Bisogna volere imparare; non basta desiderare di sapere
Data: Venerdì, 19 aprile 2019 ore 10:00:00 CEST Argomento: Redazione
Il tempo
scolastico non puo’ essere ampliato a piacimento nel tentativo di
consentire alla scuola di adeguarsi alla crescita esponenziale delle
conoscenze: è insormontabile lo scarto tra il loro sviluppo e ciò che è
possibile insegnare. Ragione per cui dalla fase storica del riformismo
scolastico segnato dal costante ampliamento delle discipline e dei
contenuti si deve passare a quella della loro selezione, altrimenti la
scuola rischia di soffocare per ingordigia. Se nessuno è in grado di
prevedere che ne sarà di questa prodigiosa accumulazione di saperi e
quali saranno i futuri scenari della società, chiaramente si impone
sulla base di questi dati la necessità di ripensare il mondo
dell’istruzione e della formazione. In questo processo di
riorganizzazione culturale della scuola più che a nuovi ed estesi
contenuti bisognerebbe dare maggiore spazio alla capacità di apprendere
e di comprendere, a quella di sapere oltrepassare ciò che è abituale e
familiare; bisognerebbe educare ad appropriarsi delle tecniche di
investigazione, a problematizzare e ad analizzare i dati della realtà.
"Apprendere è il nodo essenziale per una società in cambiamento e il
desiderio di apprendere è il motore indispensabile.(...) Oggi è
importante padroneggiare metodi per pensare, interrogarsi, dialogare,
mettere in relazione molteplici domini, sviluppare capacità di
problematizzare, di iniziativa, di creatività, di usare creativamente
le nuove tecnologie". (A. Giordan)
Apprendere non è memorizzare, accumulare informazioni, ma ristrutturare
il proprio sistema di comprensione del mondo e non consiste solo
nell'integrare nuovi saperi, ma anche nell'utilizzare meglio e in modo
diverso ciò che si conosce già. Per ottenere questo risultato bisogna
coltivare nei giovani il desiderio e il piacere di apprendere; è
necessario farglieli diventare un’abitudine, ma informandoli che nella
realtà quotidiana per apprendere ci vogliono tempo, rinunce e fatica e
che il possesso di un sapere richiede una esigente e costante ricerca.
C’è una responsabilità morale nella crescita intellettuale, alla quale
nessuno si dovrebbe sottrarre e che se viene orientata al dialogo e
all’ascolto acquista una dimensione sociale. Il desiderio di
apprendere, da cui prende inizio il cammino della conoscenza, sboccia
se si riesce quotidianamente ad accenderlo nella coscienza dei giovani
e questo in classe è possibile dando loro fiducia, rispettando e
valorizzando il loro impegno, testimoniando nell’insegnamento e in ogni
attività scolastica l'amore per il valore e la bellezza del sapere.
Se apprendere come dice A. Giordan è il nodo essenziale per una società
in cambiamento, le resistenze che tanti giovani frappongono
all’apprendimento rischiano di estrometterli dalle opportunità che si
presentano nel mondo del lavoro; per il loro bene occorre quindi
sconfiggere l’indifferenza che si origina, perchè non si riesce a
individuare un senso nella fatica di apprendere; perchè non si vede la
ragione di un impegno, perché non si riesce a cogliere il rapporto tra
ciò che si impara a scuola e la vita di tutti i giorni. Come non
bastasse, nella scuola dei nostri giorni ci si deve confrontare col
fatto che i saperi scolastici sono altri rispetto all’ ambiente e alla
cultura familiare, religiosa, etnica di un numero crescente di studenti.
C’è ancora dell’altro. A volte bisogna far fronte anche ad una specie
di paura di apprendere, che come fenomeno è forse più circoscritto
rispetto all’indifferenza, ma esiste. E' una situazione che si viene a
creare all'interno della relazione educativa e interpella innanzitutto
il modo in cui si sviluppa il rapporto umano nel processo formativo, il
modo in cui si caratterizza la funzione magistrale, il modo in cui il
sapere viene posto in relazione non solo con le capacità intellettive,
col grado di preparazione di un alunno, ma anche col suo mondo emotivo.
La paura d'apprendere puo’ essere originata dai giudizi prevalenti, in
ambito familiare, su che cosa sia e quanta valga sia il successo sia
l'insuccesso scolastico. Sono problemi con cui bisogna misurarsi,
riportandoli alla loro dimensione effettiva, e che possono essere
risolti sostenendo e incoraggiando l'alunno nei momenti delle sue
difficoltà, apprezzando generosamente i suoi progressi e i suoi sforzi.
Per quelli che sono indifferenti, per quelli hanno paura e per quelli
in cui matura il desiderio di apprendere, in ogni caso nell’attività
didattica è necessario predisporre situazioni che consentano all'alunno
di mettersi in relazione vitale con l'oggetto culturale da possedere,
in modo che gli si possa mostrare come un oggetto vivo e sensibile,
come una realtà ad un tempo simbolica, affettiva ed esplicativa (D.
Nicoli). Presentare agli alunni i saperi nel loro uso possibile è un
modo per motivarli anche se l'uso sociale dei saperi non è sempre
facilmente percepibile. Una parte dei saperi infatti non è direttamente
utile, almeno a breve termine, ma aiuta a comprendere il mondo e ad
allargare la propria esperienza.
Per evitare che l'insegnamento si riduca ad una stantia e noiosa
riproposizione di formule, a volte incomprensibili, per sostenere il
desiderio e la volontà di conoscere, occorre far capire a quali
questioni i saperi, che devono essere posseduti, danno delle risposte.
"Bisogna legare intrinsecamente sapere e problema, come domanda e
risposta (M. Fabre), ma non dimenticando mai di fare comprendere e
accettare che la scuola non è il luogo delle situazioni reali. "La
scuola è un luogo dove si svolge un particolare tipo di lavoro
intellettuale che consiste nel ritirarsi dal mondo quotidiano, al fine
di considerarlo e valutarlo; un lavoro che resta coinvolto con quel
mondo in quanto oggetto di riflessione e di ragionamento" (L. ResnicK).
E’ questa è davvero la sfida più difficile.
Raimondo Rosario Giunta
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