbagliato sovraccaricare così un
lavoratore. Perché i bravi insegnanti non riescono a lavorare di meno:
senso di
responsabilità, etica, deontologia, passione, rispetto….
È
il
sistema sbagliato.
Una
prima
questione…
Un
problema
strutturale è la suddivisione delle discipline rispetto alle ore di
lavoro e al
numero delle classi e degli alunni nelle classi.
Una
classe con 28 alunni o una con 14 per definizione non possono avere la
stessa
quantità di lavoro a casa. Eppure il dato – oggettivo – non conta.
Alcune
discipline prevedono elaborati e progettazioni ben più cospicui di
altre, che
prevedono metodi di insegnamento meno strutturati.
Che
cosa
vuol dire?
Io
ho
insegnato italiano alla scuola primaria, in due classi di 24 alunni
ciascuna.
Quando ho insegnato a scrivere i testi – temi, riassunti, piccole
relazioni –
mi ritrovavo ad avere come minimo 48 elaborati da correggere ogni
settimana. E
in più c’era tutto il resto – dalla lettura alla grammatica. Le
colleghe di una
scuola superiore o di una scuola media hanno quantità analoghe o
superiori di
lavoro domestico.
Per
alcune discipline il numero degli alunni andrebbe limitato: una classe,
tenendo
in conto che è la somma del lavoro in classe più quello a casa che fa
il
totale.
Siamo
lontani anni luce: abbiamo
insegnanti che si occupano di più discipline, in più classi – e sono
quelli
costretti a ritmi di lavoro da manifattura del 1800.
Se
l’insegnante è brava, significa che è anche affidabile, responsabile,
partecipe della vita della scuola.
Questo
si traduce in soma.
Quell’insegnante
sarà la bestia da soma su cui il sistema-scuola scaricherà
tutta una serie di funzioni (e quindi lavori) che a ben vedere è
difficile
spiegare perché.
L’insegnante
da soma coordina una classe – ovvero è il primo referente per
colleghi e genitori.
L’insegnante
da soma potrebbe facilmente essere coordinatrice di un plesso (cioè di
una
delle sedi della scuola) e allora faranno riferimento a lei tutti i
docenti,
personale ATA e forse anche alcune famiglie di quella sede.
AH…
naturalmente coordinamento di classe e coordinamento di plesso molto
spesso si
sommano, perché alcuni insegnanti da soma sono più da soma di altri…
Ma
non basta: potrebbero coordinare un dipartimento, oppure essere
referenti per alcune aree di lavoro della scuola, che con una pessima
denominazione si chiamano “funzioni strumentali” – per esempio per
l’informatica, l’inclusione, la continuità… e molte altre. Nel
contratto si
dice esplicitamente che non è previsto che le funzioni strumentali
abbiano
esoneri dalle ore in classe. Per definizione sono ore di lavoro che si
aggiungono a quelle che normalmente vengono svolte. Funzioni strumentali,
non esseri umani…
Quanti
sono gli insegnanti disposti a trasformarsi in bestie da soma di
questa entità? Va detto: sono pochi, e proprio su quei pochi il sistema
insiste.
La
responsabilità viene premiata con carichi di lavoro sempre maggiori.
Paradossalmente,
l’affidabilità diventa una pecca di cui bisognerebbe
liberarsi al più presto – pena l’essere scoperti presto e trasformati
inevitabilmente in insegnanti da soma.
È
un sistema crudele, che fa pagare a qualcuno la sua inefficienza
precostituita.
Perché
–
la domanda è fondamentale – il sistema scuola non prevede che ci sia
qualcuno
che fa questi lavori, che hanno poco a che fare con l’insegnamento.
Perché una
maestra deve coordinare un plesso di 15 classi? Perché non c’è una
persona
dedicata al funzionamento di quella sede? Perché un’insegnante di
italiano si
deve ogni giorno preoccupare dei colleghi assenti e di come sostituirli?
Il
preside da solo – con anche un vicepreside al fianco – non è
materialmente in
grado di svolgere tutte le funzioni; e il sistema delega agli
insegnanti il
completamento di quel lavoro che un preside non fa.
(È
vero,
ci sono gli uffici amministrativi – che si occupano meramente
dell’amministrazione, anche loro ampiamente sotto organico. E che non
si
occupano di molte questioni prettamente organizzative – mascherate come
didattiche, ma è un imbroglio semantico.)
Terza
questione
La
brava
insegnante si aggiorna. Corsi, on line e in presenza, conferenze,
studio sui
libri. Questo riguarda naturalmente tutti gli insegnanti, a prescindere
dalle
discipline.
Che
cosa distingue l’insegnante aggiornato da quello stantio? Nulla….
Nessun riconoscimento, nessuna progressione di carriera, nessun
incentivo. Che
tu faccia o meno, al sistema non interessa. Di nuovo la differenza la
vedono
gli alunni, tra un insegnante che vive nella cultura e nella scienza, o
quello
la cui lettura si ferma alla Gazzetta dello Sport o a Donna Moderna.
Nelle
scuole statali ci sono i famosi 500 €, uguali per tutti. Nessun
controllo, se
non quello di un sistema un po’ farraginoso che si finge rigoroso, ma
che in
realtà è solo (un po’) complicato.
Quando
è
che la brava insegnante studia?
Ovviamente
a casa…
Come
se
la formazione degli insegnanti potesse essere opzionale per il sistema
scuola e
non una priorità.
Nelle
indagini europee, gli insegnanti italiani sono fra gli ultimi per grado
di
soddisfazione professionale.
Mi
stupisco che qualcuno si stupisca.
E
infine la quarta questione.
Lui si
chiede perché…
Lei gli
spiega perché…
Lui non
capisce…
In
questo gioco al massacro, il giocatore “sano” è Lui:
che chiede e non capisce.
Non
capisce
che Lei spieghi
la sottrazione alla
vita familiare.
Non
comprende come Lei argomenti
la rinuncia ad
uscire più spesso con i bambini.
Si
stupisce che Lei non
guardi un film insieme
a Lui. O che non legga un libro seduta in poltrona.
Lei dice
che non trova il tempo.
Ed
è
vero, glielo hanno tolto tutto.
Senza
dirglielo, facendolo credere un evento naturale.
Essere
a
ottobre e sentirsi stanche come in maggio. Le vacanze non sono più
nemmeno un
ricordo.
La
quarta
questione è la qualità di vita degli insegnanti bravi, professori,
maestre ed
educatrici. Di sostegno e curricolari. Dei nidi, dei licei, delle medie
e dei
professionali…
Una
qualità di vita sempre più impoverita e dura.
In
molti studiosi si chiedono come mai il lavoro educativo sia diventato
un’area esclusiva delle donne. C’è chi tira in ballo il prestigio
professionale
decaduto.
Io
credo che una delle risposte sia nella drammatica capacità delle donne
di sacrificarsi, di sopportare dolori e fatiche.
È
un prezzo alto quello che viene pagato, anche dagli uomini che
insegnano.
Lo
fanno perché sanno che il sistema si regge – molto – sulle loro spalle.
La
buona scuola si fonda sulla vita di merda dei suoi migliori insegnanti.
dal profilo
fasebook di
Stefano Zoletto, 17.10.2021
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