Rileggendo Platone/1 'Quali dici chi sono i veri filosofi' (Repubblica)
Data: Venerdì, 31 agosto 2018 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Platone scriveva di filosofia per tutti quelli che avessero la possibilità di leggere, ma gli insegnamenti più profondi li affidava all'oralità (mathemata agrafa), al colloquio con gli eletti che venivano ammessi nella sua Accademia. Scrittura e oralità non erano, però, due momenti in contrasto perchè si richiamavano vicendevolmente. D'altra parte Platone deliberatamente ha scelto di esporre le sue riflessioni in dialoghi, la forma letteraria che in qualche modo riproduceva il parlato delle conversazioni umane e anche la più vicina alla eccelsa, inimitabile produzione teatrale greca, alla quale da giovane avrebbe voluto dare qualche suo contributo, come qualche tradizione riporta. Dice P. Hadot che le opere scritte dell'antichità non si sono mai emancipate del tutto dalle costrizioni dell'oralità;le opere antiche sono strettamente legate a comportamenti orali; destinate ad essere lette ad alta voce. "Le produzioni letterarie dei filosofi saranno dunque, nella massima parte una preparazione o un prolungamento o un'eco del loro insegnamento orale e saranno segnate dalle limitazioni e dalle costrizioni che tale situazione impone" (P. Hadot). Platone scriveva divinamente e i suoi Dialoghi appartengono di diritto alla grande Filosofia e alla grande Letteratura.

Tanti nel corso della storia hanno pensato di imitarlo, ma nessuno è riuscito a raggiungere la sua altezza. Quasi tutti hanno scelto la via di linguaggi professionali e selettivi, come se questa fosse l'unico modo per accedere al possesso del sapere e della saggezza. Qualche altro per non creare difficoltà si è premurato, invece, di imbandirci la tavola della doppia verità; una per gli incliti e l'altra per gli incolti.
Dice Platone che i veri filosofi sono quelli che amano contemplare la verità, immergersi nella verità. Con Platone si opera un netto distacco tra senso comune(doxa) e scienza, anche se hanno come oggetto, lo stesso oggetto. "Non è affatto facile dire cose contrarie a ciò che dicono innumerevoli bocche"( Leggi 810 d). Scienza è conoscenza vera e inconfutabile di quello che è . La filosofia platonica è un costante e fermo invito a mettere la testa fuori dal divenire per potersi convertire al mondo della verità e dell'essere. Platone è a favore della fecondità intellettuale del pensiero astratto e del sapere teorico e poco si cura dell'utilità del sapere.
Misurare, numerare, pesare a partire da Platone diventano alternativi all'esperienza viva e diretta;il controllo razionale non va esercitato solo su ciò che si vede, ma anche su ciò che si sente, si prova nell'animo. La compostezza è il risultato che si deve raggiungere; la padronanza di sè; un vaolre non molto popolare.

I filosofi per Platone devono essere amici del sapere e non cultori dell'opinione. "E allora, domandò, quali dici che sono i veri filosofi? E io in risposta, quelli che amano contemplare la verità"( Repubblica 475 e);"E dunque potresti trovare qualcosa di più congenere alla sapienza della verità?(. . . )E uno stesso uomo puo' essere per natura filosofo , cioè amico del sapere e amico della menzogna?( Repubblica 485 c). Il processo della conoscenza ha i tratti di un esercizio spirituale di purificazione; un itinerario che si conclude nella contemplazione dell'anima. Esperienza gratificante perchè" anche nell'apprendimento si riconnette un certo gradimento e dunque un piacere, ma la sua funzione e la sua utilità e ciò che vi è in esso di buono e di bello, gli derivano dalla verità"(Leggi-667 c). Platone distingue nettamente la vita governata dal pensiero, dalla ricerca intellettuale da quella guidata dal piacere;ha legato la vita intellettuale ad una forma di ascetismo laico;di fatto costruisce la separatezza dell'intellettuale, del filosofo, dell'uomo di pensiero. I piaceri relativi alla conoscenza non sono propri della maggioranza degli uomini, ma solo di pochissimi ...

Nel Fedone questo indirizzo viene formulato in pagine immortali di spiritualità. Ci si puo' esercitare a distinguere l'ascetismo platonico da quello cristiano, ma il primo ha dato all'altro il modo di fondarlo e forse anche i contenuti delle argomentazioni. Per la sua alterità rispetto ai costumi della società è stato fatto proprio dal cristianesimo. "L'anima del filosofo non ha forse in sommo grado disprezzo del corpo e non rifugge da esso e non cerca di rimanere sola per se stessa?(Fedone 65-d);"A chi è impuro non è lecito accostarsi a ciò che è puro"(Fedone 67 b); "E' precisamente questo il compito dei filosofi: sciogliere e separare l'anima dal corpo. O no?"(Fedone 67 e). "I veri filosofi si tengono lontani da tutte le passioni del corpo"(Fedone 82 c);"Ogni piacere e ogni dolore, come se avesse un chiodo, inchioda e fissa l'anima nel corpo"(Fedone 83 d). I piaceri di questo mondo trascinano in basso la vista dell'anima; bisogna liberarsi di questi pesi per convertirsi alla verità. Per mettere l'anima in condizione di fare il proprio mestiere è necessario un ferreo controllo delle passioni, impedire la tirannia dei desideri e soprattutto di quelli non necessari.

Credo che nel Fedone si trovi una delle prime formulazioni dell'immortalità dell'anima, fondata e intrecciata sul primato della pura conoscenza intellettuale. "E ora Cebete, se da tutte le cose che abbiamo detto non consegua che l'anima sia in sommo grado simile a ciò che è divino, immortale, intellegibile, uniforme, indissolubile, sempre identico a sè medesimo"(Fedone 80 13). Si potrebbe dire fatta a immagine e somiglianza di Dio. Altrove dirà "Sapienza e intelligenza non potrebbero mai generarsi senza anima"(Filebo 30 c). Non è fuori di luogo affermare che in queste affermazioni platoniche si delineino i tratti di una profonda teologia, su cui si misureranno e si tormenteranno i teologi cristiani per lunghi secoli per definire in proprio i dogmi di fede. La teologia cristiana fu, infatti, platonica e neoplatonica fino a San Tommaso d'Aquino.

In Platone giustizia, immortalità e premi nell'al di là sono tra di loro connessi; l'al di là sostiene l'impegno ad essere giusti in questa nostra vita terrena. Non è per nulla fuor di luogo pensare Platone come teologo, certamente lontano, molto lontano dalla religione pratica in Atene e nella Grecia contemporanea. "Non è verosimile che gli dei godano e soffrano"(Filebo 33 b). Sul fondamento di questa concezione del divino era difficile, se non impossibile accogliere ed edificare i dogmi della creazione, della passione, della morte e resurrezione del Figlio di Dio. Si poteva indicare all'uomo il percorso per cercare Dio, ma non arrivare a pensare che Dio potesse cercare l'uomo.
Per farsi un'idea di questa filosofia/teologia bisognerebbe leggere il Parmenide per provarne le vertigini sopratutto quando parla dell'Uno. E' fuori del tempo, non c'è nome che lo possa indicare, nè sensazione, nè discorso, nè opinione nè scienza che ne possano parlare. Non è denominato, nè enunciato, nè opinato, nè conosciuto, nè qualcuno tra i viventi ne ha sensazione. Alle riflessioni e alle affermazioni del Parmenide hanno attinto le diverse specie di neoplatonici e quanti per parlare di Dio si sono incamminati verso le formulazioni della teologia negativa.

Raimondo Giunta





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