Un omaggio a un grande poeta
Data: Mercoledì, 28 novembre 2018 ore 19:00:00 CET
Argomento: Redazione


Nel '25, appena ventunenne, parlando di sé, Neruda scriveva: "La gioia di bastare a se stessi non la possono conoscere gli equilibrati imbecilli che costituiscono una parte della nostra vita letteraria. Come cittadino, sono un uomo tranquillo, nemico delle leggi, dei governi, e delle istituzioni vigenti. Provo repulsioni per ciò che è borghese, e mi piace la vita della gente inquieta e insoddisfatta, siano questi artisti o criminali". Una dichiarazione, questa, che vale non solo un ritratto dell'uomo e del poeta, ma, anche, di un'epoca; quella, per intenderci, che, nata sotto il segno della violenza futurista e degli "schiaffi" al gusto del pubblico borghese, vede proprio nel '24 la pubblicazione del primo Manifesto surrealista di Brèton, cioè la prima seria ed esplicita affermazione di un'arte nuova e rivoluzionaria.
Come tutti i poeti " desesperadi", ma anche "impegnati", e ideologicamente "schierati ", Pablo Neruda non è sfuggito al destino di una vita errabonda e perseguitata, al destino di poeta incompreso o mal compreso, o parzialmente compreso. Ma tant'è, nessuno può, io credo, pretendere a questo mondo di non avere nemici, tanto meno poi un poeta che, quando è vero, e grande poeta, è sempre un distruttore e un provocatore.

Nell'Europa a cavallo tra gli anni '20 e gli anni '30, la lotta contro la cultura borghese e le polemiche antipassatistiche investono non solo il campo letterario ma anche quello politico e sociale; tra avanguardia artistica e avanguardia politico-sociale corrono intime relazioni spesso complesse e contraddittorie. Neruda, convinto sostenitore del comunismo, ritiene che l'arte e la letteratura debbano potere influire con forza sulla prassi politica e sociale; l'intellettuale non può fermarsi alla contemplazione del mondo , egli deve vivere e scrivere e lottare per " cambiare il mondo". Non sosteneva forse Brèton nel '26 che l'arte autentica doveva essere legata all'attività sociale rivoluzionaria, e che essa (arte) doveva tendere alla "confusione e alla distruzione della società capitalistica"?

Inquietudine, volontà di ribellione e di rottura, insoddisfazione, repulsione per la vita borghese e per le istituzioni stabilite, erano, e resteranno, in Neruda, sintomi particolari di un fenomeno ben più generale che coinvolgerà nel corso del primo Novecento tutti quegli intellettuali impegnati contro ogni tipo di arte e di letteratura, che non fossero al servizio dell'uomo nella lotta di liberazione da ogni forma di schiavitù spirituale e materiale. La scrittura come rivelazione di una grande gioia di libertà. Leggiamo da Canto general:
La grande gioia
[...]
Non scrivo perché altri libri mi imprigionino
né per accaniti apprendisti di giglio,
bensì per semplici abitanti che chiedono
acqua e luna, elementi dell'ordine immutabile,
scuole, pane e vino, chitarre e arnesi.
Scrivo per il popolo per quanto non possa
leggere la mia poesia con i suoi occhi rurali.
Verrà il momento in cui una riga, l'aria
che sconvolse la mia vita, giungerà alle sue orecchie,
e allora il contadino alzerà gli occhi,
il minatore sorriderà rompendo pietre,
l'operaio si pulirà la fronte,
il pescatore vedrà meglio il bagliore
di un pesce che palpitando gli brucerà le mani,
il meccanico, pulito, appena lavato, pieno
del profumo del sapone guarderà le mie poesie,
e queste gli diranno forse: «E' stato un compagno».
Questo è sufficiente: questa è la corona che voglio.
Voglio che all'uscita di fabbriche e miniere
stia la mia poesia attaccata alla terra,
all'aria, alla vittoria dell'uomo maltrattato.
Voglio che un giovane trovi nella scorza
che io forgiai con lentezza e con metalli
come una cassa, aprendola, faccia a faccia, la vita,
e affondandovi l'anima tocchi le raffiche che fecero
la mia gioia, nell'altitudine tempestosa.
( da Canto general )

Antonino Palumbo





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