Una valutazione sensata
Data: Martedì, 14 marzo 2017 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Per fare della buona valutazione ci vuole una certa dose di pragmatismo e la consapevolezza della sua funzione strumentale al raggiungimento delle finalità educative. Si fa valutazione per educare ed istruire meglio di quanto non si possa fare andando avanti senza fermarsi per vedere l'effetto che fa. Importante, necessaria la valutazione nel processo di formazione, ma senza indebite pretese di primato e senza farne la costante, assillante attività di ogni insegnante. C'è da preoccuparsi se a scuola manca la cultura della valutazione, ma molto di più ci si dovrebbe preoccupare del disorientamento culturale e pedagogico che rende casuale e insoddisfacente l'attività di formazione.

Diverse sono le funzioni della valutazione e non sempre si riesce a comporle unitariamente, ad evitare i contrasti che possono renderla inefficace dal punto di vista educativo o poco credibile. Alcuni di questi contrasti sono originati dalla scelta di privilegiare o di esercitare esclusivamente pratiche di valutazione orientate alla logica oggettivistica della misurazione, considerate necessarie per mantenere un valore pubblico, riconoscibile universalmente, alle certificazioni e ai titoli scolastici, ma in qualche modo divergenti da quelle che privilegiano la sua funzione educativa e formativa. Situazione che va superata. Non si puo' scegliere una sola alternativa; c'è la necessità di conoscere e di certificare il grado di padronanza delle competenze possedute da chi è ancora nei processi di formazione, come di chi ne è uscito in qualsiasi modo; c'è anche la necessità di capire, sostenere e migliorare i processi cognitivi che hanno portato un alunno a un particolare risultato. D'altra parte se la valutazione dovesse fare riferimento solo allo sviluppo cognitivo di un alunno e alla sua crescita personale, avrebbe sicuramente una significativa valenza educativa, ma non darebbe sufficienti garanzie pubbliche del suo dovuto grado di preparazione.

La fase culturale in cui sono stati messi in atto molteplici tentativi di fondare oggettivamente le decisioni sul valore da assegnare ai risultati di apprendimento per assicurare più trasparenza, più credibilità pubblica, più equità non credo che sia giunta al termine, ma soprattutto non credo che possa essere cancellata senza battere ciglio. La ricerca docimologica ha evidenziato i limiti e i rischi connessi alle pratiche di valutazione e che si annnidano nelle varie tipologie di prove (orali, scritti, esami etc). Ha squarciato la presunzione di innocenza e di validità di decisioni a volte senza fondamento o senza adeguata giustificazione. La ricerca affannosa della misura esatta, però, ha finito talvolta per privare un atto del processo di formazione di parte significativa del suo valore educativo.

L'esigenza di valutare non solo il risultato di un percorso di formazione, ma anche i processi intellettivi sottostanti, risponde a un bisogno di precisione e di completezza che non puo' essere trascurato. Con l'approccio per competenze si impongono nuovi compiti alla docimologia. Il problema della validità e affidabilità delle prove e degli strumenti assume un significato diverso. Certe prove di verifica (test, orali, compiti di restituzione )sono estranee o marginali rispetto all'intenzione di verificare e apprezzare il giusto valore di una competenza acquisita, così come gli sono estranei gli strumenti di tipo statistico per raccogliere elementi di valutazione. L'avversione verso questo genere di strumenti nasce dalla consapevolezza che scopi prioritari dell'attività formativa sono il miglioramento complessivo e la crescita dell'alunno e dal convincimento che la valutazione non debba essere ridotta a mera attività di controllo e di verifica. Il soggetto in apprendimento è una persona da ascoltare, perchè ha una storia "cognitiva" da raccontare. Gli apprendimenti non sono solo dati da giudicare, ma una realtà da comprendere e interpretare. Valutare senza interpretare equivale a fermarsi ai puri dati fattuali. La valutazione è, invece, prelievo di dati della realtà per dare loro un senso in funzione di un'ipotesi di interpretazione.

La valutazione come misura chiaramente non puo' non avvalersi della complessa strumentazione elaborata dalla docimologia e torna senz'altro utile, semprechè i curricoli siano debitamente innovati, per agevolare i rapporti tra formazione e mondo del lavoro e per sgombrare le diffidenze che vi si annidano; non ha la stessa efficacia in funzione della maturazione e dello sviluppo delle doti, delle attitudini, delle capacità della persona dell'alunno. L'insensibilità verso questa esigenza impoverisce la scuola e anche la società. Le scorie di natura scientistica ed economicistica, che residuano in questo genere di valutazione, impediscono di intravedere le grandi possibilità di un'educazione completa/integrale della persona.
Per riassumere il senso dei ragionamenti fatti sui problemi della valutazione, mi piace concludere con le parole di M. Ambel.

"Bisogna spostare il senso ultimo delle attività valutative dalla polarità del controllo e della sanzione a sostegno di una logica premiale o punitiva a quella della ricerca e sostegno dell'innovazione"; e con quelle di Le Boterf :"altro è la selezione, altro è volere che le persone apprendano ad agire con efficacia permettendo di riflettere se sono stati ottenuti gli effetti voluti".

Raimondo Giunta





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