Invasioni: l’Intervista a Piero Ristagno fondatore Associazione culturale Neon
Data: Sabato, 10 febbraio 2018 ore 08:00:00 CET Argomento: Istituzioni Scolastiche
In
occasione dello spettacolo Invasioni,
Piero Ristagno, fondatore con Monica Felloni della
compagnia teatrale Nèon,
ospite dell’Istituto Mario Rapisardi Liceo delle Scienze Umane di
Biancavilla, per incontrare gli studenti e parlare dello spettacolo
Invasioni, in scena dal 6 febbraio al Teatro Stabile di Catania.
Spettacolo oltre sessanta studenti hanno scelto, per i loro
abbonamento a teatro.
Piero è un artista, un poeta come lui stesso si presenta, semplice e
sempre. Dopo averci raccontato, l’esordio e la storia trentennale di
Neon ci ha concesso una chiacchierata, come tra buoni amici di sempre,
perché è cosi che ci si sente con Piero Ristagno. Un’ora di generosa
conversazione per parlare di poesia, bellezza e felicità, si proprio
felicità e lo scandalo che provoca il volerla pretendere.
Perché Invasioni? Com’è nata l’idea di
quest’opera?
Invasioni è un azione violenta, è un azione che normalmente è stata
fatta nei confronti dell’Africa in particolare. Come gestire il
problema dell’immigrazione è un’altra cosa, ma quello che si mette poi
in atto è un clima di paura, di tensioni. La paura ci impedisce di
gestire le relazioni come è necessario che sia. La parola “invasione” è
stata utilizzata come un deterrente alla capacità dell’ospitalità, la
quale va gestita politicamente, culturalmente. La dimensione di paura
che si è determinata è stata proprio da questa parola “invasioni”.
Dicono “ci stanno invadendo” come se fossimo difronte a delle invasioni
barbariche. A partire da questa suggestione abbiamo pensato ad uno
spettacolo in cui noi dichiariamo che “gli invasori siamo noi”. Danilo
è invasore, Angelo è invasore, Monica Felloni è quella che dirige
l’invasione. Perché gli invasori siamo noi, dunque trattateci da
invasori. Ma la nostra invasione è musica, è canto, è bellezza dello
stare insieme, in una composizione verbale in cui l’invasione è un
invasione d’amore, di arte, di corpi. La nostra violenza è violenza
d’amore ed in questo abbiamo trovato una grandissima alleanza in
Mustafa Sabbagh fotografo di fama mondiale, ritrovando nella sua
poetica la poetica di Nèon. E in questo confluire di poetiche, questo
riconoscersi poeticamente è venuto fuori “Invasioni” che è dedicato a
Mustafa Sabbagh, regia di Monica.
In che misura il teatro può garantire
il coinvolgimento delle persone diversamente abili in una società
dominata dal narcisismo e dall’idea di perfezione?
La parola “perfezione” è molto interessante. C’è un ragionamento che vi
propongo a proposito della perfezione. Avete presente il pecorino
romano, bello, compatto? Ora pensate al formaggio svizzero pieno di
buchi. Qual è il formaggio perfetto? In quanto svizzero è quello
svizzero. In quanto pecorino è quello pecorino. Cioè un formaggio pieno
di buchi non è meno formaggio; ha un sapore diverso. Alcuni
preferiscono lo svizzero, altri il pecorino. La perfezione è di quella
natura, è in quell’essere. Non c’è una perfezione astratta. Danilo
Ferrari è perfetto, Piero Ristagno è perfetto, ed è perfetto a
quest’età perché ha quest’età, perché gli mancano i capelli, perché
comincia ad essere pieno di rughe. La perfezione è quella di quell’età.
Di quella persona dentro la sua vita. Ognuno di noi è perfetto nella
natura che è. Il teatro non rende una persona perfetta, perché è già
perfetta. Tutti noi siamo perfetti così come siamo, nelle esperienze
che facciamo, con tutte le fragilità che abbiamo dentro, perché se non
le avessimo non saremmo noi. Ognuno di noi non è quella cosa alla quale
manca qualcosa per essere completi. Tutte le persone sono complete
avendo quei difetti, quelle mancanze, quei deficit. La nostra ricchezza
è deficit. Il nostro handicap personale è la ricchezza che abbiamo,
perché su quella cerchiamo e abbiamo voglia e volontà di miglioramento,
di vittoria su di noi. Poi normalmente quello che succede è che questa
vittoria, stando ad un sistema che comunica “invasioni” quando non ci
sono, diventa competizione, lotta e sopraffazione. E la competizione è
contro natura, non è vero che gli esseri umani sono competitivi; le
cose si fanno bene quando si fanno insieme e ci si aiuta a
vicenda.
Quante volte le è capitato di
assistere ad un pubblico che non è stato capace di lasciarsi emozionare
da una persona che è perfetta così com’è?
Al pubblico che non piace il nostro lavoro, gli piacerà. La prima volta
magari ne esce turbato, ma quel turbamento gli ha sicuramente segnato
la vita, dunque ci ripenserà. Il teatro ha una grandissima forza: si
imprime attraverso gli occhi sull’anima delle persone. Quando vedi uno
spettacolo che ha una sua potenza comunicativa non lo dimenticherai mai
più. Questo accade con il teatro, più che con qualunque altra arte.
Perché il teatro è un rapporto corpo a corpo: la fisicità, la
corrispondenza tra i corpi, segna i corpi per sempre. La nostra
compagnia ha sempre lavorato nel rispetto assoluto del pubblico.
Abbiamo sempre avuto questo senso del teatro che è “fatto per gli
spettatori”, in cui c’è sempre quest’attesa del pubblico. Durante le
prove prima dello spettacolo si respira un clima frizzante ed
emozionante. Sono tutti carichi e pronti ed è come prepararsi ad una
festa: una cosa fatta per gli altri, che adesso arriva. I ragazzi della
compagnia hanno tutti una cura incredibile.
Si serve di strategie o di metodi
legati al teatro dell’oppresso che vede il teatro come conoscenza della
realtà interiore e sociale?
Il teatro dell’oppresso è una delle esperienze teatrali più
straordinarie, come tanti altri linguaggi, altri approcci, altre arti.
Perché tutto quanto il teatro si relaziona con i corpi, con le fantasie
e le emozioni delle persone. Noi siamo più un teatro di tradizione, non
siamo un teatro terapeutico, che cura. Noi sappiamo di avere cura:
abbiamo a cuore la presenza degli spettatori, abbiamo a cuore il lavoro
con gli attori e di avere delle relazioni tra di noi e con gli altri.
Lo scavo psicologico e la dimensione terapeutica è molto importante,
però non è il nostro campo d’azione. La nostra è più una dimensione del
“piacere di fare teatro”, dell’inventarsi nel fare teatro.
Nel concedarsi, Piero ci regala un altro sorriso e una raccomandazione
Ragazzi pretendete sempre la felicità, inseguite la vita che si
manifesta in ogni sua form, amatela senza mai subirla. Siate
invasori, “siate umani che camminano su questa Terra accanto ad
altri umani’’. Non dimenticare è l’XI comandamento di Sabbagh. Non
dimenticare la tua umanità.
Oriana Mazzarino classe VB
Liceo delle Scienze Umane IIS "M.
Rapisardi"
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