Un Magister tra di noi: Ivano Dionigi - Liceo classico N. Spedalieri di Catania
Data: Giovedì, 06 aprile 2017 ore 08:30:00 CEST Argomento: Istituzioni Scolastiche
L’accento
emiliano, la voce grave e avvolgente. Le pause tra un pensiero e
l’altro. Una platea di ragazzi, il silenzio in sala.
Le suggestioni di una bellezza perduta.
In occasione dell’incontro con Ivano Dionigi, professore ordinario di
Lingua e letteratura latina a Bologna e rettore emerito della stessa
Università, ospite presso la nostra Biblioteca il 23 marzo, la domanda
che sorge spontanea è proprio questa: può davvero ormai dirsi perduta
la bellezza, la suggestione del mondo antico? “Il presente non basta”,
afferma Dionigi nel suo libro, del quale alla fine del suo intervento
si accinge a firmare le copie di studenti e professori entusiasti. La
lezione dell’antico, del latino in particolare, è eterna, e si articola
entro tre fondamentali concetti -la parola, la politica, il tempo- che
fanno da opaco e distorto specchio a valori ormai perduti nel chiasso
della modernità. Eppure, ciò che è stato possibile trarre non è affatto
una nostalgica considerazione di una fertilità dei classici ormai
scaduta al giorno d’oggi; la consapevolezza è quella, invece, di un
mondo in continua evoluzione, in continua trasformazione, che ha solo
bisogno di recuperare le sue più intime origini.
La riflessione sul primato della parola implica la concezione di
quest’ultima come materia prima, il cui dirompente valore comunicativo
è affidato alla responsabilità degli eloquentes homines (saremmo forse
proprio noi classicisti?), capaci di conciliare l’ars dicendi alla
sapientia; e si parla di responsabilità proprio alla luce della
dilagante odierna corruzione del linguaggio, ormai “finto e sintetico”,
e dell’erronea attribuzione di significato che scaturisce dalla perdita
di un’attenzione etimologica e dalla conseguente ricaduta nei
cosiddetti verba obvia. Il professore parla addirittura della
“necessità di una nuova Pentecoste laica” che riaffermi l’importanza di
un linguaggio coerente e di un dialogo tra ciascuna individualità
umana, che “in quanto penisola necessita di un’interazione autentica e
non insulare”. Quindi, in siffatto contesto, perché i classici? Perché
proprio i classici ci avviano alla comunicazione efficace ed autentica,
base di qualunque forma di relazione interpersonale e sociale,
dichiarando così la vittoria ultima dell’eloquens sul semplice loquens.
Sull’aspetto più spiccatamente sociale verte poi il secondo punto,
quello della nobiltà della politica. Anche qui, mai come oggi sarebbe
salvifica l’idea, assunta a modello, che avevano gli antichi della
politica. Ciò che sostanzialmente appare irrimediabilmente perduto è il
valore della dimensione comune, il senso della “cosa pubblica”. Per
Aristotele l’uomo è un animale politico, un essere, cioè, che non può
prescindere dall’esperienza della pòlis o, se vogliamo, della civitas
in senso latino; chi vive isolato, insuperbito nella sua ambizione di
autosufficienza dalla società, “o è bestia, o è dio”.
Il terzo e ultimo punto, la centralità del tempo, costituisce infine
una sorta di chiave di lettura dell’intera conferenza. Abbiamo già
accennato a “Il presente non basta” che, già dal titolo, conferisce ai
classici un valore sempiterno. Dobbiamo recuperare la suggestione verso
il passato, “il pàthos della distanza” e “l’eros della differenza”
contro l‘inferno e l’indifferenza dell’uguale. Stabilire quell’accordo
costruttivo tra l’antico ed il moderno (che implica l’interessante e
fallace dialettica tra “notum” e “novum”) tra l’umanista, cui è
affidato l’onere della domanda, e lo scienziato, cui spetta invece
quello della risposta, sul modello dell’ingegnere rinascimentale
(Leonardo).
Si tratta quindi, per noi classicisti, di acquisire una consapevolezza
tale da non asserragliarci in una dimensione intellettuale del tutto
autoreferenziale e solipsistica, in definitiva inutile e stantia, ma,
alla luce della nostra esperienza atemporale, di fornire alla realtà
“un contraltare a questa modernità frettolosa e sudaticcia” che rischia
di distruggersi da sé, di collassare su se stessa nel fragoroso boato
dell’individualismo.
Ilenia Amato e Giulio Dipietro
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