Conclusa la settimana della cultura e del libro All’I.P.A.A Santo Asero di Paternò, sede coordinata dell’I.I.S. Francesco Redi
Data: Martedì, 27 giugno 2017 ore 08:30:00 CEST Argomento: Istituzioni Scolastiche
Con la III edizione di “Hair & Make Up Night”,
svoltasi a piazza Indipendenza, a Paternò, il 20 maggio, a cura del
corso Operatore del Benessere, si è conclusa la Settimana della Cultura
e del Libro dell’I.P.A.A. “Santo Asero”, sede coordinata
dell’I.I.S. “Francesco Redi.”
Quest’anno, la rassegna si è articolata in sei giornate, che hanno
avuto inizio mercoledì 22 marzo con la partecipazione all’incontro,
tenutosi nell’Aula Magna della Scuola Media Statale “G.B. Nicolosi”, in
cui è stato rievocato un episodio della Resistenza trascurato dalla
storiografia ufficiale, dalla pubblicistica a più larga diffusione e
dalla memoria collettiva: la vicenda di 44 Internati Militari Italiani
(IMI) in Germania che, deportati in vari campi di concentramento dopo
l’8 settembre 1943, si rifiutarono di collaborare con i propri aguzzini
e si offrirono volontari per essere fucilati al posto di 21 compagni
scelti dai nazisti per una decimazione con cui spingere gli altri
internati a lavorare per il Reich. Fra i 44 volontari (su 214 ufficiali
e sottufficiali condotti al lavoro a Dededelstorf e messi di
fronte alla scelta fra collaborazione o rappresaglie e successivamente,
condotti nel campo di punizione di Unterlüss, dove 6 dei 44 morranno
per le privazioni e vessazioni subite), la Sicilia era la regione
più rappresentata del nostro Paese, con 8 siciliani, fra cui il
paternese Anselmo Rizzo e il biancavillese Settimo Leanza.
La
rievocazione di questo episodio da parte degli istituti scolastici di
Paternò nasceva da una proposta della sezione paternese del Lions Club
di Paternò, che, per iniziativa del suo presidente, il geom. Sebastiano
Garifoli, ha coinvolto alunni e docenti in un riflessione comune, che
ha trovato occasione nella pubblicazione di un libro, “Gli eroi di
Unterlüss” (Mursia), del giornalista Andrea Parodi, nipote di un
deportato I.M.I a Unterlüss, che solo per caso ha avuto modo di
scoprire, qualche anno fa, i trascorsi della prigionia di uno zio, fra
i protagonisti di questa vicenda dimenticata. All’incontro, tenuto alla
“G. B. Nicolosi”, coordinato dalla giornalista Mary Sottile,
dell’emittente Ciak Telesud, prendevano parte le classi I B, corso
Operatore del Benessere e III A, del corso per l’Agricoltura del “Santo
Asero”, che hanno avuto modo di apprendere i contorni essenziali di
questo episodio di eroismo dalle parole del geom. Garifoli, del dott.
Giambattista Caruso, nipote di Anselmo Rizzo e dell’avvocato Francesco
Sparpaglia, reduce dai campi di prigionia in Germania. L’avvocato
Sparpaglia ha ripercorso le tappe della traversata della realtà tragica
della guerra e della prigionia, una detenzione durata anni. Con i suoi
90 anni splendidamente portati con l’entusiasmo di chi è scampato alle
condizioni durissime della deportazione in svariati campi disseminati
per l’Europa e della prigionia, ma anche alle vicissitudini successive
alla liberazione a opera dell’Armata Rossa, tutt’altro che animata da
tenera sollecitudine verso gli italiani, ex nemici non certo amati e
comunque, trattati col rigore e la durezza sovietica, sottoponendo
gente debilitata a estenuanti marce, l’avvocato Sparpaglia ha
appassionato e emozionato tutti raccontando in maniera non
vittimistica, ma ironica, commovente proprio perché animate da una
pietas umana ancora pervasa dei vent’anni cui l’avvocato sembra
rimasto, capace di stupirsi di fronte alla vita amandola in ogni
circostanza, oggi come allora: da questo amore, si può crederlo,
l’avvocato è stato salvato. La travolgente carica di umanità lasciata
da un’esperienza cui l’avvocato Sparpaglia è sopravvissuto fisicamente
e nello spirito, ha offerto a studenti e docenti qualcosa che raramente
è dato aspettarsi di questi tempi anche di fronte a situazioni di gran
lunga meno drammatiche: una testimonianza di liberatoria speranza e di
voglia di resistere, non in omaggio al solo istinto di sopravvivenza,
in ottemperanza alle leggi inscritte nella biologia, ma in risposta
convinta, di incondizionata adesione a una vocazione alla gioia di
vivere che è stata, per tutti coloro che l’hanno ricevuta, una preziosa
lezione di vita, di civiltà e di dignità.
Successivamente,
giovedì 6 aprile, le stesse
classi, III A e I B, hanno partecipato all’incontro con rappresentanze
degli istituti scolastici di Paternò ospitato all’auditorium
dell’S.M.S. “Don Milani”, presente, con autorità cittadine e
scolastiche, l’autore del libro, Andrea Parodi. Dopo gli interventi di
autorità cittadine e scolastiche, del geom. Garifoli, che si è
felicitato per il successo di un’iniziativa il cui valore è stato fin
dall’inizio chiaro ai responsabili del Lions Club, del dott. Caruso,
che ha tracciato un profilo biografico di Anselmo Rizzo e quello
dell’autore del libro, Andrea Parodi, che, di fronte all’avv.
Sparpaglia e all’ultimo dei 44 ancora in vita, l’abruzzese Luciano
Montagano, ha ricostruito con l’aiuto di slide i fatti narrati nel
libro, le circostanze che lo hanno indotto a scriverlo, gli aspetti che
permettono di spiegarli e insieme, le ragioni del silenzio sceso, del
resto, non solo sui 44 eroi di Unterlüss – che hanno rimosso anche
dalla memoria privata quanto occorsogli –, con un discorso pubblico,
cioè, politico, oltre che storiografico, non ancora concluso sulle
pagine controverse della storia relative alla seconda Guerra Mondiale e
alla Resistenza. Gli istituti scolastici, medie sia di I che di II
grado, hanno, quindi, illustrato il contenuto dei gruppi di lavoro che
hanno riflettuto sugli eroi di Unterlüss. Purtroppo, nel momento
riservato all’intervento dell’I.P.A.A., inderogabili ragioni orarie
hanno imposto di abbandonare i lavori. È stato il prof. Giudice a
giustificare la defezione in corso d’opera e a manifestare il
rincrescimento di docenti e studenti dell’I.PA.A.A., consegnando alla
presidenza dei lavori la relazione prodotta da docenti e studenti delle
classi coinvolte. Di essa mette conto riportare qualche passo, non
senza echi della crociana religione civile della libertà (riassumibile
nella formula per cui la storia ci insegna a essere liberi):
“(…) Siamo abituati a ritenere che chi non reca alcuna minaccia armata
non è, a rigore di termini di guerra, un combattente: ma, a rifletterci
bene, in una guerra cui l’ideologia è stato un motore fra i più potenti
nel preparare e scatenare la violenza, gli eroi di Unterlüss facevano
guerra all’idea stessa della guerra: era come se dicessero: se noi
vogliamo salvare la vita dei nostri compagni, non è per distruggere la
vostra. A quello pensate da soli. Era una lezione di coraggio e di
umanità che, certamente, non sperava di disarmare i violenti, ma
metteva i violenti di fronte a se stessi, a una violenza senza scuse:
non c’era più né la ragione per combattere né il nemico contro cui
combattere. Contro l’eroismo di chi offre la propria vita per quella di
chi è condannato, l’eroismo di chi è disposto a uccidere è ben poca
cosa e ha già perduto. (…) Ogni volta che i prigionieri sono stati
chiamati a scegliere, hanno agito in libertà e per i valori che da essa
derivano: la vita, la dignità, il disinteresse spinto fino alla
negazione di sé. Questo ci fa comprendere come la libertà sia il valore
supremo perché dà valore a tutti gli altri valori etici: senza di essa,
non valgono nulla né la giustizia e l’ossequio delle leggi né la bontà
in nome del primato del Bene e dell’umanità né la lealtà dovuta alla
sovranità esercitata dai poteri legittimamente costituiti né il
rispetto dell’individuo. Per chi è abituato a ritenere che essa sia un
diritto naturale, qualcosa di dovuto e di scontato e cioè, di gratuito,
la libertà ci appare come una conquista che dobbiamo alle generazioni
che ci hanno preceduto: e uomini che l’hanno esercitata di fronte a un
plotone di esecuzione lo dimostrano nel modo più concreto perché gli si
possa dire anche a distanza di tanto tempo: “Grazie!”
Giovedì
27 aprile, le classi II B e III A, IV A e V A si sono recate a
Palazzo Biscari, a Catania, dove si è svolto il terzo degli
appuntamenti della Settimana della Cultura e del Libro: “Storie di
donne e donne nella storia della Sicilia del Medioevo”, incontro a tema
storico con drammatizzazione, laboratori a cura dell’Associazione
Culturale L’Elefantino, di cui è anima e corpo recitante Stefania
Bonifacio, appassionata studiosa di storia, quella della nostra Sicilia
in primo luogo e promotrice di un approccio innovativo rispetto alla
didattica ‘tradizionale’. Formatasi con Santi Correnti, Stefania
Bonifacio ha sperimentato questa metodologia nel corso degli ultimi
anni, che l’hanno vista collaborare con istituti scolastici di I e di
II grado, riscuotendo consensi crescenti da parte di docenti e alunni,
i primi, felici di trovare una alternativa alle lezioni frontali o
anche di gruppo, bensì condotte in aule e laboratori senza che la
partecipazione degli alunni assuma un ruolo attivo che vada al di là
della cornice di pareti, pagine, display; i secondi entusiasti di
essere parte attiva che gli permette di ‘vivere’ e fare riviere
personaggi e storie, peraltro, non tutti al centro della “grande
storia” e dell’interesse della manualistica. Lezioni e laboratori con
drammatizzazione annessa hanno come location in palazzi, dimore
storiche, castelli e luoghi cari alle memorie letterarie: a parte
Palazzo Biscari, la Masseria Primosole, Castello degli Schiavi, a
Fiumefreddo di Sicilia, Palazzo Germanò, a Brolo, Palazzo Milio, a
Ficarra, palazzo Salleo, a Sinagra. Inoltre, Stefania Bonifacio ha
realizzato ‘interviste impossibili’ a figure storiche quali Federico
II, Ignazio Paternò Castello, o Eleonora d’Angiò, ma anche a personaggi
minori o popolane, reali o trasfigurate dalle leggende popolari, come
Cameola Turingia, Jana di Motta, Dina e Clarenza, o Gammazita. Stefania
Bonifacio ha coinvolto docenti e studenti in una lezione interattiva
che ha visto impegnati, nel ruolo di personaggi quali Bianca di
Navarra, Jana di Motta, sua damigella e confidente, l’ammiraglio Sancho
Ruiz, suo paladino, il Gran Giustiziere del regno Bernardo Cabrera,
innamorato pazzo di Bianca e del potere, le alunne Esmeralda Messina
(II B), Melania Azzolina (III B), Alessia Petralia (III A) e Orazio
Conigliello (V A). È stata rappresentata, così, la beffa con cui Jana,
travestita da paggio, entrò al servizio di Cabrera, recluso nel
castello di Motta, per convincerlo a tentare un’evasione vestendosi da
contadino e calandosi dalla finestra della cella. Tutto era proceduto
come da programma: sennonché, a metà discesa, mollata la corda cui era
legato, il Gran Giustiziere rovina per terra e indolenzito, viene
scoperto, il mattino, seguente dai contadini, che si prendono gioco di
lui. La lezione e l’interpretazione hanno catturato l’attenzione di
tutti e assorbito il tempo a disposizione, così che non è stato
possibile visitare palazzo dei conti Biscari di Paternò (settecento
stanze, sarebbe stata una bella impresa anche a dedicarle l’intera
mattina), imponente e sontuosa dimora barocca di una fra le famiglie
più antiche dell’aristocrazia non solo italiana.
Mercoledì 10 maggio, nella sala
conferenze della biblioteca comunale di Paternò, ha avuto luogo
l’incontro, cui hanno partecipato tutte le classi dell’Istituto, su
“Mafia e immaginario mafioso nel cinema, nelle fiction televisive, nei
media.”
Sono intervenuti di Cirino Cristaldi, autore del La mafia e i suoi
stereotipi televisivi, Bonfirraro editore; Tino Vittorio, docente di
Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche
dell’Università di Catania, autore de La mafia di carta, Carthago
edizioni; di Giuseppe Puglisi, responsabile di rassegne
cinematografiche. A introdurre i lavori, il Dirigente Scolastico
dell’I.PA.A., prof. Silvio Galeano, che le manifestazioni della
Settimana della Cultura e del Libro ha sostenuto con convinzione. Il
Dirigente Scolastico ha spiegato come l’Istituto sia impegnato
già da qualche anno in un complessivo rinnovamento delle proposte di
didattica e di riflesso, nella ridefinizione del ruolo che esso svolge
nel comprensorio. Le collaborazioni con l’Amministrazione comunale di
Paternò e con club-service come i Lions offrono la riprova e
costituiscono uno stimolo a continuare su questa strada. Un
rinnovamento che vale anche per le altre sedi coordinate dell’I.I.S.
“Francesco Redi”, l’I.P.S.I.A “Efesto” di Biancavilla, il Liceo
Scientifico “Antonio Russo Giusti” e l’I.T.I.S. “Galileo Ferraris” di
Belpasso. Da notare che gli studenti del “Galileo Ferraris”,
nell’ambito dell’Alternanza Scuola-Lavoro, sono stati chiamati a
collaborare alla gestione dei supporti informatici aeroportuali in
occasione dell’arrivo delle delegazioni che hanno partecipato
all’incontro del G7 svoltosi a Taormina il 26 e 27 maggio:
riconoscimento di una eccellenza che va a onore di docenti e alunni
dell’I.T.I.S. Cirino Cristaldi ha esposto i contenuti della sua
puntuale, certosina ricognizione delle opere cinematografiche e delle
fiction televisive dedicate alla mafia, con gli stereotipi da esse
veicolati e perpetuati. A riscontro ha illustrato i risultati di
un sondaggio, riportati nel libro edito da Bonfirraro, dallo stesso
Cirino condotto su un campione di 100 stranieri divisi per nazionalità:
statunitensi, tedeschi, turchi, rumeni e italiani, con risposte che
avvalorano tutti i miti connessi e correnti sulla mafia come
sinonimo/sineddoche della Sicilia. Una costruzione mitologica da cui ci
si stenta a liberare perché l’immaginario sulla mafia e sulla Sicilia,
che tendono a sovrapporsi, costituisce un repertorio cui attingere per
garantire il successo di produzioni anche di bassissimo profilo.
L’intervento del prof. Tino Vittorio era incentrato sul rapporto fra
mafia di carta e mafia di carne ovvero sul divario fra la realtà
criminale e le sublimazioni dell’immaginario letterario e giornalistico
vigente intorno a quella che è stata assurta a categoria dello spirito
‘assoluto siciliano’, che fa aggio anche sui dati storicamente
certificati e produce distorsioni che investono – paradossalmente, come
gli effetti inquinanti del fenomeno delinquenziale che combattono –
opinione pubblica, mondo dell’informazione, partiti politici e settori
della magistratura (e del lavoro, si potrebbe dire, se pensiamo ai
‘professionisti dell’antimafia’ deplorati da Sciascia). “La mafia
esisteva prima dell’avvento del cinema e nessuno diventa mafioso perché
si identifica con un boss, come nessuno diventa cowboy a furia di
vedere film western”, ha sostenuto il prof. Vittorio, che, autentico
one man show sia su carta che in carne e ossa, ha magnetizzato
l’uditorio. Il prof. Vittorio ha bensì riconosciuto che la mitologia
mafiosa svolge un ruolo importante nella percezione che la mafia ha di
sé o ama proiettare come onnipotente e onnipervasiva struttura di
potere con una sua specifica ideologia di Stato nello Stato: ma che la
sovrastruttura giochi un ruolo nella comunicazione che innesta fenomeni
di inculturazione mafiosa recepiti anche al di fuori della Sicilia,
offrendo un archetipo a fenomenologie criminali analoghe in altri parti
d’Italia e del mondo, non ha nulla a che vedere con i meccanismi che
producono una violenza e una forma di gestione della violenza che ha
radici storiche e sociali individuabili con buona approssimazione. Il
prof. Vittorio ha, quindi, ripercorso a grandi linee l’evoluzione della
mafia parallelamente alle trasformazioni sociali e politiche del nostro
Paese così come si prospettavano dall’angolo di visuale della Sicilia,
concentrando l’attenzione sul secondo dopoguerra, sul contesto
internazionale e sulle dinamiche politiche interne, con illuminanti e
puntuali, ancorché necessariamente en passant, richiami a storici e
sociologi della levatura di Eric Hobsbawm, Henner Hess, Anton Blok,
Emilio Sereni.
L’intervento del prof. Vittorio innescava un dibattito a più voci,
proseguito dopo la proiezione di una parte del documentario “In un
altro paese”, di Marco Turco, che rifà la storia della mafia siciliana
dal secondo dopoguerra alla ‘stagione stragista’ degli anni Novanta.
Dal documentario ha preso spunto l’intervento di Giuseppe Puglisi, che,
non potendo dar fondo a un argomento così denso, si è limitato a
incursioni ‘a campione’ sulla cinematografia italiana, privilegiando,
in particolare, la particolarmente rigogliosa fioritura del genere
negli anni Settanta. Una filmografia capace di rendere, per quanto di
scorcio e occasionalmente, anche nei b-movie, testimonianze attendibili
sui mutamenti di linguaggio e perfino, di carattere antropologico, non
solo all’interno dell’universo cinematografico.
Sabato 13 maggio, in collaborazione con il Lions Club di Paternò, si è
svolto l’incontro sul tema “Paesaggio, campagna, giardino nella storia
dell’agricoltura, nella letteratura, nella filosofia, nell’arte”,
aperto a tutte le classi dell’I.P.A.A. e alla cittadinanza.
Nell’indirizzo di saluto, il Sindaco di Paternò, prof. Mauro Mangano,
ha ribadito l’interesse con cui l’amministrazione comunale da lui
presieduta ha seguito con interesse le iniziative culturali
dell’I.P.A.A. “Santo Asero.” Il sindaco ha sottolineato come non si
tratti solo di una collaborazione/condivisione rimessa alla validità di
proposte didattiche con ricadute sul ‘sociale’, ma del riconoscimento,
innanzi tutto, dell’importanza che la formazione a quanto più ampio
raggio di agronomi sia una necessità e un interesse strategico nella
trasformazione del settore agricolo, che riveste una funzione trainante
per Paternò e il comprensorio etneo. Peraltro, nel quadro del
riassetto delle linee ferroviarie che attraversano il territorio
comunale, i sindaci di Paternò e Centuripe hanno chiesto che fra le
opere compensative a risarcimento dell’uso del territorio, con la
promozione e valorizzazione della produzione agricola e in funzione di
essa, siano ristrutturati il borgo di Sferro, la frazione di Cubba e le
stazioni delle Ferrovie dismesse, da riconvertire come strutture
ricettive di supporto alle piste ciclabili. Il Presidente del Lions
Club di Paternò, dott. Sebastiano Garifoli, ha chiarito come la
partecipazione all’incontro e la promozione a iniziative intraprese
anche con l’I.P.A.A., sulla base della disponibilità manifestata dal
Dirigente Scolastico e singoli docenti, corrisponda a un impegno
fissato statutariamente dall’Associazione, impegnata nella
valorizzazione e promozione del paesaggio come elemento fondativo e
fattore costitutivo dell’identità culturale. Il Lions Club di Paternò
ha intrapreso da tempo un’azione di recupero della memoria storica e di
lavoro comune con vari soggetti istituzionali presenti sul territorio
per conservare, trasmettere e arricchire il patrimonio culturale, di
beni materiali e immateriali che concorrono a formare l’eredità
complessiva dell’area.
Quindi, è intervenuto l’architetto Luigi Longhitano, che ha tracciato
le coordinate di fondo del “L’evoluzione storica del paesaggio
agrario”, con particolare attenzione alla Sicilia, dall’epoca della
conquista romana, con la divisione in lotti dei terreni assegnati ai
legionari in congedo (centuriatio), ricalcando la pianta degli
accampamenti militari. L’excursus dell’architetto Longhitano
attraversava a grandi passi i mutamenti storici intervenuti nella
configurazione e nella percezione ‘estetica’ del paesaggio, che trova
una prima espressione legislativa nella definizione fissata nel Real
Patrimonio di Sicilia del 21 agosto 1745 a opera del viceré di Sicilia
Bartolomeo Corsini, che impose la conservazione dei siti archeologici
di Taormina e insieme, dei boschi del Carpineto, che comprende il
Castagno dei Cento Cavalli. Sarà la legge 431 del 1985 a segnare il
passaggio da una concezione ‘estetica’ a una definizione fondata su
dati fisici e oggettivi. La ricognizione del passato remoto e prossimo
del paesaggio condotta dall’architetto Longhitano ha poi prospettato il
“futuro del paesaggio”, con una integrazione crescente fra spazio
abitato e spazio coltivato: le città-giardino, la nascita dei ‘boschi
verticali’, la costruzione di insediamenti integrati in un unico
tessuto alle aree verdi, continuum fisico e anche estetico, se
rispondono alle esigenze di un impatto zero sul consumo dei suoli,
dall’altro postulano nuove forme di linguaggio che corrispondano a una
antropologia così profondamente segnata dall’intersecare la fisionomia
ambientale.
L’intervento
dell’architetto Anna Maria Caruso, “I giardini paradiso, dalla Persia
alla Sicilia: simboli, identità, metafore”, ha preso avvio dai primi
giardini di cui si ha notizia, sorti nella Mesopotamia sumera: alcune
tavolette d’argilla narrano di giardini paradisiaci (la parola che li
indica in sumero-accadico è pardeshu), diremmo, se la ‘patria’ del
giardino, della sua struttura e funzione (simbolico-religiosa, ma anche
politica, come status-symbol di un dominio assoluto), non fosse la
Persia, dal momento che l’etimologia stessa di paradiso, giardino
protetto da mura, rinvia alla lingua persiana (pairi-daeza). Tuttavia,
sembra incontestabile che i primi giardini siano sorti a opera delle
civiltà mesopotamiche, assumendo, tramite la mediazione
assiro-babilonese, almeno alcuni dei caratteri con cui lo conosciamo,
stanti le testimonianze archeologiche e letterarie, dall’epopea di
Gilgamesh (2.700 a.C.) in avanti. Ma sarà la Persia pre-islamica a
ordinare in forma canonica, a offrire il modello archetipico del
giardino, con la ripartizione quadripartita del terreno (che risale al
2.000 a.C.), in cui il giardino come microcosmo, speculum mundi,
rispecchia i quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) che lo
costituiscono, con viali alberati, padiglioni, fontane. Ciro Il Grande
fece costruire il proprio giardino a Pasargade, capitale del suo
impero: disposto secondo una pianta geometrica solcata da viali,
canali, boschetti irrigati, fiori, fra cui primeggiavano gigli e rose e
alberi d’ornamento e da frutto, spiccando su tutti cipressi, melograni
e ciliegi, il giardino di Ciro il Grande diventerà il modello cui si
ispireranno altri celebri giardini d’Oriente, come quello annesso al
Taj Mahal, in India. In seguito, il giardino si arricchirà di sempre
nuovi apporti, come gli interni e le coperture esterne delle cupole
delle moschee immerse nei giardini tappezzati di piastrelle decorate
con intricati motivi floreali. Il giardino islamico reinterpreta la
simbologia ereditata dall’antica Persia: vi si accede da quattro
ingressi (i punti cardinali), è sezionato in quattro parti (gli
elementi già menzionati), l’acqua della vasca al suo centro (modulo che
si ritrova nelle moschee, nelle abitazioni private, nei
caravanserragli, nei bazar) evoca con le onde il movimento di
espansione e contrazione della creazione divina, lo stesso movimento
che, sotto l’azione di quel soffio, anima il cosmo e insieme, si
riflette nella coscienza del credente, corpo che custodisce un’anima
che riveste uno spirito. La Sicilia araba sarà il centro di una
“rivoluzione agraria” fatta di una redistribuzione delle terre che pone
temporaneamente fine al latifondo, di nuove colture (gelsi e connessa
industria della seta, agrumi, carciofi, melanzane, cotone, canna da
zucchero) e nuove tecniche di coltivazione e irrigazione. La skyline
della Palermo islamica che rigurgita di cupole e verde urbano
continuerà a sobbollire anche con la Reconquista a opera dei Normanni,
che faranno edificare la Zisa, la Cuba Soprana e la Piccola Cuba,
palazzo dell’Uscibene. Ne trarrà impulso l’architettura non solo di
giardini che risalirà la penisola, innestandosi sull’eredità antica e
medievale per dare forma al giardino italiano, punto di partenza di una
evoluzione su cui procederanno le vie nazionali alla villa con giardino
nell’Europa post-rinascimentale.
Compito piuttosto arduo quello, brillantemente assolto, affidato alla
prof.ssa Danela Costa, docente di Incisione Calcografica all’Accademia
BBAA di Catania, cui era chiesto illustrare ai docenti non meno che ai
discenti le diverse e peculiari espressioni del paesaggio
nell’orizzonte artistico il persistere del paesaggio nell’orizzonte
artistico, trascorrendo da un’arte mimetica, figurativa, iconica a
un’arte non mimetica né figurativa, aniconica, informale, astratta,
polimaterica, ecc… A partire dalla scoperta della prospettiva, forma
della visione anti-naturalistica del mondo, consegnataci esemplarmente
da artisti come Botticelli, la prof.ssa Costa mostrava il passaggio
alla prospettiva area di Leonardo, che scardina la fenomenologia della
percezione estetica nella sua espressione paradigmatica e normativa.
Diversissimi, Botticelli e Leonardo, ma coevi entrambi, a dimostrazione
del fatto che l’arte non obbedisce a logiche care allo storicismo
legiferante anche in sede artistica: e coevi entrambi di Hieronymus
Bosch, con le sue visioni proletticamente ‘surrealiste’, che, tuttavia,
discendono dal più remoto gotico, per scompaginare, una volta di più,
gli indici di uno storicismo dell’arte pianamente dispiegata nel suo
convenire a passo di marcia verso la modernità. La prof.ssa Costa ha,
dunque, fissato le tappe fondamentali di un ductus che dipana le
diverse correnti dell’arte senza fossilizzarle in categorie finalizzate
al superamento dei limiti percettivi, critici, tecnici, stilistici come
dati in subordine: quasi che Barocco, Classicismo, Romanticismo,
Impressionismo, Espressionismo, Pointillisme, ecc… fossero momenti
preparatori, sigle profetiche sparse per annunciare una rivelazione cui
tutti, dai primitivi a Turner, Cézanne, Monet, Renoir, Seurat, Vam
Gogh, Gauguin, Picasso, De Chirico, Magritte, ecc… brancolavano
ciecamente. Certo, vi sono momenti cruciali, svolte irreversibili da
cui l’arte non può più recedere: quando Lucio Fontana accoltella la
tela (evento sacrificale con cui adempie la “morte – violenta –
dell’arte”, inaugurando resurrezioni e reincarnazioni impensabili),
lacerando il diaframma fra spazio dentro e fuori il quadrato magico
della pittura, sfondando la ‘quarta parete’ o retroscena del teatro
dell’io e del mondo, la superficie riflettente deve (ri)trovare la luce
oltre di sé. In ultimo, approdo estremo quanto provvisorio di questa
quete, assistiamo all’esito dello sfondamento dei confini fisici e
concettuali della pittura con la Land Art, che fa del territorio,
insieme, lo strumento e la cornice/contesto operativo, la materia prima
e il supporto fisico dell’artificio, destinato a disperdersi
nell’ambiente; e all’opposto, come arte a impatto zero, l’Arte
Ambientale, che non altera se non visivamente e solo per spingere la
mimesis ai limiti della fusione con l’ecosistema – l’arte, che abita il
paesaggio con le proprie architetture sacre, ‘abita’ ed è abitata dalla
natura. Come esempi di artisti in cui l’opera della natura e l’opera
dell’uomo coesistono o concorrono a costituire l’habitat entro cui si
colloca ogni tensione conoscitiva, la prof.ssa Costa indicava Alberto
Burri, con il Cretto di Gibellina, Spiral Jetty, di Robert Smithson,
per la Land Art: Joseph Beuys, con la sua opera 7.000 querce e le
Cattedrali verdi di Giuliano Mauri, per l’Arte Ambientale.
Il
prof. Salvatore Valastro, del Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di
Acireale, ha preso spunto dal Leopardi dello Zibaldone: “Entrate in un
giardino… Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non
vi troviate del patimento (…) Il dolce miele non si fabbrica (…) senza
strage spietata di teneri fiorellini”(22 aprile 1826). Da questo centro
ideale del discorso, il prof. Valastro ha intrapreso un itinerario a
tappe forzate nei giardini letterari che, analetticamente, ha il punto
d’avvio obbligato nell’Eden in cima al Purgatorio dantesco. Quindi,
reso omaggio al paesaggio onirico-idillico di Petrarca, il prof.
Valastro si è soffermato sul giardino delle delizie della villa in cui
Boccaccio mette al sicuro la lieta brigata di ragazze e ragazzi,
descritto nell’introduzione alla III giornata del Decameron. Ed è un
giardino con tutti i crismi dell’opera architettonica nell’orditura di
strade, pergolati, fontane. Lo stesso “edonismo paesaggistico”, per il
prof. Valastro, che presiede al giardino d’Armida, nel XVI canto della
Gerusalemme liberata: “Di natura arte par, che per diletto/l’imitatrice
scherzando imiti”: contrappunto/contrappasso
dell’imitazione/contraffazione da cui rifugge, Tasso ribalta il
rapporto fra natura e cultura del giardino decameroniano, paradiso in
terra a norma di naturalismo aristotelico, per farne l’immagine di un
biblico paradiso babelicamente usurpato e perciò, sede di inganni e
malefici. Contrae lo stesso debito con Boccaccio l’Ariosto del giardino
di Alcina, nel VI canto dell’Orlando furioso, ma con un gamma di
reminiscenze, da Petrarca a Virgilio, consentita dall’estraneità
all’intento polemico sotteso al rigoglioso impero della natura senza
freni, bensì evocato per esorcizzarne le seduzioni nella visione
controriformistica di Tasso. Più vicino a noi nel tempo e nello spazio,
il giardino di Mangalavite del Mastro-don Gesualdo, luogo da cui
nessuna evasione è possibile: non dalla prigione del sogno, stavolta,
ma dalla realtà veristicamente costretta dalle dure necessità
materiali. L’inganno di Armida si palesa a Mangalavite nella delusione
patita da Isabella, la figlia di Mastro-don Gesualdo Motta, che rinnega
il padre, stregata dal lusso cittadino e abbagliata dai pregiudizi
sociali: decisamente, la campagna non è il Parco della Favorita di
Palermo, con “i grandi alberi dei viali tenuti come tante sale da
ballo.”
Le
allegorie incrociate sovrappongono, nel gioco di contrapposizioni
strutturali, Armida e Isabella, Tasso, Ariosto e Verga, tracciando una
sorta di labirinto dei sentieri intertestuali incrociati in cui nessuna
via è d’uscita. Lo dimostra Il gattopardo – e restiamo in Sicilia,
terra dove prima che altrove i giardini fiorirono a Occidente –, in cui
l’impossibilità di riportare entro lo stesso discorso, a una stessa
matrice e mappa ideale il giardino lineare di Boccaccio e quello
circolare di Tasso sembra innescare il dispositivo di una mortale
dissimmetria: in apertura del romanzo, troviamo il cadavere del soldato
venuto a morire laddove si perpetua e propizia l’immagine del luogo in
cui cresce l’Albero della Vita. Questa parabola è inverata nel Giardino
dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (patrocinatore della causa di
beatificazione editoriale dell’anti-storico e ‘reazionario’
Gattopardo), circondato da un muro che sarà scavalcato dal
protagonista: che, prendendo spunto da un ricordo suscitato dalla
visita alla necropoli etrusca di Cerveteri, rievocherà quel paradiso,
custodito da una famiglia di ebrei, che cela l’immagine, a suo modo,
alcinesca dell’inferno che attende chi, finendo nei campi di
concentramento, sconterà l’inganno con cui si illudeva di proteggersi
dal mondo: la paura delle malattie che tiene a casa i figli dei
proprietari adombra la fuga dalla peste del Decameron: ma con un esito
modernamente fuori dei termini della letteratura come vero locus
amoenus.
A conclusione della sessione mattutina dei lavori, l’intervento del
prof. Vincenzo Tomasello, docente di Filosofia al Liceo Classico “Gulli
e Pennisi” di Acireale, si offriva come una riflessione che riprendeva
alcuni dei temi incontrati nelle relazioni precedenti: dunque, una
dimostrazione in tempo reale della filosofia come catalizzatore o
elemento che ricomprende ogni discorso in ciò che lo sostanzia dandogli
forma, cioè, il pensiero. Vale per l’articolo 9 della Costituzione,
citato in apertura del proprio intervento dall’architetto Longhitano,
laddove si sancisce che la Repubblica tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico dell’Italia; l’Italia che coincide con
il suo paesaggio, rifacendosi a quanto Goethe, anch’esso richiamato dal
prof. Longhitano, scriveva in occasione di quel viaggio (effettuato fra
il 1786 e il 1788) che avrebbe fatto da apripista al Grand Tour come
complemento dell’educazione del gentiluomo del Nord. Riprendendo, poi,
Petrarca, citato dal prof. Valastro, il prof. Tomasello gli riconosceva
la primogenitura dell’idea moderna di paesaggio come proiezione e
contesto/cornice della narrazione di sé e in funzione della presenza
umana, cioè a dire, dell’esserci come sentimento dell’altrove,
affermava il prof. Tomasello sulla scorta di Heidegger, gran
camminatore non in senso aristotelicamente peripatetico, ma come
infaticabile, ma anche ambiguo, esploratore di sentieri interrotti.
Pensare, esplorare: spazio fisico e spazio mentale: entrambi si saldano
nell’idea di testo, il territorio e il paesaggio come testo scritto –
l’idea che affiora dalle chiare fresche e dolci acque di Petrarca – e
da scrivere: ma per leggerlo, nella sua sintassi e nei suoi
significati, come la scuola dovrebbe insegnare a fare. Tanto più che il
paesaggio è un’invenzione moderna, da Petrarca a Jean-Jacques Rousseau,
che ne ha fissato il valore di modello etico-politico rispetto al
valore d’uso mitologico ricoperto nel mondo classico. Il territorio
come patrimonio comune e garanzia dell’identità usurpata dagli arbitri
della storia, proprio in ordine al valore di Bene esteticamente
fruibile viene chiamato a svolgere il ruolo di categoria politica o
bio-politica. Come tale, esso non può essere appannaggio di un partito
o di un movimento, che ne faccia bandiera di una sorta di nobile
interesse corporativo, ma deve diventare il fondamento di una
cittadinanza che vada al di là delle appartenenze particolari.
Nel pomeriggio, un pubblico ristretto di eletti ha assistito alla
proiezione della versione definitiva del documentario “Fra Arcadia e
Utopia. I borghi della Riforma Agraria”, di Angelo Barberi e Sebastiano
Pennisi, un trailer del quale era stato proposto nella scorsa edizione
della Settimana della Cultura e del Libro. Il documentario è il
risultato di un lavoro condotto contando sulle proprie risorse, senza
alcun sostegno pubblico o sponsorizzazione, dai due autori, che hanno
collaborato alla realizzazione di altri documentari, come “Chista vita
ca si faciva barbara”, sui minatori siciliani. “Fra Arcadia e Utopia”
si pone sulla stessa linea di ricerca, di carattere ‘sociale’, ma con
un’attenzione alla dimensione antropologica che, in presenza di una
vicenda storica tanto particolare, fa sì che la ricostruzione per mezzo
della parola dei protagonisti, innanzi tutto, di una storia ‘mancata’,
di cui sentiamo l’eco senza poterne più conoscere la voce e le parole,
assuma i contorni che sempre più, allontanandosi da quell’esperienza,
acquistano uno spessore quasi epico quanto più privo di retorica.
Quello che, nel caso di “Fra Arcadia e Utopia”, viene mostrato è,
paradossalmente, ciò che nessuno ha visto o documentato né narrato: e
su cui non si dispone se non di memorie personali, staccate da uno
sfondo storico determinato dall’adesione e dalla partecipazione a
processi che, positivi, o di speranza, sembrano subiti con la stesa
fatalità. Rimangono i disegni dei progetti, qualche manifesto, brevi
filmati che accrescono il senso di straniamento, suo malgrado,
‘poetico’, rimesso ai paesaggi e ai volti degli intervistati. Storici
come Salvatore Lupo e Franco Amata, i proff. Fausto Carmelo Nigrelli e
Vincenzo Sapienza, docenti della Facoltà di Architettura
dell’Università di Catania, l’ingegner Angelo Morello, dell’Ente di
Sviluppo Agrario della Regione Sicilia, hanno illustrato i vari aspetti
di una storia misconosciuta, riscontro alle parole di chi ha vissuto e
ancora vive nei borghi e ai silenzi dei paesaggi in cui, ruderi o
ancora superstiti, i borghi sono immersi: parte di quel silenzio della
storia che Barberi e Pennisi hanno riportato a filo conduttore e
elemento strutturale della narrazione del non detto, del non dicibile
di una storia che non è solo di una Riforma tardivamente giunta e
consegnata all’oblio.
Sabato, 20 maggio, come si
diceva all’inizio, ha avuto luogo, col patrocinio del Comune di
Paternò, la III edizione di “Hair & Make Up Night”, a cura del
corso Operatore del Benessere, al cui interno si è svolta “Voci, suoni,
parole, immagini dell’Età di Mezzo”, sfilata in costumi d’epoca, di
acconciature e cosmesi medievali, con musiche e letture a tema. La
sfilata è stata resa possibile dalla disponibilità dell’I.I.S.
“Lucia Mangano”, annesso all’I.P.S.I.A. “Enrico Fermi” di
Catania, che ha messo a disposizione i costumi realizzati da docenti e
alunne; costumi che, dall’età greca ai primi del Novecento, sono
esposti nel Museo della Moda all’interno dei locali dell’Istituto. Il
Dirigente Scolastico dell’I.I.S. “Francesco Redi”, prof. Silvio
Galeano, in apertura di serata, ha ringraziato per la generosità
manifestata e lo spirito di collaborazione fra istituti scolastici, un
esempio per tutti da seguire, la responsabile dell’I.I.S., prof.ssa
Simona Minicò e la prof.ssa Francesca Lanaia, cui si deve
l’allestimento del Museo della Moda, che hanno prestato assistenza e
fornito, oltre ai costumi, i materiali storico-didattici che, a
integrazione del lavoro di ricerca storica e di elaborazione testuale
svolto dalle alunne della III B da cui sono scaturiti saggi e articoli,
prodotti dalle alunne sotto la supervisione del prof. Rocco Giudice, si
sono rivelati necessari per una fruizione non meramente spettacolare,
ma in tutta la sua valenza culturale, della sfilata. Il Dirigente
Scolastico ha altresì ringraziato la prof.ssa Tania Fiorito, del
corso Operatore del Benessere, per avere seguito l’organizzazione e la
preparazione, oltre che di “Hair & Make Up Night”, della sfilata in
tutte le sue fasi, dalle prove, ripetute più volte, allo svolgimento a
piazza Indipendenza. Successivamente, è intervenuto il sindaco di
Paternò, prof. Mauro Mangano, che ha espresso il proprio apprezzamento
per le attività di rilievo culturale proposte dall’I.P.A.A. “Santo
Asero”, istituto che riveste un ruolo strategico nella formazione dei
giovani nel contesto economico del territorio, in cui il comparto
agricolo rappresenta un assetto fondamentale. Subito dopo, l’Assessore
alla Pubblica Istruzione e ai Beni Culturali, avv. Valentina Campisano,
ha ribadito i concetti espressi dal Sindaco rimarcando come
l’attenzione e l’interesse con cui l’Amministrazione Comunale ha
recepito positivamente le proposte di collaborazione del “Santo Asero”
trovi conferma nell’inserimento della serata in corso all’interno del
programma della “Notte dei Musei.” Nello stesso tempo, ha proseguito
l’Assessore, la riqualificazione del patrimonio culturale può
costituire l’opportunità per una riconversione produttiva che punti
sulla cultura come occasione di lavoro e di sviluppo.
La
serata è stata introdotta dal concerto, apprezzato quanto fluviale ben
oltre gli argini orari concordati cpon gli organizzatori e da questi
con l’Assessorato e le forze di polizia, tenuto dall’ensemble
jazzistico, fresco dell’alloro colto in una competizione nazionale
riservata agli istituti scolastici, del “Francesco Redi”, denominato
“Belpasso School Orchestra” e diretto dal prof. Fabio Desiderio. La
manifestazione è stata presentata da Giuditta Guglielmino e Francesco
Prezzavento, che, come avviene dalla I edizione, hanno dimostrato un
affiatamento scaturito dalla complementarità di atteggiamenti e ruoli,
con la scioltezza informale di Francesco, in grado di entrare in
immediata empatia con gli ospiti e di coinvolgere il pubblico: e la più
controllata misura Giuditta, sia col partner di scena che nel
rapportarsi agli interlocutori di volta in volta sul palco.
Il primo momento dello spettacolo è stato affidato a un “coraggioso”
diplomando dell’I.PA.A.A, Orazio Conigliello, V A, che si è cimentato
nel ruolo di fine dicitore sfidando, con l’incoscienza dell’età, un
pizzico di autoironia e grande umiltà, le remore dovuta a timidezza e
inesperienza pur di riverire i majores. Con le note in sottofondo
dell’elegia madrigalesca Elspeth of Nottingham, dei Focus, la sua
interpretazione di Tanto gentile…, del Padre Coscritto Dante e di Solo
et pensoso…, del Padre Putativo Petrarca, è stata accolta col rispetto
dovuto a un’emozione che è parsa comprensibilmente sincera. Quindi, è
stata la volta del cantautore Calogero Incandela, coadiuvato dal
flautista Dario Lo Cicero, figure fra le più interessanti della scena
underground siciliana. In una linea di continuità che, dai joungleurs e
cioè, giullari, trobadour ovvero trovatori e passando da chansonnier e
folk-singer, arriva ai menestrelli dei nostri giorni, Calogero
Incandela prende di mira istituti e contesti sia educativi che di
comunicazione (i talent-show che dispensano un successo illusorio, con
Ex factor; il collegio, con Suoraggio; e ancora, la vita universitaria,
vita contemplativa che prepara alla sempre meno probabile e vivibile
vita attiva; i riti profani delle vacanze economiche e dei sogni a buon
mercato come lo sono le ali di pollo; perfino i boy-scout,
insospettabili agenti inquinanti da cui nessuno protegge la natura). La
vena ludico-surreale, mitemente demistificatoria, intimista e
goliardica del duo trovava flagrante riscontro nella situazione in
atto, in cui il contesto della piazza offriva elemento di supporto
all’effetto straniante delle canzoni.
Subito
dopo, l’esibizione di una giovanissima danzatrice, Giulia Laudani,
allieva della scuola di danza “Studio Tre”, che, sulle note di
Colorfull Life, con una leggerezza da silfide, ha incantato tutti
regalando una parentesi di delicatezza e di grazia commovente. Quindi,
si è assistito alla proiezione del treaser e alla presentazione, cui ha
fatto ala il cast, della web fiction del genere gothic “Red Shawl”,
realizzata dalla casa di produzione catanese Silver Screen Group. Una
produzione tutta al femminile, dalla regista, Angelica Lazzarin,
all’aiuto regista nonché fondatrice del Silver Screen Group, Sara
Aguiari, ai ruoli principali, affidati a Giovanna Criscuolo, Fiorella
Tomaselli, Maria Giovanna Russo per continuare con le più giovani
Gloria e Martina Caronia, Federica Maria Briglia, ecc… Senza
dimenticare gli attori: Alfonso Giordano, Gianluca Caruso, Pippo
Marchese, Angelo Cutuli, fra gli altri. Sarà la parsimonia femminile o
una scelta di produzione, “Red Shawl”, girata fra Catania e Motta
Sant’Anastasia, costa 10 euro a puntata – prendano nota i commissari
alla spending review –: viaggi avanti e indietro nel tempo, esoterismo,
poteri magici contrapposti, maledizioni trasmesse in eredità, gli
ingredienti che hanno decretato il successo televisivo di serie come
Dottor Who o di film come Timeliner ci sono tutti.
Infine, cuore della manifestazione, ha avuto luogo l’attesa sfilata in
costume, coronamento del lavoro di ricerca di cui nel preterito sul
concetto della bellezza, sulla cosmesi, sul ruolo della donna
nell’immaginario artistico e letterario, da un lato e nella realtà
sociale, dall’altro, lungo l’arco dei secoli che corre dall’Alto al
Basso Medioevo. L’età più remota era pressoché unisex, lo stesso vale
per la distinzione fra laici e ecclesiastici, a causa della diffusa e
pressoché omogenea scarsità materiale, per ragioni di gusto e di
moralità, così che gli indumenti sono pressoché identici: la gonnella o
tunica; e la guarnacca o mantello. Se, in particolare, il dimorfismo
sessuale è, in quest’epoca, castigato da vesti che attenuano le
differenza anatomiche, non avviene lo stesso per quel che riguarda le
differenze sociali, almeno per ciò che attiene i tessuti: aristocratici
e ricchi mercanti, se non si distinguono per una più spiccata eleganza
delle confezioni, possono permettersi stoffe più pregate e costose. Ê
nel Basso Medioevo, durante il rigoglioso e indefinito trascorrere
dell’autunno quest’epoca in cui coesistono miseria e fasto, che, col
diffondersi di una maggiore agiatezza, si riscoprono esigenze e si
risveglia una sensibilità, che si credeva sopita, se non perduta, nei
secoli più bui. I giovani vestono abiti aderenti come fuseaux, braghe
attillate su cui è indossata una corta giacca, il farsetto o giornea.
Rinascono le città e rinasce la moda, l’abbigliamento vede sorgere
nuove figure professionali: il sarto, lo zupparo o farsettaio,
specializzato nella produzione di indumenti grandiosi come architetture
per via di imbottiture scenografiche, il caligaro, cui si devono scarpe
e stivali, calze e calzettoni; il merzaio, addetto a guanti e copricapo
imponenti. Nei secoli che chiudono convenzionalmente il Medioevo, le
stoffe di magnati, sia di origine borghese che di lignaggio
aristocratico. Le giovani in età marito e le donne non ancora andate in
sposa portavano capelli sciolti o intrecciati in acconciature
complicate e comprensive di veli, nastri, fili di gemme minerali o
vegetali. Alle spose venivano tagliati i capelli e non potevano più
andare a capo scoperto; la cosmesi prescriveva volto bianco ovvero
sbiancato, lo stesso per dentatura e mani immacolate, sopracciglia
rasate e sostituite da tratti di matita e gote cosparse di rosso.
Personificazioni da tableau vivant di parole e di iconografie che
ineffabilmente parlano ancora di noi e dei nostri sogni, Florio e
Biancifiore, Giulietta e Romeo, midons e drut, Belle Dame Sans Merci di
Keats e Clori botticelliana, ragazze e ragazzi delle classi II, III e
IV A e della classi II e III B dell’I.P.A.A., con le alunne del Corso
Benessere che hanno avuto cura di cosmesi e pettinature sotto la guida
dei docenti Angela Patania (estetica) e Roberto Di Fazio
(acconciature), per una perfetta riproduzione in 3-d delle
illustrazioni di codici miniati e dipinti, sia coevi che successivi,
con figure uscite d’un balzo dalle opere di maestri fiamminghi o di
casa nostra come dai dipinti dei preraffaelliti e loro seguaci, da
William Holman Hunt a William Morris, Edward Burne-Jones, William
Waterhouse, Edmund Blair Leighton…
Il protrarsi della manifestazione oltre l’orario previamente stabilito
non ha consentito di effettuare la prevista premiazione degli elaborati
per il giornalino d’Istituto, “Il Corriere dell’Attimo Fuggente”,
rinviata a venerdì giugno, in concomitanza con l’ultimo giorno di
scuola. In quell’occasione, la cerimonia, che si svolgerà nell’aula
magna dell’I.P.A.A. “Santo Asero”, vedrà il conferimento dei seguenti
premi: miglior articolo, a Alessia Petralia, III A; miglior saggio, a
Francesca Licandri, II B; migliore recensione, a Carmelo Furnari, III
A; miglior intervista, a Caterina Caudullo e Noemi Scalisi, II B;
menzione d’onore, come benemeriti della scuola, a Rita Di Mauro, III B,
autrice del bozzetto del logo del giornalino e a Orazio Conigliello, V
A, distintosi nella fattiva collaborazione alle manifestazioni della
“Settimana della Cultura e del Libro.”
Il successo complessivo di questa nuova edizione della rassegna
culturale non può trascurare la riconoscenza verso le persone cui è
dovuto: oltre al Dirigente Scolastico, prof. Silvio Galeano, primo e
più convinto sostenitore della manifestazione, i proff. Gisella Aricò,
Concetta Torrisi, Andrea Castelli, Giovanni Sapienza, Giovanni Somma,
‘risolutore’ in tutte le situazioni di emergenza dovute a imprevisti
dell’ultimo momento. Ancora, vanno ringraziati i collaboratori
scolastici, che hanno dimostrato una disponibilità offerta anche
andando oltre le consegne contenute negli ordini di servizio: in tal
senso, è da ringraziare, per tutti e su tutti, il sig. Antonio
Rapisarda, infaticabile e pressoché insostituibile nel ruolo di jolly.
Ancora, un ringraziamento speciale va a Andrea Leanza, III A, che si è
adoperato nel corso delle manifestazioni per la parte informatica e
infine ha curato l’impaginazione dell’articolo che state leggendo. E in
definitiva, un doveroso riconoscimento va a chi ha lavorato nel modo
più disinteressato, senza aspettarsi, pertanto, alcun compenso neppure
di lodi e di ringraziamenti, credendo e impegnandosi senza risparmio di
tempo e di energia.
prof. Rocco Giudice
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