Anarchia
Data: Domenica, 17 marzo 2019 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


C'è molta ignoranza, oggi, sul tema "anarchia". Si continua a impersonarla nei regicidi dell'Ottocento, o peggio nei black-block e nella guerriglia urbana. Si continua a intenderla come caos e distruzione mentre, viceversa, è sogno di armonia e di giustizia. E si ignora la profonda trasformazione che (e non da ora) ha modificato le idealità e perfino l'antropologia dell'anarchismo e dell'anarchico. Abbandonata ogni anacronistica idea insurrezionalista, di rivolta immediata e violenta, abbandonata l'idea ottocentesca e oggi inservibile d'un Potere incarnato in una figura dispotica o in un governo, e sempre avversando la concezione comunista della rivoluzione, oligarchico-burocratica e dagli esiti inevitabilmente tirannici, l'anarchia (che da Proudhon e Bakunin a Cafiero e Malatesta, da Tolstoj a Gandhi, da Emma Goldman a Landauer, da Kropotkin a Berneri, da Simone Weil a Chomsky e a Colin Ward, si è evoluta a ridosso delle profonde trasformazioni succedutesi in due secoli di storia) si va sempre più trasformando in un'occupazione pacifica e laboriosa dei gangli e degli interstizi del consorzio umano e del "mondo offeso" per instaurarvi liberi esperimenti di autogestione, di cooperazione, di economia condivisa e non asservita al mercato, di pedagogia antiautoritaria, di sperimentazione creativa, di armoniosa convivenza.

Gangli e interstizi, attenzione, che se si estendono e dilagano sono mine micidiali, sono bombe ben più efficaci di quelle dei bombaroli ottocenteschi, sono benefiche metastasi nella corrotta carcassa del sistema tardo-capitalistico e della sua risibile epifania, l'impostura della democrazia rappresentativa.

Posso dire che questa anarchia va somigliando sempre più al socialismo umanitario delle origini? A quel "socialismo utopistico" esorcizzato e svillaneggiato dal socialismo che si pretese "scientifico"? Già, ben più che ai "demoni" di Dostoevskij l'anarchia oggi mi fa pensare, semmai, a quella meravigliosa ondata di giovani populisti russi che invasero le campagne, rischiando il patibolo la galera la deportazione, per condividere gli stenti del popolo oppresso, per mettersi al suo servizio e non alla sua testa, per realizzare una operosa fraternità che fosse il germe della futura liberazione e di una società effettualmente egualitaria.

Antonio Klidas Di Grado





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