Apologia dell’insegnante. Dall’insegnamento all’apprendimento
Data: Domenica, 23 ottobre 2016 ore 09:00:00 CEST Argomento: Redazione
Si è fatto scuola e
si continua a farla con il convincimento che nel
processo di formazione l'insegnante sia una figura indispensabile di
mediazione tra il sapere costituito e il bisogno di apprendere
dell'alunno; un bisogno che non dovrebbe essere preso a pretesto
per volerne la sottomissione, come d'altronde la funzione e la
posizione dell'insegnante non dovrebbero essere sostenute da
alcuna pretesa di potere. Ciò nondimeno, anche sgombrate da ogni
accessoria forma di autoritarismo la funzione e la posizione
dell'insegnante nel processo di formazione da qualche tempo sono state
sottoposte a critiche severe, alcune delle quali più suggestive che
razionalmente sostenute. Che la scuola e quindi l'insegnante non siano
più nella società della
conoscenza gli unici dispensatori del sapere, non c'è nessuno che lo
possa negare, perchè è divenuto riperibile in ogni momento e in
ogni luogo. Che non siano più gli unici, non vuol dire che non
debbano più svolgere la funzione di trasmettere conoscenze o che non lo
possano più fare.
Vuol dire senza dubbio che la trasmissione del sapere
e delle conoscenze deve essere fatta in modo diverso rispetto al
passato, ma anche che con chiarezza debba essere
circoscritta, indicata e valorizzata l'area specifica che in questo
campo attiene alla scuola e che solo a scuola puo' essere
coltivata. Fatto che richiede prestazioni professionali diverse
, ma connaturate alla funzione magistrale dell'insegnante, alla sua
responsabilità di orientamento e di direzione nei processi di
formazione.
La centralità della figura dell'insegnante nel modello educativo del
passato, che ad ogni buon conto non era affatto privo di preoccupazioni
per la crescita equilibrata e intelligente degli alunni, si dice che
debba essere sostituita da quella che deve avere l'alunno nel
modello educativo che si vuole costituire. Una rivoluzione
copernicana, adatta alla sensibilità attuale, in sintonia con le
trasformazioni di costume, con l'espansione dell'area delle libertà
individuali.
Se il ribaltamento delle posizioni di primato nelle relazioni educative
è comprensibile e anche auspicabile, si deve cercare di capire quali
siano le conseguenze che ne derivano. Di fatto viene messo
in discussione il paradigma educativo centrato sulla trasmissione
delle conoscenze e dei valori tradizionali, che ha avuto come suo
interprete autorevole l'insegnante col suo sapere. Se sono un problema
di prima grandezza il ruolo e la posizione che l'alunno deve
avere nelle relazioni pedagogiche, certamente in queste non
puo' sparire l'insegnante e non puo' sparire il sapere. Nel triangolo
educativo ci deve essere spazio per i docenti, per il sapere e per
gli alunni; sarà la percezione di opportunità, che i luoghi e i tempi
di volta in volta stimolano, a determinare il punto di inizio e le
modalità delle relazioni reciproche nel processo di formazione. Sono
, però, le finalità del sistema di istruzione e formazione a stabilire
come, quando e da chi debba essere occupata la scena principale dello
spazio educativo.
Si dice che è cambiata la direzione dei processi formativi e che
ora si deve andare dall'insegnamento all'apprendimento e se ne
parla a volte, come se questo possa avvenire a prescindere dalla figura
dell'insegnante, come se l'alunno possa apprendere da solo e
l'insegnante col suo sapere sia un impedimento. Posizione chiaramente
insostenibile, ma che a questo non si ferma in alcuni casi, perchè
, anche se non esplicitamente, si arriva a parlare del primato
dell'apprendimento e della capacità di apprendere, ma prescindendo dal
valore dei contenuti e del sapere che si possono e si devono apprendere
a scuola. A quelli che sostengono queste opinioni azzardate deve
essere ricordato che l'istituzione scolastica è legittimata ad esistere
perchè tenuta a svolgere il compito di trasmettere da una generazione
ad un'altra il patrimonio di saperi, di conoscenze, di tecniche e di
valori del passato e solo per questo ha un senso che in ogni
scuola si incontrino studenti e docenti.
La scuola non puo'
smettere di essere luogo di trasmissione razionale e ordinata del
sapere, luogo di formazione di conoscenze strutturate. A scuola si
trasmettono saperi e si insegna a conoscere. Per essere in grado di
partecipare alla vita sociale ed esercitare i diritti di cittadinanza
, i giovani devono prima partecipare alle grandi tradizioni del sapere,
fatto possibile se una persona viene istruita e riesce a portarsi
all'altezza dei saperi e delle conoscenze che è necessario possedere.
Le questioni prima esposte hanno un certo rilievo e non sono tutti
risolvibili nella logica delle relazioni nel processo di
formazione, perchè vi sono implicati temi che sono prima e dopo di
esse ed è necessario ragionarvi con pazienza e attenzione. Delle
innovazioni non si deve avere paura, e quando le circostanze lo
richiedono vanno introdotte, ma sapendo in partenza definire
i propri fattori di riuscita e quelli eventuali di insuccesso
;sapendo conoscere e praticare le regole del giuoco che si vuole
fare. Non si cambia per il semplice gusto di cambiare. I modelli
educativi, che sono cosa seria, variano in funzione della concezione
che
si ha dell'uomo, della società e delle loro relazioni e non per caso o
per moda.
Artefici del proprio apprendimento
Nel paradigma che si vuole sviluppare ed estendere l'iniziativa
dell'apprendimento viene affidata all'alunno e l'insegnante da
mediatore privilegiato del sapere si trasforma in un organizzatore di
situazioni di apprendimento. A soccorso di questa innovazione
vengono chiamate le diverse formulazioni del costruttivismo, secondo le
quali l'apprendimento è visto come attività di chi apprende, sia
individualmente sia in una comunità di apprendimento. Le concezioni
costruttivistiche sottolineano la centralità del soggetto apprendente
che attivamente e intenzionalmente costruisce la propria
conoscenza e riflette sul proprio modo di apprendere.
Sono
teorie che intendono creare un quadro di intelligibilità delle
pratiche didattiche, anche se non ne privilegiano qualcuna in
particolare e stimolano a precisare le intenzioni pedagogiche e a
determinare meglio le procedure più adeguate per gli scopi che si
vogliono realizzare. Sono un quadro di riferimento, non modelli da
applicare ciecamente. Per cui fare agire gli alunni nelle situazioni di
apprendimento per "costruire " le loro conoscenze, non sarà per nulla
facile perchè comporta un lavoro di innovazione di un certo rilievo e
soprattutto perchè non viene mai meno il compito
dell'insegnante di convincere studenti, che spesso non
mostrano particolare attenzione e interesse per tutto
quello che si fa a scuola, del valore e dell'importanza degli argomenti
che vengono affrontati nelle attività didattiche. Altrimenti sarebbe
difficile vederli all'opera;a spingerli a lavorare non sarà la propria
autonomia, ma il convincimento di fare cosa buona e giusta.
Ad ulteriore chiarimento va detto che se si possono modificare gli
ambienti di apprendimento per dare spazio all'attività del soggetto
apprendente, l'epistemologia dei saperi da apprendere non cambia
affatto. Le strutture del sapere sui quali devono essere edificate le
competenze non sono nella libera disponibilità degli alunni e dei
docenti e non è una buona idea non educare gli alunni a misurarsi con i
vincoli di questa necessità. Per possedere certi saperi è
una necessità apprendere quel che va appreso, quale che sia il modo di
apprenderlo. Per consentire ai giovani di accedere a particolari
professioni e a determinate occupazioni è assolutamente indispensabile
che il tenore dei contenuti, la loro progressione debba esere stabilita
da chi dirige il sistema di istruzione;responsabilità delegata alle
singole scuole e agli insegnanti e che non puo' essere nè negata
, nè trascurata, nè arbitrariamente modificata.
L'insegnante non sparisce e non puo' sparire;si tende a cambiargli i
connotati, per trasformarlo in gestore delle interazioni
socio-cognitive
e comunicative e tutto questo perchè il valore fondante del nuovo
modello pedagogico è l'autonomia dell'alunno che in tanto è possibile
formare e sostenere, in quanto viene messa alla prova nelle relazioni
del processo formativo, nelle modalità di sviluppo delle procedure
didattiche. Autonomia, si spera, come "capacità di autodeterminazione e
di autoregolazione, secondo un adeguato senso di responsabilità verso
se stessi, verso gli altri, la comunità, l'ambiente sociale e
naturale" (M. Pellerey). L'autonomia dell'alunno è una finalità di alto
profilo, ma sarebbe incomprensibile che per essa si voglia
alleggerire l'insegnante della responsabilità di trasmettere i
contenuti della sua disciplina, per insistere sulla sua attitudine ad
ascoltare gli alunni e ad incoraggiarli.
Non è scritto da nessuna parte che l'apprendimento debba essere
noioso;è scritto che ci si debba preoccupare di renderlo interessante e
anche piacevole, se fosse possibile. E' scritto sopratutto che debba
essere solido e duraturo. E a proposito di iniziativa e di
autonomia dell'alunno in quali campi possono essere
esercitate?Sulla scelta degli argomenti?Sulle modalità del lavoro
scolastico?Sulla valutazione dei risultati di apprendimento?Sulla
tipologia delle prove? "Un processo costruttivo che voglia essere
valido e fecondo implica che chi lo mette in pratica abbia a
disposizione un progetto chiaro e puntuale nelle sue varie
componenti, sintetizzabili nella questione; perchè e come. Ma è ben
difficile che nel caso delll'apprendimento di nuove conoscenze il
progettista e il capocantiere possa essere lo stesso
studente"(M. Pellerey).
Si tende a definire l'educazione a partire dal soggetto, dallo sviluppo
e dalla cura delle sue attitudini e capacità e a fare
dell'apprendimento degli alunni l'unico problema della scuola:un
problema dai risvolti individuali. La scuola, però, è un'istituzione
pubblica e il suo dovere è quello di trasmettere il sapere collettivo
di una comunità, i suoi valori e le sue regole, di integrare nella
comunità le nuove generazioni. Non si puo' ridurre il compito
dell'educazione a quello dello sviluppo delle capacità
individuali, dimenticando di indicare le finalità di interesse
pubblico che vanno raggiunte. Si rischierebbe di far perdere al sistema
di istruzione e formazione la sua dimensione sociale e collettiva.
E' importante, poi, solo apprendere ad apprendere o anche
apprendere anche qualcosa?Qualcosa che serva per il lavoro?, Qualcosa
che serva per la società, ? Qualcosa che serva per la vita. ?Se così
non
fosse tutto si ridurrebbe a metodologia del conoscere e
dell'apprendere;si resterebbe in una dimensione soggettiva e quasi
pre-valoriale;si svaluterebbe il sapere costituito, che è civiltà, che
è
tradizione, che è ambiente, che è società. Tutto si ridurrebbe alla
promozione di beni di uso privato, messi a disposizione da
un'istituzione pubblica...
Tra conoscenze apprese e saperi c'è qualche differenza che non
sempre viene tenuta presente. "La conoscenza è individuale, mentre
il sapere è collettivo. La conoscenza è relativa alla persona che la
"costruisce", il sapere è fissato da un gruppo sociale che lo ha
codificato. La conoscenza appartiene alla persona;i saperi sono
determinati socialmente e descritti in codici scritti, orali, etc. La
conoscenza è definita dalla proprietà della cognizione, il sapere dagli
attributi del codice per conservarlo e utilizzarlo(sintassi e
semantica). I saperi appartengono alla logica della disciplina alla
quale appartengono e alle pratiche sociali che li hanno
generati"(Ph. Jonnaert). E' proprio perchè le conoscenze sono
individuali e i saperi sono collettivi viene da dire che
impropriamente e ingiustificatamente il come si apprende eccede in
valore su ciò che deve essere appreso come futuro lavoratore e come
futuro cittadino.
Il magistero dell'insegnante
Le ricerche di John Hattie sull'efficacia delle metodologie
didattiche hanno messo in evidenza la funzione centrale del docente nei
processi di formazione e che quando manca la sua direzione
gli approcci didattici innovatori, ai quali si affidano molte speranze
, non danno i risultati sperati. I metodi meno direttivi favoriscono
gli
alunni migliori, mentre danneggiano i più deboli, perchè per loro è più
pesante il carico cognitivo per fare fronte alle resposabilità loro
assegnate. Le procedure di insegnamento diretto, contro le quali si
continua a schierarsi, danno migliori risultati.
"Quando
l'insegnamento esplicito è chiaro e il docente mette in luce i passaggi
fondamentali e le variabili critiche di quanto espone, evidenzia i
percorsi e gli schemi mentali che debbono essere utilizzati e
l'appropriato vocabolario che deve essere padroneggiato, egli rende
visibile ed esplicito quanto potrebbe rimanere nascosto e
implicito. "(M. Pellerey).
Se un alunno deve affrontare un contenuto nuovo e di un certo
spessore culurale e teorico, il buon senso dice che è
opportuno che venga introdotto nei concetti che lo costituiscono e che
venga guidato nella pratiche messe in campo per acquisirne
le abilità essenziali.
Solo dopo che avrà acquisito gli elementi
fondamentali e li ha conservati ben strutturati nella sua memoria puo'
essere indirizzato a svolgere in autonomia le proprie ricerche o a
risolvere i problemi che gli vengono assegnati. L'insegnamento
esplicito
e diretto, che nella lezione, ha uno dei modi di realizzarsi, non
toglie
nessuna iniziativa all'alunno, non ne menoma il compito e
l'impegno di apprendere, anzi facilita questa avventura
intellettuale, perchè toglie di mezzo tanti ostacoli superflui. Sono il
significato e la funzione che si danno a questo tipo di
intervento a determinare il grado di autonomia che viene lasciato
all'alunno e che si dà alla sua attività di apprendimento.
Lasciato a se
stesso non è detto che l'alunno eserciti la sua autonomia nel modo
migliore e più efficace. L'insegnamento diretto non si riduce
chiaramente alla lezione frontale, e tutti gli altri modelli didattici
non possono fare a meno della direzione e della guida culturale
dell'insegnante. Solo svolgendo la sua funzione magistrale
l'apprendimento dell'alunno potrà essere
costruttivo, stabile, significativo e fruibile. Il suo compito non
si colloca dopo l'apprendimento dell'alunno, ma prima e accanto e non è
ragionevole e in alcun modo giustificato ridimensionarne
l'importanza. Certamente l'alunno apprende da sè e nessun
altro puo' farlo al suo posto, ma appoggiandosi sul sostegno e
l'esperienza dell'insegnante. Per apprendere l'alunno ha bisogno
di incontrare situazioni di comunicazione, di scambio e di confronto
con
chi ha esperienza e conoscenza.
Con questo non si vuole dire che il sapere dell'insegnante debba
essere replicato dall'alunno, ma che è necessario per fare
comprendere la distanza tra esperienza personale e sapere costituito,
la
complessità dei contenuti ai quali ci si deve avvicinare, le difficoltà
per conquistarli, l'inestinguibilità del dovere di conoscere. La sua
salvaguardia è la salvaguardia del rilievo culturale e
scientifico delle discipline di cui sono responsabili e del
curriculum in cui si sostanzia la funzione conoscitiva ed educativa
della scuola.
Il loro sapere serve per fare apprendere e se utilizzato
bene per fare comprendere. Insomma l'insegnante non è un tecnico di
laboratorio e nemmeno uno psicologo. Nessuno mette in discussione che
ci
sia bisogno di una diversa relazione educativa tra docente e alunno;una
relazione da insataurare sul principio del valore intrascendibile della
persona dell'alunno, che ha tutto il diritto di sapere, di capire e di
farsi sempre una propria idea;perchè solo la sua partecipazione attiva
al processo di formazione renderà solido l'apprendimento. Nessuno mette
in discussione che per fare crescere in autonomia e in libertà
l'alunno, bisogna interpellarlo, aiutarlo a problematizzare,
coinvolgerlo
in attività di elaborazione di senso, dargli fiducia, Nessuno, se tutto
ciò viene fatto, ha bisogno però di escogitare nuovi primati nelle
relazioni educative.
"Certo anche nelle altre classi si insegnavano molte cose, ma un po'
come s'ingozzavano le oche. Si presentava loro un cibo pre-confrzionato
e si invitavano i ragazzi ad inghiottirlo. Nella classe del signor
Bernard per la prima volta in vita loro sentivano invece di esistere e
di essere oggetto della più alta considerazione:li si giudicava degni
di scoprire il mondo" (A. Camus).
Il ribaltamento del rapporto insegnamento/apprendimento/ è un obiettivo
su cui convergono molte intenzioni, alcune delle quali non
proprio benevole nei confronti della figura dell'insegnante; a
volte in questo orientamento sembra emergere un risvolto
ideologico o politico, più che la volontà di innovazione
pedagogica. Vi si sente l'eco di facili retoriche, che a conti fatti
sono un pedaggio non dovuto a ipotesi, sulla cui efficacia è lecito
dubitare, anche se non sempre della loro generosità. Si ragiona come se
questa nuova condizione cancellasse l'acquisita, pregressa ed
esercitata
professionalità dell'insegnante, per cui tutti, colti ed incolti,
sentono
di avere il diritto di dirgli cosa debba fare e come debba farla.
Si
sfregia la sua figura e il suo sapere e poi si piange sul decadimento
della funzione magistrale dell'insegnante. Basta, però, conoscere da
dentro la realtà scolastica e viverla per capire che le continue
ingiunzioni ad aggiornarsi e a cambiare atteggiamento indirizzate agli
insegnanti sono un mero esercizio di potere dell'amministrazione per
averne la sottomissione.
prof. Raimondo Giunta
|
|