La domanda che ci dobbiamo fare
Data: Sabato, 09 febbraio 2019 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


I capolavori della letteratura mondiale sono anche, anzi soprattutto racconti di storie private: Flaubert, Woolf, Proust, Mauriac, Kafka e persino Petrarca, ci parlano di cose assai private. (Mi piace citare fra questi grandissimi anche il mio amato ‘professore comisano’ che mi ha fatto piangere ogni volta che ho riletto la storia della sua tisi e di un’avventura sessuale con una ballerina moribonda). La domanda che ci dobbiamo fare è però perché questioni così personali (‘onanismi autobiografici, stucchevoli adulteri, infanzie foruncolose, uggiosi nóstoi al borgo natìo, conflitti tra generazioni altrettanto fallimentari, maldestri amplessi, etc.’), raccontate in molta narrativa contemporanea non riescano più a diventare universali, perché non si sporgono oltre la soglia di privatissime contorsioni emotive. Insomma, che cosa manca? Che cosa è cambiato?

Propongo che una delle ragioni stia nello stile.
Siamo veramente oppressi da scritture in cui lo stile non conta più, la lingua non è modellata o forgiata sulle emozioni, ma piegata agli usi o finalizzata agli effetti. Il lettore si chiede: “Ma se questa emozione lui/lei (lo scrittore, insomma) la può dire esattamente come me la dico io, perché dovrei passare il mio prezioso tempo su un libro?” Non si considera mai che oggi abbiamo pochissimo tempo da dedicare alla Lettura, quella con la ‘L’ maiuscola, ovviamente.

Non si pensa mai che in realtà, leggiamo tutto il giorno, come in passato non è mai accaduto, e che questo ci satura. Non abbiamo mai fame di lettura perché ci rimpinziamo di post, messaggi, meme, mail: ‘patatine’ e cose dannose per il fegato che ci intossicano e non ci nutrono, insomma.

Personalmente dubito che il problema stia nel che cosa si scrive, ma nella perdita della capacità di molta scrittura contemporanea (non tutta, i buoni libri esistono sempre) di dire ‘quasi’ le stesse cose, di farlo altrimenti, con originalità di sentire, precisione linguistica.

Manca la CREAZIONE della lingua, dello stile, dello sguardo e dunque della realtà narrativa che di per sé non esiste ma è appunto il prodotto di questo ‘soggetto’ perduto. Manca la creazione: l’unica cosa che fa uscire il singolo da se stesso e produce l’altro da sé, e diventa sguardo che si spinge oltre l’angusto recinto privato per diventare universale. Una cosa del genere credo che debba averla fatta persino Dio ...

Marta Aiello





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