Coronavirus: effetti collarerali sulle scuole
Data: Lunedì, 02 marzo 2020 ore 16:00:00 CET
Argomento: Sindacati


Ci voleva il Coronavirus per rilanciare la formazione a distanza e l'e-learning. Dispiace dover notare che, anche questa volta, le dichiarazioni del Ministro Azzolina siano all'insegna della superficialità, per giunta venata da un certo trionfalismo. Abbiamo le scuole chiuse? Niente paura, attiveremo modalità alternative di erogazione delle lezioni. Afferma Azzolina: «Abbiamo già istituito una task force per garantire la didattica a distanza. Il materiale è disponibile, e stiamo preparando una piattaforma dove caricare i contenuti» e poi: «Il Nord Italia è ben attrezzato per rispondere a queste esigenze, ci sono molte scuole che la fanno già. C’è una scuola produttiva, e dove ci sono delle difficoltà arriveremo, la nostra task force andrà a fare formazione ai docenti per iniziare immediatamente con la didattica a distanza» E quando pensa di agire la task force, visto che, probabilmente, tra un paio di settimane l'emergenza sanitaria sarà finita? Insomma, in questo momento caratterizzato dal trionfo delle parole in libertà, anche la ministra Azzolina non vuole essere da meno. Qualunque sia la valutazione che si voglia dare dell'e-learning e della Formazione a Distanza (che, sotto forma di acronimo (FAD), ha già dato parecchio fastidio in tempo di pace, per esempio nei corsi di studio serali) una cosa è certa: anche la forma più scontata e corriva di formazione a distanza non si improvvisa.

I docenti devono aver idea di come strutturare la propria lezione, anche dal punto di vista “tecnico” e gli studenti debbono poter ricevere le informazioni ed interagire con il docente. La ministra ci fa notare che tutti gli studenti hanno un cellulare. Ma come pensa di far lezione, creando una chat di classe su Whatsapp? Collegando tutti quanti su Skype? Qualunque individuo dotato di buon senso condannerebbe questo gusto dell'improvvisazione, molto diverso dal darsi da fare per superare le difficoltà. Ed anche sul “darsi da fare” c'è qualcosa da dire.

Riportiamo un passaggio tratto dalle lettera che una dirigente di una scuola “normale” (non un “polo d'eccellenza” insomma) scrive ad “Orizzonte scuola”, a proposito delle soluzioni tecnologiche adottate per far fronte alla chiusura delle scuole: “Si tratta di soluzioni economiche, facili da usare, forse tecnologicamente banali per chi ne capisce più di me, ma comunque sia, ci siamo dati una organizzazione in questi giorni di bufera. Inventando, sperimentando, discutendo. Non abbiamo posto limiti alle strategie se non quelli della concretezza e della economicità. Nelle classi più disastrate, semplicemente e poveramente i docenti hanno contattato per telefono tutti gli alunni. Una sola e vera cosa ha fatto la differenza. Il capitale umano”.

Eccolo a lettere maiuscole il problema della scuola italiana: poco, troppo poco senso critico e tanta, troppa “buona volontà”,che porta a superare i problemi che si pongono “tirandosi su le maniche”, senza pensare se sia davvero produttivo fare quello che si sta facendo, usando le parole a caso (dopo un inno alla tecnologia “povera” e fatta in casa ecco l'elogio ingenuo del “capitale umano”, espressione che chiunque si occupi di educazione consapevolmente dovrebbe usare con prudenza). L'emergenza è una sorta di cartina al tornasole: mette in rilievo tutto quello che c'è già nella quotidianità e lo fa emergere con forza maggiore.

Ancorché il dibattito sull'opportunità dell'uso intensivo delle nuove tecnologie nella scuola non sia nemmeno iniziato, sebbene al momento non ci siano evidenze (se non impressionistiche) rispetto al maggior vantaggio dell'uso del computer o del tablet rispetto agli strumenti didattici tradizionali, di una cosa possiamo essere certi e la ripetiamo: non si improvvisa l'insegnamento a distanza in pochi giorni e l'idea di una task force, destinata ad operare nell'arco di un paio di settimane scarse per dare supporto alle scuole della Lombardia e del Veneto è una boutade poco divertente. Dal sito del MIUR apprendiamo inoltre dell'esistenza di “due call per tutte le realtà che vogliono sostenere le iniziative di didattica a distanza che si stanno attivando a seguito della chiusura delle scuole, in alcune zone d'Italia, per l'emergenza coronavirus […]

Attraverso le due call il Ministero invita tutti i produttori di hardware (a titolo esemplificativo, PC, tablet, internet key) e di software che desiderano rendere disponibili a titolo gratuito i propri prodotti a manifestare tempestivamente la propria disponibilità attraverso la piattaforma Protocolli in rete”. Il “cronoprogramma” è surreale: in una settimana si dovrebbero raccogliere le risposte alle chiamate, coordinarle, mettere a punto “una pagina web dove mettere a disposizione soluzioni tecnologiche per supportare gli istituti scolastici interessati” e iniziare (non si sa come) ad usarle per l'insegnamento a distanza. Noi spereremmo che più modestamente, la ministra ed il suo staff si attivassero per garantire un ritorno degli studenti in locali ben puliti (naturalmente consentendo al personale addetto alle pulizie di operare in condizioni di sicurezza igienica e con tempi non affannati).

E, se praticare l'insegnamento a distanza non è cosa che si improvvisi dall'oggi al domani, per acquistare saponi e carta igienica e darli in dotazione adeguata alle scuole ci vuole piuttosto poco. L'epopea del Coronavirus ha trovato tutti gli esperti concordi su un solo punto: bisogna lavarsi le mani con acqua e sapone di frequente. Bene, consentiamo agli studenti di praticare questa norma elementare di igiene anche a scuola. Nel frattempo, come docenti, riflettiamo su quanto male abbia fatto alla nostra scuola l'uso acritico della buona volontà, sempre pronta a tappare malamente i buchi e le magagne di una classe di politici che, messo di fronte ai problemi reali della scuola, spesso e volentieri se ne lava le mani.

Giovanna Lo Presti
CUB Scuola Università Ricerca





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