
Io insegnante in classi multietniche, dico no allo Ius soli
Data: Domenica, 19 novembre 2017 ore 09:00:00 CET Argomento: Redazione
Questa è una lettera
scritta di getto da una docente, peraltro un tempo simpatizzante di
Renzi e del PD, che ogni giorno insegna in una scuola del Nord, in
classi multietniche e che tocca con mano cosa significa l’integrazione.
E’ una testimonianza non certo di un’estremista ma di una docente
equilibrata, che capisce e appena può aiuta i suoi studenti stranieri
ma che, pur nella sua evidente umanità, non può negare la realtà,
difficilissima, dell’integrazione in Italia. E reclama il rispetto dei
valori più profondi e pregnanti della cittadinanza.
Angelo Battiato
Buona sera. Sono un’insegnante di un istituto superiore. Nelle mie
classi ho ragazzi stranieri stupendi e ragazzi italiani cialtroni e
prepotenti, ma potrei dire per alcuni casi anche viceversa. Devo
riconoscere che il PD renziano che inizialmente mi ha attratto
politicamente, ora sulla questione dello Ius soli mi sta deludendo.
Forse l’opinione pubblica non sa che già molti ragazzi di origine
straniera sono italiani o che possono ottenere la cittadinanza italiana
su richiesta al raggiungimento del diciottesimo anno. Quindi tutti
questi piagnistei della Sinistra sostenuti dalla Chiesa cattolica non
li capisco.
E poi molti dei cosiddetti minori non accompagnati che sbarcano a
centinaia sulle nostre coste spediti da genitori disperati (ma che
procreano nonostante mille difficoltà) in realtà si tolgono due anni
come minimo per risultare più distanti dalla maggiore età. Me lo ha
rivelato una ex mia studentessa dicendomi che è prassi diffusa. Pure
lei aveva i dati anagrafici alterati, ma era una gran brava ragazza e
l’ho aiutata come ho potuto fino alla fine del suo iter
scolastico. Ho poi studenti di origine magrebina, cinese, o indiana,
molto legati alle loro origini e tradizioni per i quali cinque o sei
anni si scolarizzazione non bastano a farli sentire italiani.
Vi sono delle eccezioni, ovviamente, ragazzi e ragazze integrati e
aperti, desiderosi sul serio di condividere i nostri valori e la nostra
Storia, determinati a farsi una istruzione e posizione, ma altri non si
sentono di appartenere alla cultura italiana, di frequentare italiani
fuori dalla scuola. A scuola e fuori si autoghettizzano. Per loro la
cittadinanza automatica è un vantaggio legato al Welfare non a
un’esigenza reale.
Spesso le loro famiglie diffidenti non li mandano nemmeno in gita e
loro dichiarano il desiderio di tornare nei loro paesi d’origine dove
sentono di avere le radici. Si sposano solo tra loro, la comunità
d’origine li condiziona molto. E poi tanti, dopo cinque, dieci anni di
permanenza in Italia se ne vanno con i genitori in altri paesi
(Francia, Gran Bretagna, ecc.) alla ricerca di maggiori opportunità
lavorative.
Mi fanno spesso tenerezza perché penso al loro dramma di essere a
cavallo sempre tra due realtà e due culture. Ci vuole tempo, deve
passare del tempo… forse una generazione perché si sentano italiani.
Devo altresì ammettere che ci sono anche tanti italiani gretti e
incivili ai quali revocherei lo ius sanguinis. Comunque sia, lo Ius
soli concesso in automatico non è corretto, non è giusto nei confronti
di chi ha avuto genitori, nonni e bisnonni che si sono sacrificati per
rendere questo paese libero dalle dominazioni, dalla dittatura e uscire
dalla povertà del Dopoguerra. La cittadinanza va desiderata e meritata.
E questa non è una priorità, per ora, con tutti i problemi cha abbiamo
in Italia.
(Fonte web)
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