L’uomo dal fiore in bocca, di Pirandello, al Castello Ursino per la rassegna 'Catania Summer Fest'
Data: Venerdì, 04 settembre 2020 ore 06:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Inserito nel cartellone estivo del “Catania Summer Fest”, organizzato dall’Assessore alla Cultura del Comune di Catania, Barbara Mirabella, ritorna in scena “L’Uomo dal fiore in bocca”, di Luigi Pirandello, domenica 20 settembre 2020, alle ore 21.00, nel cortile del Castello Ursino di Catania, con dedica a Pino Caruso e a Rosa Balistreri, nel 30° della scomparsa di quest’ultima. Regia e adattamento del testo di Pino Pesce, con Mario Opinato (l’Uomo dal fiore in bocca), Gabriele Vitale, (l’Avventore), Luisa Morales Ippodrino (l’Allegoria della Vita), Valentina Signorelli (l’Allegoria del Tempo). Musiche di Elisa Russo. Voce fuori campo di Pino Caruso. Presenta la serata Lella Battiato Majorana. E’ previsto un omaggio di brani musicali all’impareggiabile cantante di Licata a cura di Gloria Santangelo. E al dramma, tra i più intensi e significativi della produzione teatrale di Pirandello, pur lasciando inalterato l’impianto del testo, sono state apportate delle “integrazioni” testuali, curate del prof. Pino Pesce, con scrittura, video e danza. La rappresentazione è arricchita dalla voce suggestiva e genuina, fuori campo, dell’indimenticabile Pino Caruso e dal timbro passionale del bravo attore professionista Mario Opinato.

Nel dramma c’è tutta la poetica di Luigi Pirandello, il suo profondo senso della vita che vacilla e che vuole restare attaccata “come un rampicante attorno alla sbarra d’una cancellata”. Ma c’è soprattutto l’uomo, pieno d’ardore e di vita, almeno fino “all’attimo prima”, quando, improvvisamente «sa di dover morire di cancro, tra non molto. Dapprima, “l’uomo del fiore in bocca” sembra non preoccuparsene, ma non è così; cerca infatti la vita con “l’immaginazione”, cerca la vita nella vita degli altri, degli sconosciuti, come quella d’un oscuro “avventore”. “La vita è simile alle “buone albicocche”, che vanno spremute tra le dita e mangiate succhiandole. E la vita vale la pena sempre d’essere vissuta, anche quando sembra una “triste buffonata”, perché fatalmente “abbiamo in noi la necessità di ingannare noi stessi”. Ed è un inganno vitale! Sempre!».

Deliziosa è la descrizione delle commesse che avvolgono la stoffa per i clienti, “sbirciate per ore e ore”, o il “dialogo con le sedie”, in un salotto buono d’un medico di provincia: non sai mai chi sono e cosa pensano chi occupa quelle “piccole e insignificanti sedie”. La vita è un fluire nel nulla, un correre a perdifiato, una corsa nel vuoto! O forse no!? «E se si desse senso al non senso pirandelliano – si chiede Pesce, nella chiusura – immaginando una possibile rinascita, una nuova via d’uscita, dopo il trapasso, che dia proprio consistenza ai ragionamenti paradossali, legati soltanto al mondo sensibile!? E se “l’altro da sé” andasse oltre “l’uno, nessuno e centomila”, della vita sensibile e fosse invece unità, senso e un’altra vita che conduce alla perfezione finale!?». E poi il finale, con “Di sera, un geranio”, dove viene dipinto lo scetticismo cupo pirandelliano, e dopo il buio sul palco, che dura un attimo o un’intera vita.

Rivive il protagonista che si rincontra con l’avventore, nello stesso bar, per parlare con la speranza “in bocca”, come non l’aveva mai fatto prima, come non l’aveva immaginato più. E alla fine, la domanda di chiusura senza certezza, «Non c’è un segreto filo che porta alla Verità Assoluta!? No, cari signori, non è dato saperlo, né a voi, né a me!». Queste ultime riflessioni, le quali cercano il senso dell’oltre, sono la novità della “pièce” che in ogni caso testimoniano come il teatro sia la rappresentazione della vita attraverso la vita.

Angelo Battiato





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