Un Paese dei Balocchi declassato a sogno dei poveri
Data: Mercoledì, 01 gennaio 2020 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


Sto pensando a PINOCCHIO di Matteo Garrone...Ma come, tu, all'alba del 2020, col mondo che brulica di eventi, vai a pensare a un film...Il fatto si è che, al momento, la cronaca politica m'induce al riserbo, al raccoglimento...per riprendere fiato e poi, forse, dire la mia... Ieri pomeriggio (un comodo poco affollato spettacolo delle 17,15 in quell'Ariston che m'è nel cuore sin dagli anni del CUC, Centro Universitario Cinematografico, di Mughini, Recupero &Co; dell'arrivo a Catania di Carlo Muscetta, poi mio maestro d'Italianistica e di civili passioni)) ho riconsiderato il film...con diversa concentrazione rispetto ai vocianti "Portali" dove, attorniato dai preziosi nipotini, la mia attenzione si doveva, più o meno equamente, distribuire tra i loro fanciulleschi diritti e l'offerta propriamente estetica di un'opera d'autore.

E così Garrone, dopo le crudezze di "Dogman", mi ha ridonato la poesia, quella del racconto e della fiaba, dell'onirico e del fantasioso (linea saggiata con "Il racconto dei racconti", che pure mi parve più estemporaneo, meno 'necessario': pronto a ricredermi, ritrovandolo...).

Il suo Pinocchio è di quelli che restano in virtù di linguaggio: di là da un 'principio di piacere' (Freud mi perdoni l'abuso) che resta invece sin troppo legato a ben difendibili questioni di gusto. Finalmente, è burattino tra burattini (e più filologicamente sarebbe, tra marionette vere e proprie, marionetta senza fili), tra uomini e donne, tra animali e creature degl'interspazi, in un intreccio policromo che fa della metamorfosi il "Grundthema", ovvero il motivo strutturante dell'opera. Che è l'Italia povera e il suo sogno malinconico di riscatto, delle antiche facezie toscane che non hanno più campo e si moltiplicano e disperdono nella diffusa dialettofonia nazionale. L'"umìle Italia" slargata a barocche dismisure, eppure tenerissime, di Federico Fellini, ricondotta alla propria umiltà (vicinanza alla terra, grazia dei derelitti, linguaggio povero) da Pier Paolo Pasolini. Ecco perché l'episodio/chiave resta, per me, un Paese dei Balocchi declassato a sogno dei poveri, dove non può esserci fantasmagoria e deve invece trionfare, nella crudeltà dell'ingiustizia, l'innocenza animale: l'asino di Apuleio, di Verga, di Bresson.

Ed è (anche) per questo che l'umilissimo Geppetto, maschera di vecchiezza e di persistente candore, si affida per sempre a un Benigni per sempre stralunato. Ed ecco perché offro, oggi, questo mio pensare al mio paese, che "me duele" non meno di quanto la Spagna dolesse a un Miguel de Unamuno...

Fernando Gioviale





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