Per una scuola del dialogo: crescere liberi
Data: Sabato, 05 marzo 2016 ore 05:00:00 CET Argomento: Redazione
Un sapere che
faccia crescere liberi è la scommessa che ogni
giorno si dovrebbe vincere a scuola, se si vuole il bene degli alunni.
Non è facile e non è solo una questione di contenuti. Per essere
fedeli a questo impegno è necessario innanzitutto
interrogare il senso e le modalità del rapporto educativo; ripensare
radicalmente il suo costituirsi e il suo svilupparsi nella quotidianità
del lavoro di formazione. E'un comodo appoggio ricorrere all'idea di
una
sua intrascendibile asimmetria per lasciare ogni cosa al suo
posto; affermare che, comunque lo si pensi e lo si realizzi, nel
rapporto educativo non ci sia parità tra le parti in causa, tra
le responsabilità del docente e quelle dell'alunno.
Se è vero che l'asimmetria della relazione tra docente e alunno non
può essere nascosta, è anche vero che può essere trasformata nelle
prospettive e nel significato, radicandola nell'unica ragione che
oggi la giustifica e la rende feconda: lo sviluppo dell'autonomia, del
pensiero critico e della libertà intellettuale dell'alunno. Obiettivo
difficile, ma non impossibile da conseguire, se il valore della persona
dell'alunno, la sua dignità, il suo diritto alla formazione, la sua
assoluta intangibilità sono costantemente considerati e vissuti come
gli unici principi di orientamento dell'azione educativa.
Il principio della libertà dell'alunno è essenziale
nell'educazione, se non si vuole che essa diventi manipolazione delle
coscienze. C'è buona educazione dove e se si coltiva la libertà
dell'alunno. L'essere umano è una libertà che si forma e che deve
sfuggire ad ogni logica di potere e di dominio. L'educazione alla
libertà non ha bisogno di fare a meno del principio di
autorità e di diffamarlo, perchè l'autorità non è l'opposto puro e
semplice della ragione e della libertà e perchè la libertà dell'alunno
non è di ostacolo alla funzione "direttiva" del docente nel processo di
formazione.
Lo status di autorità nel rapporto educativo compete all'insegnante per
il possesso di maggiore esperienza e di maggiori conoscenze. A scuola è
il sapere la fonte dell'autorità dell'insegnante, la sua competenza;
non
del suo potere, perchè l'autorità a scuola non si fonda e non si può
fondare sulla sottomissionne dell'alunno. Il docente deve imporsi,
senza
imporre. Si interroga sulle resistenze dell'alunno
all'apprendimento e non tenta di violarle. "L'educatore non deve
persuadere con la violenza, con la superiorità del suo statuto, col
ricatto delle punizioni o delle ricompense, ma con la verità del
discorso che propone. Solo in questo modo l'alunno può imparare a
pensare da solo"(B. Rey).
L'insegnante, che vuole e ama la libertà dei suoi alunni, agisce
solo sulle condizioni del loro apprendimento. E tutto cio' non
vuol dire che le relazioni, che sono sempre relazioni tra
persone, si debbano svolgere su un piano puramente tecnico, o
professionale come amano dire gli appassionati di procedure
razionali, affascinati dai miti dell'efficienza e dell'efficacia. Tutto
ciò significa che la parola dell'insegnante non deve sostituire quella
che si viene formando nella coscienza dell'alunno, per non
togliergli il diritto di dire con parole proprie le idee, che ha
maturato e che viene maturando.
Si educa alla libertà se c'è fiducia, un clima di rispetto, se si
creano
situazioni di condivisione e di partecipazione; si educa alla libertà
se
nella relazione educativa, che deve essere sempre esigente e
coerente, non si mortifica la stima di sè, alla quale ha diritto ogni
alunno. La libertà non è solo un fine dell'educazione, ma anche la
condizione in cui l'educazione deve svolgersi. I valori della
responsabilità, dell'autonomia, della franchezza non possono crescere
in
procedure didattiche autoritarie. E' nella didattica che si dà spazio
allo sviluppo delle attitudini morali e intellettuali dell'alunno. E'
la
didattica lo spazio in cui deve esercitarsi la libertà
dell'alunno. Bisogna pertanto interpellarlo, aiutarlo a partecipare
all'azione educativa, coinvolgerlo in attività di elaborazione del
senso del compito che bisogna svolgere.
IL TRIANGOLO EDUCATIVO
A pensarci bene, però, nel processo di formazione il rapporto non è tra
insegnante e alunno, ma tra insegnante, sapere e alunno. Nel
processo di formazione, se a qualche buon risultato si vuole arrivare,
non può scomparire l'insegnante, come avventatamente talvolta si
favoleggia; non può scomparire il sapere, perchè non ci sarebbe
più scuola e nemmeno si può immaginare che l'alunno conti così
poco, come se non ci fosse.
L'esperienza e il buonsenso ci dicono che nel processo di
formazione è necessaria la presenza di un insegnante che guidi,
sostenga e corregga efficacemente l'alunno e che l'alunno se vuole
crescere, deve avere un ruolo attivo e costruttivo. "La coscienza
dell'alunno non è un archivio, dove vanno depositate le
conoscenze"(P. Freire). Certamente l'alunno apprende da sè e nessun
altro
può farlo al suo posto, ma questo avviene, appoggiandosi sul sostegno
e
l'esperienza dell'insegnante. Per apprendere l'alunno ha bisogno di
incontrare situazioni di comunicazione, di scambio e di confronto
con chi ha esperienza e conoscenza. L'esperienza e il linguaggio
del docente sono mediazioni necessarie per l'attività di apprendimento
dell'alunno; sono sostegno e aiuto.
D'altra parte non è detto e non dovrebbe dirsi che per fare spazio
all'autonomia e alla responsabilità dell'alunno si debba ridimensionare
il valore dei contenuti e delle discipline nei processi formativi. Per
essere in grado di partecipare alla vita sociale ed esercitare i
diritti di cittadinanza è necessario condurre l'alunno alla
conoscenza delle grandi tradizioni del sapere, dell'arte e della
cultura della società a cui appartiene. E' necessario portarlo
all'altezza delle conoscenze e dei saperi che bisogna possedere.
Lo sviluppo e l'incoraggiamento di un comportamento attivo dell'alunno
implica un sovvertimento dei metodi di insegnamento, delle procedure
didattiche, ma non l'irrilevanza dei contenuti. La scuola è il luogo
della trasmissione dei valori, della cultura, delle tradizioni, della
storia del passato; è il luogo della formazione delle competenze
indispensabili per entrare nel mondo del lavoro. Cambiare
prospettiva, punto d'osservazione nell'attività didattica non deve
significare indebolire il significato e il ruolo dei saperi
scolastici, come la funzione degli insegnanti.
Rispetto al sapere che si ha il dovere di trasmettere, a prima vista
sembra che l'insegnante sia in una posizione diversa rispetto
all'alunno, che è interessato o tenuto ad apprenderlo. Sarà un
paradosso, ma non è assurdo affermare che rispetto al sapere
l'atteggiamento dell'insegnante non può essere diverso rispetto a
quello che dovrebbe avere l'alunno; un
atteggiamento di curiosità, di attenzione, di ricerca e di amore. E
solo se l'insegnante dà prova di questo atteggiamento, si
può sperare che lo possa assumere anche l'alunno. La sfida educativa è
quella di fare diventare il sapere dell'insegnante, oggetto del
desiderio dell'alunno; è quella di proteggere e diffondere il senso dei
saperi.
E' fondamentale, pertanto, per una buona formazione tenere sempre sotto
osservazione il rapporto che si viene a istituire tra l'alunno e il
sapere per cercare in tutti i modi di evitare che si frappongano
ostacoli, remore di qualsiasi genere che possano determinare un
atteggiamento difensivo, diffidente o cinico verso una disciplina, una
nozione, un metodo, una posizione intellettuale(Ph. Perrenoud).
"Apprendere è il nodo essenziale per una società in cambiamento e il
desiderio di apprendere è il motore indispensabile "(A. Giordan). Il
desiderio di apprendere è una disposizione morale che bisogna coltivare
e si deve caratterizzare per la sua responsabilità individuale e per
l'orientamento al dialogo e all'ascolto. Sboccia se lo si riesce
quotidianamente ad accendere nella coscienza dei giovani, facendo
sentire un profondo rispetto per il loro impegno. Ma non basta mostrare
gli aspetti utili e le convenienze sociali del sapere. Il sapere deve
avere un senso per chi lo deve possedere; deve
inserirsi, cioè, dentro un sistema di significati personali :quelli che
orientano i comportamenti e le scelte delle persone.
IL DIALOGO
La scuola per certi aspetti è un luogo strano, dove chi sa, fa le
domande e chiede conto e ragione a chi non sa; ma dovrebbe essere il
contrario e se lo fosse sarebbe, come affermava molti anni
fa Guido Calogero, la scuola ideale, perchè avremmo alunni che hanno
desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono
ascoltare. Diceva Dewey che ogni lezione dovrebbe essere la risposta ad
una domanda. E' proprio questo intreccio di domande e risposte il
dialogo; è l'ascolto reciproco la buona educazione.
Si domanda per apprendere, si domanda per insegnare e a nessuno
dovrebbe
essere vietato di porre domande, se si vuole che la relazione educativa
sia una relazione dialogica. La scuola come dice B. Rey dovrebbe essere
il luogo dove la verità di una parola non è relativa allo status di chi
la pronuncia. "Le verità non derivano da un'autorità testuale o
pedagogica, ma da dimostrazioni, argomentazioni e ricostruzioni. Questo
modello di educazione è fondato sulla reciprocità e sulla
dialettica"(J. Bruner). Il riconoscimento del valore della parola
dell'alunno è il fondamento dell'educazione autentica e richiede
l'attribuzione del potere di pronunciarla; richiede il riconoscimento
del suo diritto di partecipare con spirito di iniziativa e
responsabilità nel processo educativo. "Le persone si lasciano
convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto,
piuttosto che da quelle scaturite dalla mente altrui"(Pascal).
Ma le domande che hanno senso non si pongono a caso. Bisogna educare a
porre e a porsi domande; a pensare il rigore e la radicalità delle
domande:bisogna dare strumenti per potere discutere e dialogare, per
diventare capaci di resistere al sovvertimento delle evidenze con
cui quotidianamente si cerca di manipolare le coscienze. Bisogna
educare
a problematizzare. Per non accontentarsi delle prime e rassicuranti
risposte e andare oltre, in profondità su ogni questione, su ogni dato
, su ogni fatto, su ogni notizia, su ogni nuova conoscenza. Bisogna
allora
contrastare con energia la tendenza a insegnare saperi, trascurando di
fare capire e conoscere i problemi che li hanno generati.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva,
il
rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle
procedure
e degli obblighi professionali. L'alunno deve sentire la prossimità
umana, la passione, la partecipazione dell'insegnante nel suo faticoso
percorso di crescita e di apprendimento. La responsabilità educativa si
realizza nel riconoscimento e nella valorizzazione dell'alterità
dell'alunno come fondamento del dovere di attenzione alla sua
soggettività, del dovere di cura del suo sviluppo integrale e
armonioso. "Educare è comunicare profondamente con un giovane per
aiutarlo a comunicare con se stesso"(A. De Peretti).
"Chiedeva ai suoi uditori di porgli domande; così le sue lezioni erano
piuttosto confuse e non mancavano di divagazioni"(Porfirio-Vita di
Plotino). può succedere che il dialogo sfugga di mano e si crei un po'
di disordine in classe, ma non bisogna averne paura, perchè per certi
aspetti è vita. Non esiste una scuola del silenzio che sia anche
scuola di partecipazione. Educare è accettare di discutere e il centro
dell'attività didattica non può essere sempre la cattedra; si deve
spostare verso il centro dell'aula per fare in modo che la classe
diventi una comunità dialogante, di partecipazione.
Il dialogo come mezzo e come fine dell'educazione esige un'etica
comunitaria convintamente vissuta da docenti e alunni; ognuno deve fare
la propria parte, mettersi a disposizione dell'altro, sentirsi parte di
una comunità, in cui con diverse funzioni, insieme si apprende e
si vuole andare avanti. Ma il dialogo non è un metodo, è il modo e
non solo a scuola di dare valore e significato morale all'altrui
presenza. Il dialogo è confidenza tra gli allievi e tra gli
allievi e gli insegnanti; è piacere di appartenere ad una comunità, che
porta avanti insieme il progetto educativo.
Il dialogo non ha fretta; è per le pari opportunità; non esclude, non
stigmatizza; non è competitivo, ma cooperativo. Il dialogo non è solo
tra
i presenti, ma si estende, va fuori dell'aula, incontra la
società, incontra il passato. E con tutti e con tutto invita a
discutere, a parlare e ad ascoltare, perchè è desiderio di apprendere e
di comprendere il mondo.
Il dialogo è l'antidoto per sottrarre la scuola alle seduzioni
tecnologiche, che la stanno immiserendo e sterilizzando, perchè pone la
centralità della parola viva nella relazione educativa e perchè solo
nella parola viva si incontrano le persone che hanno qualcosa da
dirsi. Nel dialogo i giovani imparano a parlare e ad
esprimersi, incominciano a gustare il piacere di potere comunicare il
mondo delle proprie esperienze, del proprio vissuto.
Il primato del dialogo impedisce alla scuola di essere una
caserma, di trasformarsi in una spuria azienda di formazione
professionale; invita ad andarvi e a frequentarla senza angoscia,
perchè
scaccia la sofferenza e la noia; allontana la sottomissione e
incentiva
l'autonomia, combatte l'insuccesso e le gerarchie e non nega
cittadinanza all'errore e alle differenze.
prof. Raimondo Giunta
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