Quando ero insegnante. Ricordi di scuola
Data: Sabato, 01 dicembre 2018 ore 20:00:00 CET
Argomento: Redazione


La poetica dell'umorismo di Pirandello aveva, quel giorno, fatto il suo effetto. Ne era sorta in classe una discussione vivace e accalorata tra i miei alunni. L'oggetto del "dibattimento" riguardava, ora, la messa a confronto di due forme di pessimismo: quello dell'agrigentino e quello del recanatese! Da che parte stare? Chi dei due nostri grandi poeti era il pessimista meno distruttivo e più "affidabile"? il pessimista "eticamente", e filosoficamente, più accettabile? Leopardi o Pirandello? La discussione, dopo una sudata ora abbondante, sembrava essersi arenata. Il nodo da sciogliere, del resto, non era facile; entrambi gli autori, cantori di una visione dolorosa della vita, avevano fatto breccia nel cuore e nella mente dei miei giovani alunni; e decidere a quale tristezza e male di vivere confidarsi, per non morire totalmente disperati, non era cosa da poco, per loro!

Alla fine, comunque, venne il verdetto che trovò tutti d'accordo: l'eredità di Pirandello era inaccettabile, il suo pessimismo era eccessivo, assurdo, pericoloso e negatore radicale; aveva il sapore della più totale rinuncia alla vita; la tendenza irrazionalistica del suo pensiero non lasciava spazio a nessuna speranza di rinascita, di riscatto della condizione umana; non dava luogo a nessuna base etica di lotta. Nessuna luce, nessuna fede - neppure laica - sembrava esserci, in Pirandello, pronta a confortare questa nostra misera esistenza destinata solo ad essere inghiottita da" una notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione"!

Tutti d'accordo, dunque, alla fine, i miei giovani alunni. Avevano deciso di stare dalla parte del Leopardi.
Tutti d'accordo, tranne io! Io non ci stavo!
Non potevo, io, sopportare l'idea che il Nostro agrigentino, alla fine, passasse per un corruttore d'anime, per un cattivo maestro e, in sostanza, per uno scettico diseducatore; non poteva esserlo-diseducatore- un "classico" come Lui e, per giunta, premio Nobel.
E così, intervenni io, quel giorno, nella discussione, cercando di concluderla nella maniera che mi parve allora, e lo è, per me, tuttora, più consona alla vera essenza del pessimismo pirandelliano! Parlai, in classe, ai miei ragazzi suppergiù così, a proposito dell'eredità di Pirandello:

"Cari giovani, sembrerebbe a prima vista l'eredità di Pirandello, una eredità tutta in negativo, l'eredità di uno scettico che rinuncia addirittura, alla fine, alla parola; e la sua arte umoristica, con la sua carica dissacratoria e demistificatoria, un'arte diabolica fatta apposta per accrescere "il mal triste di vivere", per ridere e irridere alla tragica condizione umana. Ma non è così! La carica esplosiva della sua arte, la sua critica "corrosiva", non si pone contro la vita ma contro l'esistenza in tutto ciò che essa ha di finto, di illusorio, di meschino, di disumano o antiumano, contro l'illusione in quanto sforzo vano di fissare, di imprigionare, di definire, di conchiudere ciò che per essenza è mutevole, inarrestabile, indefinibile: la Vita! La vita che non si spiega, si vive! E come la vita è passione, anche l'arte ha da essere tale: espressione della verità della vita nella compresenza antagonisticamente concorde di tutti i suoi innumerevoli aspetti. Il pessimismo di Pirandello alimenta un'arte che non rinuncia a celebrare la vita ma , semmai, a esemplificare, al massimo grado, creativamente, l'infinita relatività del Tutto".

Meravigliosa terza liceale, sez. D, quella che io ricordo nell'anno scolastico che non dico. Ventisette alunni: belli, solari, intelligenti e curiosi. Alla fine della mia "lezione", qualcuno più malinconico, sì, ci fu. E, forse, più d'uno; ma era la dolce e amabile malinconia propria di giovani che si aprono ai primi amori della vita, vagamente pensosi del loro futuro e avidi di sapere e di apprendere e di conoscere il mistero inesplicabile della vita! 

Nuccio Palumbo





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