La logica delle competenze e il mondo del lavoro. Un’ipotesi di scenario
Data: Martedì, 03 maggio 2016 ore 06:30:00 CEST Argomento: Redazione
La competenza è uno
dei concetti simbolo del nostro tempo e uno degli
idoli più venerati in tutti i luoghi della nostra nostra società. E'
una
delle conseguenze dei cambiamenti profondi degli assetti economici e
dell'organizzazione del lavoro verificatisi a partire dagli anni
'80. Queste trasformazioni hanno subito un'accelerazione per le nuove
dimensioni del mercato dei prodotti, dei servizi, del lavoro e degli
investimenti non più ristretto, per i grandi rivolgimenti politici che
hanno segnato la storia degli ultimi decenni, agli ambiti nazionali, ma
dispiegato su tutta la comunità internazionale.
Per il Libro Bianco del '95 l'universalizzazione dell'economia di
mercato è uno dei tre shock che hanno trasformato profondamente e
durevolmente il contesto dell'attività economica e il funzionamento
delle società: gli altri sarebbero la nascita della società
dell'informazione e lo sviluppo della civiltà scientifica e
tecnica. Si è venuto a creare un contesto sociale ricco di
contraddizioni e di
polarizzazioni (tradizionale/innovativo;globale/locale;cognitivo
/emotivo;materiale/spirituale;memoria/futuro) in cui si possono
cogliere
come tendenze principali:il passaggio da un'economia di scala ad una
della flessibilità;la terziarizzazione dei processi economici;
l'avvento
delle nuove tecnologie; l'emergere del concetto di qualità totale, la
transizione da un modello meccanico di organizzazione ad un modello
organico e interattivo (G. Malizia).
Sono trasformazioni che hanno aumentato per tutti la possibilità
d'accesso all'informazione e al sapere e hanno richiesto una
modificazione delle competenze acquisite dai lavoratori e dei sistemi
di lavoro. Per tutti questa trasformazione ha fatto aumentare
l'incertezza, mentre per alcuni ha creato situazioni intollerabili di
esclusione. L'adattamento alle nuove condizioni di accesso
all'occupazione e all'evoluzione dell'organizzazione del lavoro è un
problema che riguarda tutti i gruppi sociali, tutte le professioni,
tutti
i mestieri ed è il problema principale da risolvere ai fini della
mobilità e della coesione sociale.
L'organizzazione del lavoro, oggi, richiede a tutti
intelligenza, creatività, autonomia, partecipazione. Ogni persona deve
essere capace di acquisire, mantenere e sviluppare continuamente saperi
e competenze e di trasferire quanto possiede e gli è familiare in
situazioni più o meno nuove, qualora questo sia richiesto dalle
innovazioni dell'organizzazione del lavoro. "La modernità riflessiva
riscopre il ruolo decisivo dei soggetti per fare funzionare in modo
riflessivo i grandi sistemi della modernità, ma vuole che questi
soggetti non siano tecnici o esecutori, ma capaci di intelligenza
creativa, autonomia decisionale assunzione dei rischi relativi alle
decisioni prese"(E. Rullani). Nella società della conoscenza il
patrimonio complessivo di saperi e competenze, il capitale
intellettuale diventa centrale nell'organizzazione aziendale e
determina il grado di competitività complessiva di un paese.
DALLE QUALIFICHE ALLE COMPETENZE
La competenza sta diventando l'oggetto reale di scambio nel mercato del
lavoro e tende a sostituire le qualifiche, perchè si dice che
oggi rappresenterebbe meglio la realtà del lavoro, non
descrivibile solo come mestiere, mansione, ruolo. La competenza sarebbe
per molti diventata la chiave di lettura delle tendenze del mercato del
lavoro. "La nozione di competenza sta al sistema di produzione
flessibile, come la nozione di posto al sistema
tailoristico-fordiano. (. . . )Le aziende funzionavano con una logica
di
lavoro prescritto con caratteristiche individuali su posto
stabile, associato ad una organizzazione collettiva gerarchizzata. Oggi
c'è un'organizzazione di lavoro individuale automatizzato con
un'organizzazione regolata da gruppi individuali integrati"(A.
Grimand).
Nell'attuale fase di ristrutturazione e riorganizzazione del sistema
industriale, determinata dal processo di innovazione tecnologica e di
globalizzazione dei mercati, si cerca di fare a meno della nozione di
qualifica. Non avrebbe la forza analitica che aveva nel passato;la sua
inadeguatezza per Dario Nicoli "si manifesta a tre
livelli:
a)inadeguatezza di tale categoria ad interpretare la
mutevolezza del contesto organizzativo;
b)superamento delle
modalità di reclutamento e di gestione delle carriere basate su
rigide corrispondenze tra qualifiche e titoli di studio e su
mansionari predefiniti;
c)modifica delle relazioni istituzionali
tra mondo del lavoro e sistema formativo, oltreche dell'organizzazione
e del contenuto delle attività formative, crescita di pratiche volte
alla validazione e del riconoscimento dei saperi e delle competenze
professionali".
Il passaggio dalla qualifica alle competenze, che viene preconizzato e
celebrato, non è affatto indolore, come si vuole fare credere, perchè
incide sui rapporti sociali di lavoro e sulle modalità
d'esercizio della tutela del lavoratore in azienda, sulle sue
condizioni
di vita. Il concetto di qualifica beneficia di una storia di parecchi
decenni, che gli ha consentito di stabilizzarsi, mentre il concetto di
competenze è ancora in movimento e questo ha la sua importanza nelle
dinamiche contrattuali. Al fine di confrontare e gerarchizzare le
funzioni secondo criteri riconosciuti collettivamente i partner sociali
nei rapporti di lavoro nel passato hanno usato delle griglie di
corrispondenza tra compiti da svolgere e possesso delle qualifiche. Il
postulato sul quale riposava questa logica supponeva che ci fosse un
rapporto diretto tra qualifiche individuali e contributo alla
produttività;istituiva un'equazione tra il possesso di un titolo, di
una certa anzianità e l'assegnazione di un posto col relativo salario.
Col passaggio alle competenze "si apre, quindi, la possibilità di
slegare il rapporto salariale dagli ancoraggi a posti o saperi
prestabiliti. E ciò comporta conseguenze di notevole rilievo dal punto
di vista delle modalità di gestione delle risorse umane"(
C. Catania - D. Nicoli). Se questo è vero, è ragionevole pensare che
l'opposizione alle qualifiche risponda ad una strategia del loro
indebolimento, più che ad una strategia di sostituzione per
inefficacia. (M. Stroobants). Di fatto fino a quando la qualifica
avrà un valore nei posti di lavoro, potrà resistere il primato della
contrattazione collettiva sulla relazione interpersonale tra
proprietà dell'azienda e lavoratore.
Ed è questo, forse, l'obiettivo che
si vuole raggiungere, quando si parla di competenze, più che
l'adeguamento alle continue trasformazioni del mondo del lavoro.
La qualifica è stato uno strumento di classificazione dei lavori, ma
anche un'istituzione sociale, che rappresentava anche il punto
d'appoggio per la formazione di competenze professionali, il cui
contenuto veniva fissato pubblicamente. La logica della competenza
nel mondo del lavoro mette in discussione il peso accordato alle
qualifiche e alla formazione del sistema di istruzione. La
valorizzazione della qualifica è stato il risultato della
contrattazione collettiva e si è verificata in un quadro di
crescita economica e di stabilità dei suoi assetti organizzativi;la
valorizzazione delle competenze, invece, la si vorrebbe necessaria
in un contesto di disoccupazione strutturale e di continue e profonde
trasformazioni tecnologiche. In queste condizioni il potere
contrattuale
del lavoratore dipenderebbe dal patrimonio personale di competenze che
progressivamente è riuscito ad acquisire e sviluppare, ma sempre che
venga riconosciuto e questo non è detto.
Il passaggio dalla qualifica alle competenze è un cambiamento che viene
descritto come il passaggio dal sapere fare legato al posto di lavoro
al sapere agire professionalmente in tutta la sua complessità
, comprensivo di una classe molta ampia di funzioni e di ruoli. Nel
passaggio dall'avere competenze a quello di essere competenti il
lavoratore è chiamato a mettersi in giuoco in modo integrale e il
giudizio di competenza rischia a differenza di quello di qualificazione
di essere un giudizio sulla persona in quanto persona e non in quanto
lavoratore. "Il concetto di competenza permette di fare dell'uomo un
oggetto di gestione: se Taylor scomponeva il lavoro in gesti elementari
per impiantare la misura dei rempi e dei movimenti e ottimizzare il
rendimento, la nozione di competenza identifica e scompone le capacità
e
le attitudini di un individuo per mobilitarle e ottimizzarle in un
contesto dove la reattività organizzativa diventa essenziale. Ciascuna
di queste capacità puo' essere misurata, sviluppata con
l'apprendimento, accresciuta con la formazione, trasferita con la
mobilità o il tutorato"(D. Cazal - A. Dietrich).
L'attrazione del mondo economico per le competenze si spiega solo con
l'intenzione di favorire la deregulation, la precarietà e la
flessibilità degli impieghi? Di sicuro c'è, ad ogni buon conto, che
questo cambio di passo nelle relazioni del mondo del lavoro incide
sulla vita delle persone che vi sono coinvolte e non è una marcia
triofale delle magnifiche sorti progressive, che non bisogna nè
correggere, nè guidare. Possono essere moltissime le vittime che
restano
ai margini di questa trasformazione;gente senza tutela, senza
lavoro, senza alternative.
LE COMPETENZE PROFESSIONALI
Il problema che si pone in questo passaggio dalle qualifiche alle
competenze non è di poco conto. Le competenze sono in grado di
potere offrire le stesse garanzie di sistema che offrivano
le qualifiche(classificazione professionale, normazione
contrattuale, programmazione formativa)? E' evidente a questo punto che
bisogna chiedersi che cosa siano le competenze professionali e se
il loro certificato possesso consenta di favorire relazioni
sociali funzionali non solo allo sviluppo aziendale, ma anche alla
dignità del lavoro e del lavoratore.
Le competenze professionali sono costituite dai saperi e dalle tecniche
connessi all'esercizio delle attività richieste da funzioni e processi
di lavoro. Al singolare la competenza professionale indica la capacità
generale posseduta dalla persona, legata a una data area di lavoro e
che riguarda l'interpretazione del contesto, la conoscenza di regole di
produzione delle azioni e di implementazione di soluzioni
efficaci (B. G. Bara)
Le comptenze professionali nel sistema d'istruzione e formazione
costituiscono il profilo in uscita dei giovani che hanno frequentato un
particolare indirizzo tecnico-professionale. In questo caso le
competenze si associano in compiti definibili indipendentemente dal
soggetto che intende possederle. Le situazioni e le classi di
situazioni
a cui devono fare riferimento le competenze si definiscono prima e
fuori delle attività curriculari secondo i tempi e le innovazioni
correnti nel mondo del lavoro. . .
Le competenze professionali, sulle quali lavorano le scuole, sono
ricavate dall'analisi delle concrete attività operative connesse a
specifici processi lavorativi. Non se le inventano a scuola e non
restano sempre identiche a se stesse. . "Per definire la competenza
corrispondente ad un posto di lavoro, si descrivono i compiti che esso
esige"(B. Rey). E' naturale che ogni competenza largamente riconosciuta
evochi una pratica professionale istituita, emergente o
virtuale(Ph. Perrenoud).
La questione vera è il ruolo da assegnare alla formazione del sistema
di istruzione nel rapporto col mondo del lavoro e non la disputa
effimera della scelta tra qualifica e competenze. Che cosa impedisce di
accompagnare il titolo di qualifica o di diploma con un serio e valido
certificato delle competenze?E in questo caso verrebbe preso in
considerazione?
Se con ogni evidenza la formazione ricevuta a scuola non basta per
un'intera vita, è anche vero che senza queste solide basi non è
possibile accrescere e modificare il patrimonio di saperi in qualsiasi
contesto(formale, non formale, informale) una persona venga a trovarsi
;nè dentro, nè fuor il posto del lavoro. Non è solo la qualifica in
quanto tale a non essere in grado di seguire e di intercettare le
innovazioni dell'organizzazione del lavoro, ma qualsiasi formazione
priva di solide fondamenta e che si ritenga auto sufficiente. Non ha
senso nemmeno affermare che tra formazione ricevuta e lavoro ci sia
quella distanza che impedisce di doverla prendere in considerazione,
perchè questo avverrà sempre, come sempre avverrà che basta un modesto
periodo di tirocinio per orientarsi a chi ha solida preparazione e
cultura professionale.
Se c'è una logica nel ridimensionamento della qualifica e quindi della
formazione professionale formale e del sistema scolastico, questa
non è da trovare nella sua inadeguatezza, ma nell'intenzione di avere
un
controllo completo sul lavoro e sui lavoratori, di liberarsi di
qualsiasi mediazione sociale e di non dare all'istruzione il
valore che ha, per non pagarne il prezzo. Per altro anche un
curricolo per competenze non elimina la separazione e la distanza fra
l'apprendimento e la pratica effettiva e se le competenze si
mostrano nella pratica, è anche vero che non si acquisiscono solo con
la pratica. L'esperienza in quanto tale e da sola non è generatrice di
competenze di grande livello e lo sapevano gli antichi greci che
distinguevano tra empeiria e technè.
La scelta di dare uno spazio sempre maggiore all'apprendimento
informale e non formale va nella direzione di un ridimensionamento del
sistema di istruzione nella società. L'esaltazione dell'apprendimento
lungo tutta la vita, che ovviamente avviene in ogni posto in cui si fa
esperienza e non solo a scuola. . , nasconde il veleno nella sua
coda, perchè di fatto si celebra il trasferimento di responsabilità
dalla società alla singola persona in un ambito di problemi ritenuti di
grande impatto sociale e in un momento in cui su questo piano le
istituzioni non danno molte garanzie. Senza dubbio c'è una domanda di
apprendimento permanente, mentre non si puo' dire che ci siano offerte
pubbliche credibili e costanti. Si fa carico solo alla
responsabilità individuale di apprendere e sviluppare le
competenze. "Questo profondo cambiamento del fare formazione si
accompagna (. . . ) alle difficoltà della società e dell'economia a
garantire stabilità nei percorsi lavorativi professionali e di
conseguenza l'individuo è rinviato a se stesso, ai suoi percorsi
autoriflessivi e ricostruttivi per definire i propri punti di
riferimento e costruire la propria storia" (G. Di Francesco).
A MO' DI CONCLUSIONE
Il riconoscimento attraverso la certificazione (Dove? Come? Quando?) di
quanto una persona è riuscita ad apprendere è un modesto palliativo
rispetto al diritto alla formazione permanente e non risolve alcun
problema di equità e di merito come si continua ad affermare, mentre è
sicuramente uno dei modi per deprezzare l'apprendimento formale
rispetto a quello non formale e informale. Dietro l'angolo di questa
ripetuta esaltazione delle competenze nel mondo del lavoro non c'è e
non si vede in questo momento l'armonizzazione tra coesione sociale e
sviluppo individuale. Anzi.
La pubblicistica FSE e quella ISFOL trattano questi problemi con
autorevolezza e non conoscono dubbi e perplessità;prospettano una
visione se non idilliaca, sicuramente ottimistica, come si conviene al
loro rango istituzionale. Ecco bisogna stare attenti e vedere nel retro
di queste lucide medaglie i problemi sociali che sottovalutano. E'
facile il rischio di fare ideologia, invece che ricerca sociale.
prof. Raimondo Giunta
|
|