Unicuique suum tribuere
Data: Sabato, 17 giugno 2017 ore 09:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Ora dico una cosa che a dirla si fa peccato di "politically uncorrect": dico cioè che la pena che il giudice infligge a chi ha violato la legge penale non è per sua natura uno strumento di rieducazione. Lo dice l'art. 27 della Costituzione al 2^o capoverso: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Queste parole, spesso invocate a sproposito, chiamano "pena" la pena. Stabiliscono cioè per prima cosa che il giudice non manda il condannato a rieducarsi, ma a scontare una pena. E la pena ha, nel linguaggio dei giuristi, un "contenuto afflittivo". Per quale motivo la società infligge una sofferenza al reo? Lo fa in base a un principio di giustizia retributiva: "Unicuique suum tribuere". A chi opera bene, si danno riconoscimenti, titoli onorifici, menzioni d'onore etc. A chi opera male, si danno pene.

La societa - potrei dire "Il popolo italiano", in nome del quale si pronunciano le sentenze - nell'infliggere pene ai colpevoli, persegue anche una finalità ammonitrice verso chi fosse tentato dall'idea di delinquere: "State attenti che se fate come quest'uomo che abbiamo appena condannato, sarete puniti anche voi come lui".
Se mancasse il contenuto afflittivo della pena, verrebbe meno anche la funzione ammonitrice della pena. E' poi impegno grave, proprio di ogni società civile proporsi il recupero del condannato, ma senza che si perda di vista quella sorta di gerarchia tra le finalità della giustizia penale che la Costituzione prevede: (i) la pena è innanzitutto pena; (ii) la pena deve tendere alla rieducazione.

Detto ciò, perché dovremmo essere così indulgenti con un boia come Riina, che ha causato più vittime di un Breivik e perfino di un Kappler o un Priebke, rimandandolo a casa, da dove potrebbe riprendere a esercitare con ben altra comodità che dal carcere le sue funzioni di capo di Cosa Nostra?

Riina è stato recentemente intercettato mentre diceva di volere far fare a don Ciotti la fine di don Puglisi. Cosa altro occorre perché sia dimostrata la sua pericolosità attuale?
Che sofisma è la pretesa della Cassazione che la pericolosità di Riina - invocata dal giudice di Bologna per negare una forma meno afflittiva di pena - debba essere dimostrata nelle attuali condizioni di "decozione" del soggetto?
Che forse un soggetto decotto - e che comunque partecipa attivamente alle udienze per gli innumerevoli processi che tuttora sono aperti a suo carico - non può commettere delitti al pari di una persona in piena efficienza fisica, semplicemente impartendo degli ordini a gregari devoti?

 prof. Maurizio Ternullo





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