Alceo di Mitilene, poeta e combattente dell’antica Grecia
Data: Marted́, 16 giugno 2020 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Alceo è stato tra i più significativi e originali poeti dell’antica Grecia, cantore della libertà, dell’amore e dei piaceri del vino che ha celebrato con versi immortali, ha combattuto per la sua città, contro le ingiustizie e la tirannia. Conterraneo e contemporaneo della famosa poetessa Saffo, nacque a Mitilene, nell’isola di Lesbo, attorno al 630 a.C., da una famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie storiche, così come delle sue opere ci sono pervenute solamente alcuni frammenti, tra i quali, “Inno ad Apollo” (solo il primo verso, ma possiamo ricavare la parafrasi da un’orazione di Imperio); “Inno a Hermes” (solo la prima strofa); “Inno ai Dioscuri” (che ha un precedente nel XXXIII inno omerico e un seguito nel XXII idillio di Teocrito); “Canti conviviali” (dove celebra i lieti banchetti e i convitti dell’eterìa); “Carmi della lotta civile” (canti politici e di battaglia).

Sappiamo che la sua opera venne divisa dagli alessandrini in 10 libri, ordinati per argomento: inni agli dei, canti delle lotte civili, canti conviviali, simposio, canti erotici, e altri canti, di cui rimangono circa 400 frammenti. Celebre rimane l’immagine nella quale paragona la sua città, Mitilene, ad una nave, il mare alle alterne vicende, e la tempesta alle battaglie, l’immagine della nave sbattuta dalla tempesta come metafora del travaglio dello Stato in pericolo (“Non riesco a capire la rissa dei venti...”). Fin dalla sua più giovane età, quando ancora non “poteva entrare in guerra”, Alceo partecipò alle lotte contro Melancro, il tiranno della sua città, insieme ai suoi fratelli Kikis e Antimenida e a Pittaco (che la tradizione annovera tra i Sette sapienti di Miletene), e nel 612 a.C., dopo alterne vicende, riuscì a sconfiggerlo e a cacciarlo dal trono, dando così avvio a violenti scontri fra gli aristocratici e il popolo, alla fine dei quali prese il potere Mìrsilo.

Ma anche contro il nuovo tiranno il giovane Alceo non ebbe vita facile, infatti, insieme ad altri nobili della città, tentò di organizzare una congiura, ma fu scoperta e sventata (forse denunziata dallo stesso Pittaco) e così il poeta fu costretto ad esiliare presso la città di Pirra. Alceo poté ritornare in patria solamente alla morte del tiranno, intonando un canto di giubilo: «Era ora! Bisogna prendere la sbornia. Bisogna bere a viva forza, dal momento che è morto Mìrsilo». Dopo la sconfitta e la morte di Mìrsilo, giunse l’ora di Pittaco, l’antico commilitone di Alceo, che diventò “Aisumnétes” (arbitro), un sorta di “Tirannide elettiva”, con pieni poteri.

Ma Alceo anche stavolta ruppe l’antico patto di amicizia e di alleanza con Pittaco, “di non tradire mai e di giacere morti”, che li univa già dal lontano 600 a.C, quando insieme avevano combattuto contro Atene, nella battaglia del Sigeo, per il possesso della regione Achilitide, e con il quale aveva condiviso le amarezze della sconfitta e della fuga. E Alceo, contro Pittaco, lanciò strali e pesanti critiche, addirittura ingiurie personali, tali da essere inviato nuovamente in esilio, questa volta in Egitto, o in Tracia, dal quale fece ritorno solo quando Pittaco, prima di lasciare la carica di “capo supremo del popolo”, decise di perdonare tutti i suoi nemici, con queste parole: “Il perdono è superiore alla vendetta”.

Così Alceo, ormai stanco e amareggiato, trovò consolazione solo nel vino, riuscendo in questo modo a dimenticare ogni pena, «Il vino! Ecco il dono d’oblio». E il poeta ritornò in patria, prima della morte, avvenuta presumibilmente attorno al 560 a.C. Alceo è il combattente esemplare, il partigiano, l’uomo di parte che tutto sacrifica al suo ideale politico, ma la sua poesia esprime anche “l’amore per i giovani putti, mai melenso, ma intonato [al] clima di ruvidezza guerriera”, al “senso della natura”, inoltre, manifesta passione e attaccamento per la sua patria, con strali “di disprezzo e di sarcasmo per quelli che odia”.

Alceo celebra anche la gioia e il piacere per il vino, soprattutto nella produzione poetica della vecchiaia, quando, venuto meno il giovanile ardore politico, si rivolge “all’unico amico che non lo ha mai tradito, che lo ha sorretto nei momenti più tristi, senza nulla chiedere: il frutto inebriante di Dionisio”. Ma è soprattutto nel linguaggio poetico del “dialetto eolico”, caratterizzato, come nei versi di Saffo, dai fenomeni della psilosi (mancanza di aspirazione nelle vocali iniziali di parola) e della baritonesi (ritrazione dell’accento) che si riconosce l’origine e il legame di Alceo con la tradizione delle liriche monodiche care alla poetessa Saffo.

L’eolico ha avuto un ruolo di primo piano nella lingua dell’antica Grecia, parlato dalla stirpe greca degli Eoli è un importante sottogruppo linguistico del greco classico, componente fondamentale della lingua di Omero, insieme al remoto sostrato miceneo; ha una metrica ben definita, e si distingue dagli altri idiomi greci, il dorico, l’attico e lo ionico. Anche per quanto riguarda i ritmi, è stata rilevata una certa varietà: si passa dalle strofe alcaiche, che prendono il nome proprio da lui, a quelle saffiche. Significativo e ampiamente documentato, anche se con discusse e contrastanti interpretazioni, è il suo rapporto con la poetessa Saffo.

In particolare, il legame fra i due poeti è attestato da due testimonianze, peraltro molto controverse, la prima (con pareri discordanti anche sulla citazione del nome della poetessa) è costituita da alcuni versi dello stesso Alceo, “Crine di viola, eletta, dolce ridente Saffo”, riportati da Efestione di Alessandria nel suo “Manuale di metrica” del II sec. d.C. La seconda testimonianza del legame tra Alceo e Saffo, anche questa controversa, si evidenzia nella “Retorica” di Aristotele, dove dice, «Ci si vergogna dicendo, facendo e progettando cose turpi; come anche Saffo ad Alceo che diceva: “Vorrei parlare, ma mi trattiene il pudore”, rispose: “Se tu avessi desiderio di cose nobili o belle, e se la lingua non si muovesse a dire qualcosa di cattivo, la vergogna non ti coprirebbe gli occhi, ma parleresti intorno a una cosa che fosse giusta”».

Di Alceo, a parte la controversa “storia d’amore” con la poetessa Saffo, ci rimangono solo sprazzi di versi, l’anelito di libertà per la sua città, “Sono gli uomini le mura possenti della città”, e la passione per il vino, celebrato “come conforto al dolore o come rimedio ai rigori invernali e all’ardore della canicola, o evocato per dare libera voce all’odio contro il nemico o alla esultanza per la vittoria”. A volte il poeta diventa “aspro” e il suo linguaggio si impenna in espressioni plebee; altre volte la nostalgia si distende in note amare di solitudine o di rimpianto, soprattutto nei canti di lotta e nei canti conviviali, dove esprime la sua voce più autentica.

Ma è sempre Alceo che traspare dai suoi versi, la sua passione e il suo ardore per la libertà e l’amore, suggellati dal tempo, come il buon vino, non temono le insidie dei secoli, ma rimangono limpidi e sinceri… fino ai giorni nostri.

Angelo Battiato





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