La siciliana ribelle
Data: Martedì, 26 luglio 2016 ore 10:00:00 CEST Argomento: Redazione
Pochi
conoscono la vicenda di Rita Atria, raccontata dal film di Marco
Amenta, "La siciliana ribelle", uscito nel 2009 nelle sale
cinematografiche. Il film si ispira alla tragica storia di questa
ragazza,
figlia di un boss mafioso ammazzato nei primi anni ‘80. Rita fu
testimone
oculare dell’omicidio del padre e, pochi anni dopo, fu ucciso anche suo
fratello. Per vendicarli Rita decise di denunciare gli assassini.
Grazie
alla sua collaborazione con la magistratura, in particolare con il
giudice
Paolo Borsellino che diventò un secondo padre, fu possibile arrestare i
mafiosi da lei accusati ed intraprendere un’inchiesta sull’ex sindaco
di
Partanna, paese natio di Rita. Il 26 luglio di ogni anno si commemora
la
figura di Rita Atria, che a 18 anni si suicidò gettandosi dal balcone
al
settimo piano della palazzina di Roma dove abitava segretamente.
Accadde
una settimana dopo la strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992, in cui
furono massacrati il giudice Borsellino e la sua scorta.
La scelta di
collaborare con la giustizia aveva spinto Rita in uno stato di estrema
solitudine socioaffettiva. L’omicidio di Borsellino fu fatale. Per
infangare la memoria di Rita anche dopo la sua morte, la madre, che
l’aveva
già ripudiata in vita, ne violò la lapide a colpi di martello.
Ciò che mi
preme rinnovare è il coraggio interiore e la forza morale di questa
"novella Antigone", "eroina" dei nostri tempi, che rinunciò alla sfera
dei
suoi affetti più cari pur di realizzare il proprio ideale di giustizia.
In
un’epoca in cui i simboli e gli eroi dell’anti-mafia sono personaggi
del
calibro di Falcone, Borsellino, Peppino Impastato, figure minori come
Rita
Atria, sono eclissate o spinte ai margini della memoria collettiva. Il
gesto di chi sacrifica tutto nel nome di un ideale impone un
ragionamento
sul tema dell'omertà sociale, cioè la tacita complicità con chi
delinque.
Nel gergo mafioso chiunque infranga il codice dell’omertà per far luce
su
una verità, è disprezzato come "infame".
L’infausta catena omertosa è la
sovrastruttura culturale su cui si erge il potere terroristico delle
mafie.
La frase che esprime meglio l’omertà sociale è: “non vedo, non sento,
non
parlo”. Da qui il ricorso intelligente al linguaggio, che può
comunicare un
gesto di rottura contro il silenzio dell’omertà, della complicità
mafiosa,
complicità con il crimine economico-politico. Il verbo della verità
offre
un modello educativo improntato a codici non costrittivi ed
oscurantistici,
bensì aperti e democratici. In linea teorica, la parola può spezzare le
catene del pregiudizio, dell’ignoranza, dell’indifferenza e
dell’ipocrisia
sociale derivanti dal codice omertoso.
Antonio Gramsci scriveva che “la
verità è sempre rivoluzionaria”. Il linguaggio della verità è di fatto
sovversivo e giova alla causa della libertà e della giustizia sociale,
nella misura in cui modifica comportamenti che ci opprimono e ci
indignano.
Le parole che testimoniano un altro modo di intendere e costruire i
rapporti interpersonali, improntati ai principi della solidarietà,
della
libertà, della giustizia e della convivenza democratica, offrono una
modalità alternativa rispetto all’ordine omertoso della mafia e, per
estensione, rispetto all'oppressione coercitiva esercitato dalla
potente
criminalità economica del capitalismo.
Il delitto, il cinismo, l’ipocrisia,
l'inganno, la sopraffazione, la violenza terroristica sono elementi
intrinseci al sistema di potere mafioso, ma si iscrivono nella natura
più
intima dell’economia capitalistica. La logica mafiosa è insita nella
struttura stessa del modello affaristico, liberistico, imperialistico
che
imperversa in ogni angolo del pianeta, ovunque riesca ad insinuarsi
l’economia di mercato e l’impresa capitalista con i suoi atroci
misfatti.
Ciò che varia è solo il grado di mafiosità, di irrazionalità, o di
aggressività terroristica dell’imprenditoria capitalista. C’è chi
sopprime
fisicamente i propri avversari, come nel caso delle "onorate società",
e
chi ricorre a mezzi solo apparentemente meno rozzi e più raffinati, ma
altrettanto crudeli, pericolosi e spregiudicati. Non a caso, Honoré de
Balzac scrisse: "Dietro ogni grande fortuna economica si cela sempre un
crimine".
Lucio Garofalo
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