La traslazione dei resti di V. E. in Italia [...] ... ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ...
Data: Venerdì, 29 dicembre 2017 ore 10:00:00 CET
Argomento: Redazione


No, non è consentito banalizzare la traslazione dei resti di V. E. in Italia parlandone come di un mucchietto di ossa per il quale si farebbe del clamore sproporzionato. Ricordo bene come cominciava la letteratura di III Liceo: con la soporifera (per me, almeno) lettura dei Sepolcri, che un insegnante di lettere, verso cui Natura era stata matrigna, commentava limitandosi a ripetere le parole di Foscolo scambiandone qualcuna di posto con qualche altra (era il massimo di esegesi di cui fosse capace), confidando nella proprietà commutativa del testo. Ricordo l'upupa, gli effigiati scheletri, gli ameni cimiteri inglesi e il povero Parini che forse condivideva la sepoltura col criminale che lasciò sul patibolo i delitti. Ma in mezzo a tanta sovrastimata roba da libretto melodrammatico, del genere di Un ballo in Maschera, qualcosa c'era: il potente significato simbolico della sepoltura, come luogo concreto della memoria di chi operò da forte.
"Qual fia ristoro ai di perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte ?"

In Foscolo è presente la consapevolezza senza consolazione della morte come fine di tutto, che riconduce il corpo di ognuno di noi al fango da cui fu estratto, insieme con il bisogno di fissare lo sguardo su una pietra per potervi pensare giacente, sotto di essa "Colui che novo Olimpo alzo' in Roma ai celesti e di chi vide sotto l'etereo padiglion più mondi rotarsi e il Sole irradiarli immoto...". Direi che la poesia dei Sepolcri vive di questa lacerante contraddizione tra questo sapere una verità che non lascia speranza e l'incoercibile bisogno di sopravvivenza, in forza del quale veneriamo quei marmi. "A questi marmi venne spesso Vittorio ad ispirarsi", dice Foscolo e sembra che parli di se stesso.
"Con questi grandi abita eterno e l'ossa fremono amor di Patria".

Si, credo che parlasse profeticamente di se stesso. Una volta ero a Santa Croce. C'era una classe di studenti stranieri in gita. La loro insegnante gli mostrava le varie tombe. Quando giunsero davanti al cenotafio di Dante, sentii un "Ohhh" di stupore di quei ragazzi stranieri, che credevano di trovarsi al cospetto di Dante, che ancora il ricordo mi commuove. Tanto e' il potere evocatore di un marmo con un nome inciso sopra. Ma V. E. III, per avere incarnato l'opposto delle virtù che Foscolo celebra, per le due guerre nelle quali gettò l'Italia, per il Fascismo cui consegnò il Paese, per la sua fuga alla Schettino mentre l'Italia affondava non meritava nulla.

Con lui, furono fin troppo indulgenti sia l'Italia, sia le potenze vincitrici che non lo portarono a Norimberga a rispondere di crimini contro la pace. Troppo ne abbiamo parlato.

Maurizio Ternullo





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