Il Pensiero Scientifico. Dalle origini alla nascita della scienza moderna
Data: Lunedì, 13 marzo 2017 ore 07:30:00 CET Argomento: Redazione
Unitarietà
della cultura e “umanità” della scienza
Umanesimo e Scienza sono due facce complementari di una stessa
medaglia: la Cultura.
Da Parmenide - V secolo a.C.
fino a Leibniz (1646-1716) -
essa è stata,
con le sue diverse articolazioni, la più alta espressione della mente
umana. Poi, nel Romanticismo, una puerile disputa per il predominio
dell’uno sull’altra, iniziata dal polemico inglese Blake, cui rispose
per le rime Darwin, ha
originato l’insensata separazione che dura in
parte tutt’oggi e che ha relegato la scienza a figlia di un Dio minore.
In relazione all’unitarietà della Cultura, una riflessione su Parmenide
e Leibniz.
Essi vi sono noti come filosofi. Il primo fu anche poeta e scienziato:
scrisse in esametri, alcuni dei quali ispirati, alla maniera di Omero
ed Esiodo, intuì le fasi della
luna e identificò Ἓσπερος con
Φώσφορος. Il secondo, oltre che
filosofo, fu giurista, matematico e
logico: geniale architetto, assieme a Newton
del calcolo infinitesimale
e artefice dell’aritmetica binaria; vagheggiò un calculus ratiocinator,
un’algebra del pensiero, un linguaggio simbolico universale per la
matematica, la scienza, la metafisica. Boole
ne Le leggi del pensiero
del 1854 e Frege
nell’Ideografia del 1879 portarono a compimento le sue
idee.
Per chiarire quanto la scienza sia “umana”, cioè legata all’abituale
attività dell’uomo, bastano le seguenti considerazioni sulla matematica.
Essa è stata ed è spesso
stimolata da problemi pratici, connessi alle
diverse attività dell’uomo:
agli inizi di conteggio, l’aritmetica e di agrimensura la geometria;
nel seicento l'analisi per studio della fisica, all'inizio del XX
secolo la programmazione lineare per l’economia, sollecitata dallo
sviluppo delle grandi aziende negli Stati Uniti e dai piani
quinquennali in Unione Sovietica.
Le caratteristiche
socio-culturali dei vari popoli ne hanno indirizzato
lo sviluppo scientifico.
- Gli assiro-babilonesi, pratici, astronomi, costruttori di grandi
canalizzazioni e di fortezze, svilupparono, per le loro attività, un
sistema di numerazione sessagesimale molto efficace nei calcoli.
Risolsero anche qualche equazione di secondo grado.
- Nell’antica Grecia, madre della cultura occidentale, l’emblema
distintivo dell’uomo ideale era καλὸς καὶ ἀγαθός (kalòs kai
agathòs),
cioè di corpo armonioso e di animo nobile; egli doveva quindi avere
cura del proprio corpo e interessarsi di ciò che eléva lo spirito, non
alla vile attività pratica, mercantesca. In questo quadro
socio-culturale la dottrina platonica della conoscenza del mondo delle
idee influì fortemente sull’opera di Euclide
di Alessandria, Elementi,
che è ancora un “best seller”. E' infatti il libro più letto e tradotto
al mondo dopo La Bibbia, e il cui modello assiomatico-deduttivo
ha
retto per oltre duemila anni. Quest’atteggiamento ebbe come conseguenza
che gli antichi greci raggiunsero in geometria vette eccelse, mentre lo
stesso non si può certo dire per l’aritmetica, se si esclude Archimede
(287-212 a.C.), e in algebra a parte Diofanto
(III secolo d.C.).
- Gli indiani e gli arabi furono grandi mercanti e navigatori. I
primi,
nel VII secolo d.C., proposero il sistema di numerazione posizionale
che usiamo tutt’oggi. I secondi lo diffusero nel loro impero da cui,
intorno al 1200, giunse in Europa a opera di Leonardo Pisano, più noto
come Fibonacci.
Introduzione
È fuori discussione, ai nostri giorni, l’importanza della scienza. Le
sue scoperte si susseguono con ritmo incalzante e le sue applicazioni
tecniche ottengono successi sempre più straordinari che incidono
profondamente sulle diverse attività umane: sociali, economiche,
politiche, culturali, in altre parole, sulla vita dei popoli. Da ciò
l’interesse sempre crescente, anche fra persone che, pur non addette ai
lavori sono sensibili alla Cultura, a fare luce sul lungo, faticoso
processo attraverso cui l’umanità è giunta alla conoscenza scientifica.
E questo alfine di comprendere cosa vi sia di caratteristico
nell’impostazione scientifica dei problemi, nell’elaborazione delle
ipotesi, dei principi, dei metodi, nell’ideazione delle teorie.
In
sostanza a capire, nelle sue linee fondamentali, la struttura
costitutiva del pensiero scientifico.
Inizi del pensiero scientifico
Si è soliti affermare che la scienza è nata in Grecia, con Talete,
Pitagora e filosofi della
natura del V secolo a.C.. E ciò malgrado sia
noto che Talete e Pitagora abbiano appreso le prime nozioni di
geometria e astronomia dagli egizi e dagli assiro-babilonesi che in
vari campi avevano ottenuto significativi risultati già da secoli.
Qual è stato allora l’apporto decisivo dei greci, che giustifica
l’attribuzione a essi della gloria di avere dato i natali al vero e
proprio pensiero scientifico? Lo chiarisce Proclo – filosofo del V
secolo d.C. – nel commentario al I libro di Euclide del celebre
Riassunto storico:
«Dopo Talete e altri studiosi a lui contemporanei, Pitagora trasformò
questo studio e ne fece un insegnamento liberale, risalendo ai principi
generali e studiando i problemi astrattamente e con la pura
intelligenza». Fu proprio questa trasformazione, sviluppata poi con
tanto successo da Zenone, Platone, Eudosso, Aristotele, Euclide e
Archimede, che segnò l’inizio
di un’indagine scientifica autonoma,
perché affermò l’esigenza di
un sapere razionale, irriducibile alla
pura e semplice collezione di esperienze della vita quotidiana.
Quest’appello alla ragione, sia nella ricerca di un fondamento generale
delle nostre proposizioni, sia nello sviluppo rigoroso di tutte le loro
conseguenze – anche in contrasto con l’esperienza quotidiana e con le
teorie filosofiche più consolidate e diffuse - costituisce il primo,
più importante carattere del pensiero scientifico.
Meraviglia e mezzi idonei a
scandagliare il meraviglioso
Secondo Aristotele “’l maestro di color che sanno”, come lo onora Dante
nella Commedia, «ciò che spinse l’uomo alle prime ricerche fu la
meraviglia». Ma essa non basta di per sé a iniziare un processo
di ricerca scientifica. Lo “stupore” e la conseguente commozione
dell’animo non fanno compiere alcun passo verso la scienza, il cui atto
di nascita è legato alla produzione di mezzi per scandagliare il
meraviglioso, analizzandolo nei suoi costituenti, componendolo
con
altri fatti, riproducendolo in situazioni analoghe o diverse. A tali
mezzi la moderna filosofia della scienza ha dato il nome di tecniche
(arti), sia che essi si attuino mediante strumenti empirici o tramite
analisi concettuali. Capire che cosa è il pensiero scientifico
significa dunque comprendere il modo di procedere di queste tecniche,
la loro creazione, il loro sviluppo, il loro interscambio.
Linguaggio comune e formazione della
lingua scientifica
La prima, più spontanea tecnica cui gli uomini hanno fatto ricorso per
padroneggiare l’esperienza è stata il linguaggio.
Esso serviva al
singolo per comunicare le proprie osservazioni personali ad altri
individui, rendendo così possibile confrontare i fatti percepiti da
persone diverse nello stesso istante o in momenti successivi,
coordinare i loro sforzi per correggere certe situazioni e provocarne
altre: si usciva così dallo stato d’ingenua meraviglia e si passava a
quello di consapevolezza umana.
Il linguaggio naturale nel suo sviluppo aveva rivelato però la propria
inefficienza in vista dei fini ora tratteggiati, sia per la complessità
dell’esperienza, sia per le ambiguità a esso intrinseche – in
particolare all’uso della negazione - che ponevano in luce gravi
contraddizioni, di cui non si sapeva se cercare la causa nel fatto
descritto o nella lingua usata a esprimerlo. Fu questa crisi del
linguaggio a spingere l’uomo a studiare la logicità intrinseca alla
lingua, a cogliere la più intima struttura del suo funzionamento
tecnico; a trasformarla e rielaborarla, così da rendere sempre maggiore
il suo valore strumentale.
Questa profonda riflessione sulla lingua è stata una delle maggiori
conquiste del pensiero greco nel V secolo a.C., in particolare delle
scuole sofistiche le quali, contrariamente alle polemiche di Platone e
Aristotele, ebbero un’importanza straordinaria e diedero un grande
contributo allo sviluppo della scienza. Infatti, per acquistare
familiarità con la tecnica linguistica, occorreva abituarsi a
manovrarla efficacemente anche quando questa manovra può assumere
aspetti paradossali.
La difesa di Elena da parte di Gorgia
è un espressivo utilizzo limite
della tecnica linguistica.
Esempi di ambiguità del linguaggio
- Omero, mentitori, mucchi, cornuti, barbieri, aggettivi.
- Odissea: Nessuno-Ulisse.
- Zenone di Elea. Le acute e profonde argomentazioni dei suoi più
importanti paradossi, tendevano a sostenere le tesi del suo maestro
Parmenide, contro i concetti di molteplicità di Pitagora e di movimento
di Eraclito, dentro cui si celava il concetto d’infinito.
- Paradosso di Achille e la tartaruga.
- Eubulide IV secolo a.C.:
- Paradosso del mentitore «Io mento».
- Paradosso del sorite, cioè del mucchio.
- Paradosso del cornuto: non hai più ciò che hai perso, e per ciò
hai ciò
che non hai perso; ma non hai perso le corna, quindi sei cornuto! Esso
tende a mettere in luce l’impossibilità di convertire l’asserto
negativo «non hai più ciò che hai perso» nell’asserto positivo «hai ciò
che non hai perso»; cioè a illustrare le difficoltà logiche connesse
all’uso della negazione.
- Russell: Paradosso del barbiere.
- Paradosso degli aggettivi, che possono essere autologici o
eterologici,
cioè che si riferiscono a se stessi o no. A esempio, polisillabo è
autologico perché formato da più sillabe, mentre monosillabo è
eterologico dato che non è costituito da una sola sillaba: l’aggettivo
eterologico è autologico o eterologico?
La tentazione metafisica
A causa delle difficoltà, delle ambiguità del linguaggio naturale e
delle nozioni a esso collegate nel descrivere i fenomeni, l’uomo si è
trovato di fronte a un bivio:
- Da una parte perfezionare la lingua comune, nei limiti della
relatività
e provvisorietà inerenti a ogni indagine umana, e ricavare da essa
mezzi di espressione più aderenti ai singoli campi di ricerca.
- Dall’altra tentare una via nuova, diretta a portarlo fuori delle
proprie limitazioni, della sua relatività, che lo elèvi al di sopra
degli impacci del linguaggio umano e gli faccia (o pretenda di fargli)
cogliere verità assolute, indiscutibili, eterne.
La seconda via era troppo invitante per non lasciarsi da essa ingannare.
Platone, vissuto ad Atene (428 a.C. – 348 a.C.), tenta di erigere una
scienza filosofica, la dialettica, che colga direttamente l’essere puro
e immutabile al di là dei fenomeni:
essa significa arte del dialogo e della discussione ed è la scienza
delle idee.
La dottrina delle idee del fondatore dell’Accademia, soprattutto nella
prima parte della produzione, sosteneva che la conoscenza deve essere
basata sul contatto diretto fra l’uomo e l’essere assoluto.
L’esperienza, la tecnica linguistica dei sofisti non contribuiscono
alla conoscenza e le stesse verità matematiche sono ancelle della
dialettica, figlie di un dio minore. Infatti, malgrado all’ingresso
dell’Accademia avesse fatto scrivere «Non entri chi non conosce la
geometria» Platone affermava
che non comportano vera conoscenza neppure le proprietà geometriche; al
piu` le erano propedeutiche quelle conseguite utilizzando solo riga
(non graduata) e compasso che rappresentano retta e circonferenza le
figure perfette perché esibiscono infinite simmetrie. Mentre le
proprietà geometriche ottenute non usando solo riga e compasso e quelle
ricavate facendo ricorso a mezzi meccanici, non hanno neppure questa
caratteristica perché ciò oscurerebbe «la bellezza della
geometria…..riducendola allo stato pratico, invece di elevarla in alto,
di fare come oggetto di essa le figure eterne e incorporee». La scienza
per sua natura superiore è, come si è detto, la dialettica.
Quanto ora detto trova conferma soprattutto nell’opera Elementi di
Euclide, nella quale se è indiscutibile che egli ha elaborato un nuovo
linguaggio efficacissimo per il campo della geometria, tuttavia è
altrettanto vero che presenta, in questa nuova lingua, molte istanze di
origine platonica:
- Quella del genio di Alessandria è una geometria pura, astratta,
che
egli mette in luce, mentre è assente la geometria metrica, cioè di
misura; non si parla a esempio di area – che è la misura delle figure
piane - o di volume, che è la misura delle figure solide: le misure
infatti sono espresse da valori esatti solo se ottenute per conteggio,
tutte le altre dànno valori approssimati, quindi imperfetti.
- Egli non nomina mai riga né compasso, ma postula le costruzioni
cui il
loro uso conduce.
- Nelle dimostrazioni del trattato euclideo sono presenti
sistematicamente, anche se non menzionate esplicitamente, la logica
sillogistica delle proposizioni semplici di Aristotele - la cui
indiscussa autorità condizionò la cultura per oltre due millenni - e
quella delle proposizioni composte degli stoici, formalizzata in
seguito da Crisippo, che hanno trovato inaspettata applicazione
addirittura nell'architettura del computer.
È fuori dubbio che l'esigenza di purezza formale ha influito in modo
profondo su quasi tutta la matematica greca e non solo su essa;
ha infatti eliminato dalla geometria l’uso dell’intuizione e delle
costruzioni pratiche che avrebbero potuto arricchire il patrimonio
delle sue proprietà, sostituendovi un rigore perfetto ma pesante e
laborioso.
Per fortuna non tutti i matematici si fecero incantare dalle sirene
della metafisica.
Due esempi indicativi.
- Menecmo, intorno al 350
a.C., scoprì le coniche, con le quali risolse
il problema della duplicazione del cubo, secando un cono di ampiezza
variabile con piani non passanti per il vertice.
- L’insuperato Archimede
determinò, col cosiddetto Metodo meccanico, le
aree del cerchio, del segmento parabolico della superficie sferica, il
volume della sfera e inoltre quelli di paraboloide, ellissoide e
iperboloide finiti, anticipando di diciotto secoli i grandi matematici
del seicento tra cui Cavalieri, Torricelli, Fermat, Cartesio e sopra
tutti Leibniz e Newton i due geniali architetti del calcolo
differenziale.
I limiti della scienza fisica greca
L’atteggiamento socio-culturale prima descritto rende conto anche dei
motivi per cui i greci antichi non ebbero una scienza fisica. Infatti,
anche se il problema della materia fu dominante per tutti gli sviluppi
del pensiero ellenico, il più delle volte fu trattato in termini
filosofici generali, non sperimentali: non ci fu una specifica lingua
fisica e la filosofia della natura non assunse in genere vero carattere
scientifico, non portò a una formulazione razionale di tale concetto.
Inoltre, malgrado la nozione di forza, essenziale nello studio della
statica, che studia l'equilibrio dei corpi, e della meccanica che si
occupa del moto dei corpi in relazione alle cause che lo determinano,
fosse uno dei cardini dei sistemi filosofici di Empedocle, Anassagora e
Democrito, questi prospettarono una fisica filosofica, per così dire
“metafisica”. E tale visione fu corroborata poi dall’indiscussa
autorità di Aristotele, il cui trattato Fisica è un’opera di filosofia,
non di scienza. In essa infatti lo stagirita tenta a esempio di
spiegare «gravità» e «leggerezza» dei corpi col “desiderio”, la
“felicità” di raggiungere il loro luogo naturale.
Fanno eccezione ottica e in parte l’acustica, in quanto legate
fortemente alla matematica e le ricerche di statica soprattutto per
opera di Archimede e successivamente di Erone di Alessandria (I-II
secolo d.C.).
Per l'ottica furono significativi i risultati raggiunti a opera di
Euclide, cui spetta il merito di aver creato il modello geometrico
della luce, il raggio luminoso rettilineo e privo di struttura fisica.
Sulla scia del genio di Alessandria emergono Ipparco di Nicea e Claudio
Tolomeo i più grandi astronomi dell’antichità assieme ad Aristarco di
Samo che propose diciotto secoli prima di Copernico e Galilei un
sistema eliocentrico: fece la stessa fine di Galilei per gli stessi
motivi.
Parafrasando Lucrezio potremmo affermare: Tantum religio potuit suadere
malorum (A un così atroce misfatto poté indurre la superstizione).
Archimede, chi era costui? (In onore della geometria)
La figura di Archimede è conosciuta soprattutto per gli aneddoti e le
battute su di lui. Col passare dei secoli, nell’immaginario collettivo,
Archimede è il genio distratto, pazzoide (al punto di correre nudo per
le strade di Siracusa gridando «Εὕρηκα! Eὕρηκα!»), che inventa
dispositivi “impossibili” come gli specchi ustori con cui, secondo la
leggenda, avrebbe bruciato le navi romane; che fa scoperte mirabolanti
come la legge del galleggiamento, mentre fa il bagno: questo Archimede
assomiglia di più all’Archimede Pitagorico di Disney che a uno dei più
grandi scienziati esistiti.
La maggior parte della sua opera è giunta al mondo latino attraverso la
tradizione araba.
In Italia solo nel Rinascimento si riuscì a fare emergere Archimede
dalle nebbie della leggenda e riportare la sua opera in primo piano. Le
sue eccezionali scoperte, di cui abbiamo già detto, si fondano sulla
geometria. Dalla riflessione sulla sua opera, Galilei, Valerio,
Cavalieri e Torricelli riusciranno a rompere per la prima volta il
paradigma della geometria greca classica e a creare nuove metodologie
più generali.
Oltre ai suoi straordinari risultati sopra segnalati, il contributo più
importante di Archimede al pensiero scientifico si ricava da Il Metodo,
indirizzato a Eratostene, eclettico scienziato, direttore della
Biblioteca di Alessandria per più di quarant’anni. Esso consiste nella
sua visione che la matematica non è solo rigore, è prima ancora e
soprattutto intuizione, formulazione di congetture plausibili, ottenute
anche mediante ricorso a esperienze reali o concettuali, nelle quali fu
maestro come dirà in seguito Galilei. Inoltre le sue dimostrazioni di
geometria superiore, di difficoltà straordinarie, sono considerate un
modello di perfezione formale.
A testimonianza della grandezza di Archimede, nella Medaglia Fields,
l’equivalente per la matematica del Nobel, è impressa una
presunta effigie del genio di Siracusa, contornata dal motto: Transire
suum pectus mundoque potiri, Trascendere i propri limiti e
padroneggiare l’universo.
Una riflessione su Erone
La mentalità di Erone non fu tanto quella del matematico quanto quella
dell’ingegnere. Diresse la scuola meccanica di Alessandria, un vero
politecnico nel senso moderno, in cui i primi corsi erano dedicati alle
scienze teoriche (geometria, aritmetica, astronomia, etc), mentre in
seguito si passava alle esercitazioni pratiche (lavorazione dei
metalli, applicazioni della teoria delle macchine, etc.). Erone era in
possesso di tecnologie relative alle leve, agli ingranaggi delle
macchine, al sifone, e aveva costruito dispositivi basati sulla
dilatazione dei gas. Ci possiamo allora chiedere come mai questo
valentissimo studioso – soprannominato meccanico dai contemporanei –
non riuscì ad applicare i suoi geniali congegni a qualche costruzione
produttiva, utile, che avrebbe potuto scuotere le barriere dell’antica
cultura troppo astratta e fare sorgere nuovi interessi pratici e
teorici?
L’ingegneria di Erone non divenne strumento attivo di progresso per
l’umanità, pur possedendone i presupposti teorici, perché le condizioni
sociali del suo tempo non lo permettevano. Infatti egli diresse
la sua abilità tecnica non a inserire la scienza nella vita ma a
inventare complicati dispositivi con cui divertire i raffinati e
decadenti signori del suo tempo. Il pensiero scientifico non
costituisce l’attività privata di pochi spiriti eletti, isolati dal
resto del mondo, ma è un fenomeno collettivo legato al tempo e alla
società che lo esprimono.
Cina e India
Le civiltà della Cina e dell’India sono coeve a quelle che fiorirono
lungo il Nilo e in Mesopotamia, ma i dati cronologici sono meno
attendibili di quelli relativi all’Egitto e alla Babilonia.
In Cina la produzione matematica fu ostacolata da molte interruzioni,
quindi il contributo al suo sviluppo non fu particolarmente
significativo e prosperò solo in relazione a problemi commerciali e al
calendario, nel periodo in cui in Grecia fioriva Euclide. Inoltre,
nella matematica cinese non si faceva distinzione fra risultati
approssimati ed esatti.
Di tutt’altro spessore l’aspetto tecnologico con le Quattro grandi
invenzioni.
La carta, la stampa, la polvere da sparo e la bussola: esse hanno
portato cambiamenti profondi nelle diverse attività umane. La prima e
la seconda nella cultura perché hanno consentito a molti la possibilità
di leggere i testi e ampliare così la conoscenza collettiva;la terza
nella guerra, la quarta nella navigazione, quindi nel commercio.
Anche la matematica indiana presenta, come quella cinese, una
sorprendente mancanza di continuità e tradizione. Ciononostante il suo
contributo allo sviluppo scientifico ci offre due aspetti di grande
rilievo. Uno riguardante la trigonometria, che offriva un accurato
strumento per l’astronomia, per la navigazione e quindi per il
commercio, l’altro, ancora più significativo: l’introduzione del
sistema di numerazione decimale posizionale, in cui è presente un
simbolo per lo zero, ancora oggi in uso: due preziosi cristalli, come
li definirà lo scienziato arabo al-Biruni.
Contributo dell’Islam
Col decadere generale della società europeo-mediterranea anche
l’Occidente subì una gravissima crisi lunga quasi un millennio.
Filosofi e scienziati ebbero un atteggiamento passivo, limitandosi a
studiare e trasmettere i risultati precedenti. Questo si ripercosse
negativamente sull’efficacia stessa della conservazione del vecchio
patrimonio culturale: si perse l’interesse per le discussioni troppo
complesse e gli sviluppi troppo ampi; si finì col ridurre tutto a
sommari sempre più brevi, che invece di riuscire facili da apprendere,
si rivelarono di lettura sempre più incomprensibile. È infatti
impossibile impadronirsi del senso di una costruzione razionale, se ci
si limita all’enunciato di essa, senza capire lo svolgimento logico che
ne sta alla base. La crisi fu così profonda da sommergere a poco a poco
quasi tutta l’eredità scientifica del passato.
Per nostra fortuna, intorno al 750 il testimone della Cultura passò
nelle mani dell’Islam. E si ripeté per l’Islam quello che era accaduto
allorché Roma aveva conquistato la Grecia: la cultura antica conquistò
a sua volta i conquistatori. Senza l’Islam sarebbe certamente andata
perduta una parte più considerevole della filosofia, della matematica e
della scienza antiche.
Al-Mansur consolidò il califfato degli Abbasidi, trasformò Bagdad in
una grande città dal villaggio che era, istituì un’efficiente
amministrazione pubblica e diede impulso all’economia.
Fu però col suo successore Al Mamun (786-833) che la cultura islamica
cominciò a esprimere tutta la sua forza. Egli fece venire a Bagdad
studiosi da tutto l’impero e di tutte le estrazioni culturali,
persiani, greci, romani, ebrei, cristiani. Fondò in quella città la
“Casa del sapere” in cui si tradussero gli Elementi di Euclide e
l’Almagesto di Tolomeo e Bagdad divenne un faro culturale paragonabile
all’antico Museo di Alessandria. Fra i suoi membri spicca, nella prima
metà del IX secolo, il matematico e astronomo Mohammed ibn Musa
al-Khuwarizmi. Nel De numero indorum (Il calcolo numerico indiano) egli
presenta un’esposizione completa ed esauriente del sistema di
numerazione indiano; ciò fu presumibilmente la causa dell’errata
convinzione che il nostro sistema di numerazione fosse arabo.
Nell’Al-jabr wa’l muqābala, per cui è considerato il padre
dell’algebra, dà un quadro approfondito e compiuto della risoluzione
delle equazioni di secondo grado che si applicano nella risoluzione di
molti problemi. Fu proprio per trovare le formule risolutive delle
equazioni algebriche di terzo e quarto grado con i radicali che si
sviluppò la matematica in Italia nel Rinascimento.
Dal suo cognome al-Kkuwarizmi deriva il termine italiano algoritmo e da
Al-jabr quella che noi chiamiamo Algebra.
Sempre nella Casa del sapere fu attivo, nella seconda metà del IX
secolo, Thabit ibn Qurra al-Arrani, matematico, medico e astronomo, che
ebbe questi grandi meriti:
- Fondò una scuola di traduttori che ci hanno conservato i testi di
Euclide, Archimede e Apollonio, senza i quali le opere matematiche
greche oggi esistenti sarebbe molto minore.
- Fu il primo a capire che negli insiemi infiniti esiste una
gerarchia,
cioè esistono infiniti più infiniti di altri infiniti.
- Intuì la precessione degli equinozi.
Finisco questa parte dedicata al pensiero scientifico islamico
presentando Ibn-Sina (980-1037), medico, filosofo, matematico e fisico,
noto come Avicenna, considerato il padre della medicina moderna e
Ibn-Rushd (1126-1198), filosofo, matematico, medico e giureconsulto,
conosciuto come Averroé, di cui Dante dice “che ‘l gran commento feo”,
cioè fu il grande commentatore di Aristotele. Tre la sue tesi, che
influenzarono la cultura occidentale: l'indipendenza delle
verità di ragione da quelle di fede. Ne L'incoerenza
dell'incoerenza prese le difese della filosofia aristotelica
contro le critiche in cui si sosteneva che il pensiero di Aristotele, e
la filosofia in generale, fossero in contraddizione con l'Islam.
Il loro spessore di eruditi viene attestato anche dal Poeta che li pone
fra gli spiriti eletti assieme a Omero poeta sovrano, Aristotele ‘l
maestro di color che sanno, Euclide geométra e Tolomeo
Fedeltà al passato ed esigenza
innovatrice
Abbiamo già detto della profonda, lunga crisi dell’Occidente
conseguente alla generale decadenza della civiltà europeo-mediterranea
che sommerse quasi tutta l’eredità scientifica del passato.
Dopo una breve ripresa degli studi sotto l’impero carolingio, fu solo
nel XI e XII secolo che le mutate condizioni generali della società
favorirono una durevole, solida rinascita degli interessi culturali,
rivolta soprattutto a recuperare l’antico patrimonio e, parzialmente, a
ricerche di autentica originalità: in seguito dalla loro fusione
prenderà forma il pensiero moderno. La riscoperta di tanti tesori
accrebbe però sempre più l’autorità dei classici, rendendo completo il
trionfo della cultura
antica; il compito dell’uomo colto fu elevarsi al livello scientifico
dell’antichità, ma questo ideale pareva irraggiungibile! (Ipse dixit).
Ciò limitò fortemente lo sforzo rivolto a genuine ricerche. A
tale riguardo, nel XII secolo, sono significative:
- L’accanita polemica fra il mistico San Bernardo e la scuola di
Chartres: San Bernardo accusava i maestri di Chartres di «descrivere la
creazione del mondo per via filosofica o più ancora addirittura per via
fisica».
- L’avversione di Giovanni di Salisbury, tra gli spiriti più colti
del
secolo, contro gli innovatori, i cosiddetti cornificiani, che
pretendevano l’ampliamento dell’indagine filosofica e il radicale
rinnovamento della logica. L’appellativo dispregiativo cornificiani
deriva da Cornificio, retore del I secolo a.C. detrattore di Virgilio.
Poiché immenso era il patrimonio filosofico-scientifico tradizionale da
fare rivivere, agli studiosi «conservatori» di quel secolo, il
programma dei cornificiani parve poco meno che una pazzia.
Era forse troppo presto perché un tentativo di così aperta ribellione
al passato potesse trionfare.
Va però segnalato che il riassorbimento del pensiero scientifico degli
antichi non è da considerarsi, come solitamente si sostiene, un
atteggiamento di esclusiva passività culturale, perché costituì spesso
una magnifica palestra di serietà di studi e di rigore.
La nascita della scienza sperimentale
L’uso della ragione
Come per la matematica, la nascita della scienza sperimentale è legata
all’ideazione di ben precise
tecniche per padroneggiare razionalmente il corso dell'esperienza,
ossia per provocare certi fenomeni in condizioni controllate dal nostro
intelletto, ripetibili a volontà, misurabili con matematica esattezza.
E' stato necessario un profondo rivolgimento filosofico per indurre gli
spiriti più illuminati a studiare con serietà e metodo tali tecniche, e
per superare il doppio pregiudizio che ogni attività pratica fosse
troppo bassa per essere degna di un'indagine razionale, o troppo
recondita e misteriosa per essere raggiungibile dall'uomo.
Il nuovo atteggiamento di Galilei, Cartesio, Bacone e degli altri che
contribuirono alla creazione della scienza moderna risiede nel
comprendere che da un lato l'antichità aveva creduto, sulla fede di
Aristotele, che la scienza dovesse essere un'attività dello spirito in
sé e per sé, senza alcun effetto pratico. Dall'altra che il Medioevo
aveva creduto alla grande arte: arte segreta, il cui scopo era di agire
sulla natura, di trasformare i corpi, di crearne. Ma questo scopo si
cercava di raggiungerlo a tentoni, senza metodo.
L'ideale di Galilei, Cartesio e Bacone etc., si può sintetizzare in due
punti:
- Che la scienza potesse prescrivere delle regole per il lavoro
umano e
renderlo insieme più semplice e più fecondo, ed essere messa, con un
po' di studio, alla portata di tutti (Dopo il Sidereus nuncius il genio
pisano scrisse in lingua volgare affinché le sue idee fossero
comprensibili a molti).
- Fare una sintesi delle due concezioni, così da costruire un
sapere
basato su nuove tecniche razionali, valide non solo per il campo delle
idee astratte, ma per quello ricchissimo delle esperienze concrete.
Il presupposto sociale che rese possibile il rivolgimento filosofico
ora accennato è il deciso affermarsi di nuove ricchezze, direttamente
collegate al lavoro, e il conseguente emergere di gruppi sempre più
folti di scienziati sensibili agli interessi della produzione, capaci
di rendersi conto dell'unità inscindibile di pratica e teoria. È stata
la stessa organizzazione del mondo politico-economico a imporre nuovi
problemi alla ricerca scientifica, distogliendola dalle discussioni
generali di ordine metafisico per legarla a quesiti concreti.
Le opere di pace e di guerra, la canalizzazione dei fiumi, l'erezione
di ponti, l'escavazione di porti, la costruzione di fortezze, il tiro
delle artiglierie, la prospettiva offrono ai tecnici una serie di
problemi che l'esperienza non può risolvere e che esigono
necessariamente un'impostazione teoretica. E i nuovi studiosi non
escono dalle aule accademiche, ma dall'ambiente del libero umanesimo,
delle professioni civili.
Particolare importanza ebbero i problemi pratici posti dalla
navigazione, che in quell'epoca doveva attrezzarsi per sempre nuovi e
più lunghi viaggi verso le ricche terre di recente scoperta: l'opinione
dell'enciclopedico greco era di scarso aiuto per guidare le acque per
l'irrigazione, o per costruire una fortezza, o per correggere la
prospettiva di un quadro, o per dare suggerimenti per la navigazione.
Galilei
Per farci un'idea degli ostacoli che dovettero essere superati, basta
riflettere sull'introduzione del cannocchiale nella ricerca scientifica.
Le lenti, verosimilmente, furono inventate per caso nel XIII secolo da
qualche oscuro vetraio olandese che, sempre per caso, si accorse della
loro utilità nel correggere i più comuni difetti di vista. L'ambiente
colto però non ne parlò per circa tre secoli, giudicandole indegne di
considerazione; da ciò la diffidenza sui primi cannocchiali costruiti
da semplici artigiani: mai consegna del silenzio fu tanto lunga e
unanime.
Gli «scienziati accademici» scrivevano che il cannocchiale ingrandendo
o rimpicciolendo gli oggetti inganna e non fa conoscere la verità,
dunque non può essere adoperato come strumento di osservazione
scientifica.
Nel 1609 Galilei punta verso il cielo il suo cannocchiale con spirito
metodico e mentalità scientifica
e, come dice il Foscolo ne I Sepolcri, « all’anglo che tanta ala vi
stese sgombrò primo le vie del firmamento», cioè apre lo scrigno che
custodisce i segreti dell'universo. L'anno successivo nel Sidereus
nuncius (Avviso astronomico), con la «certezza» che è data dal
cannocchiale e «dalle inconfutabili dimostrazioni» demolisce le idee
sull'universo sostenute da Aristotele e Tolomeo: l'ambiente accademico
compatto si schierò contro di lui.
Eppure fu proprio l'atto di fiducia di Galileo nei prodotti
dell'industria artigiana a iniziare una delle più profonde rivoluzioni
filosofico-scientifiche.
Lo spirito nuovo e la diversa impostazione del lavoro hanno due
caratteri distintivi:
1. L'introduzione di un'istanza razionale nello studio dei diversi
problemi posti però in campi limitati: la caduta dei gravi, il
funzionamento delle lenti, la termologia…...
2. La consapevolezza della necessità di ottenere, per tale studio, la
più larga collaborazione.
3. L’ideazione, per ciascuno dei campi d'indagine, di un linguaggio
tecnico preciso per la descrizione di problemi, la formulazione delle
teorie, l'enunciazione delle leggi.
Il primo comporta che, ricavate dall'esperienza precise relazioni
numeriche fra le grandezze considerate, si avanza un'ipotesi di cui
viene messa alla prova la validità, verificando se le conseguenze da
essa ricavabili trovano o no conferma nei fatti. E i risultati di
queste verifiche vengono a loro volta sfruttati per ritoccare
l'ipotesi, creando così un circolo virtuoso ininterrotto fra pratica e
teoria.
Per il secondo ci si sforza di descrivere con la massima precisione il
procedimento usato e lo si comunica quindi ad altri ricercatori perché
anch'essi lo testino e lo utilizzino: questa collaborazione fa presto
sentire tutti i suoi vantaggi ampliando le possibilità di nuove
scoperte.
In relazione al terzo, furono importanti l'algebra simbolica di Viete
(seconda metà XVI secolo), matematico e avvocato, e portata a piena
maturità da Cartesio e Fermat, e i nuovi metodi dell'analisi
infinitesimale a opera di Cavalieri, Torricelli, Cartesio, Fermat,
Barrow, Huygens e Wallis e portati a compimento da Newton e
Leibniz, i geniali architetti del calcolo differenziale. Tali
metodi si rivelarono particolarmente fecondi per la fisica, prima
ancora di trovare
una loro giustificazione logica rigorosa che avverrà nel XIX secolo.
Esistono allora più linguaggi matematici, provvisti ciascuno di qualche
caratteristica peculiare, che può renderlo adatto a qualche speciale
capitolo della fisica o delle altre scienze: non ha più senso parlare
di linguaggio matematico come un modello perfetto del sapere
scientifico, ma in quanto potente aiuto nello studio della natura. E il
criterio ultimo, decisivo, per l'adozione di un gruppo di postulati, di
relazioni, etc., sarà sempre e soltanto l'appello all'esperienza.
Così l'atto di nascita della scienza moderna è legato al riconoscimento
che l’aggancio all'esperienza non costituisce, di per sé, una
sconfitta della ragione umana, come invece sosteneva Platone. Essa non
rinnega se stessa, ma anzi si potenzia e si completa, allorché tenta la
costruzione di teorie che non si snodano più fra pure astrazioni, ma
sono vincolate dalla scrupolosa corrispondenza tra i propri concetti e
i dati della realtà.
Cartesio
Il “programma” dei creatori della scienza moderna esigeva che essa
venisse concepita essenzialmente come una costruzione della ragione
umana, non come un dono più o meno gratuito di un intelletto superiore,
ma una conquista graduale e autonoma dell’uomo.
Il significativo contributo metodologico di Cartesio a tale programma è
chiarito nelle due principali sue opere Regulae ad directione ingenii
(Regole per la guida dell’intelligenza) e Discours de la méthode
(Discorso sul metodo), di cui seguono sono due passi brevi ma
indicativi della sua visione:
«Questo metodo imita quello delle arti meccaniche che non hanno bisogno
dell’aiuti di altre, ma dicono esse medesime in qual modo si debbono
fabbricare i loro strumenti». E afferma anche:
«Il mio disegno non è andato più in la di una riforma dei miei pensieri
e di costruire su un terreno tutto mio».
Il nuovo metodo era dunque visto da Cartesio, non come un canone
assoluto da imporsi a ogni ricercatore, ma come l’esempio di
un’indagine di nuovo tipo. La sua peculiarità doveva consistere
nell’essere una completa costruzione dell’uomo su un terreno tutto suo,
attraverso la realizzazione e l’elaborazione di un fine e svariato
strumento che egli stesso sviluppa e modifica pezzo per pezzo secondo
le proprie necessità.
Le quattro regole di Cartesio per risolvere i problemi:
- L'evidenza: «Non
prendere mai niente per vero, se non ciò che io
avessi chiaramente riconosciuto come tale; ovvero, evitare
accuratamente la fretta e il pregiudizio, e di non comprendere nel
mio giudizio niente di più di quello che fosse presentato alla
mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni
possibilità di dubbio».
- L'analisi: «Dividere
ognuna delle difficoltà sotto esame nel
maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per
un'adeguata soluzione» .
- La sintesi: «Condurre
i miei pensieri in un ordine tale che,
cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire
poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di
oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a
quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di
antecedenza e conseguenza».
- L'enumerazione (controllo
dell'analisi) e la revisione (controllo
della sintesi):
- «Fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle
sintesi
così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla.»
La via nuova che Cartesio aveva aperto alla ricerca scientifica era
un’aperta ribellione contro la logica formale aristotelica, considerata
come una pesante bardatura che imbrigliava la fertile originalità
dell’opera scientifica, irrimediabilmente sterile dinanzi ai nuovi
problemi, imposta a noi da qualcosa di estraneo alla nostra mente.
Dall’impostazione programmatica del lavoro scientifico razionale sopra
descritta si è sviluppata, come naturale conseguenza, la concezione
filosofica storicamente nota col nome di Illuminismo.
Giarre 19/01/2016
Alfio Grasso
email grassoalfino@yahoo.it
Bibliografia
Geymonat: Storia del pensiero filosofico e scientifico
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