Dante, sempre attuale
Data: Mercoledì, 02 marzo 2016 ore 03:30:00 CET
Argomento: Redazione


Nel sentire collettivo odierno, parecchi dei vizi capitali non sono più considerati, né vissuti, come tali, ovverosia come frutto dell'eccesso, della subordinazione della ragione all'istinto. E' cambiata addirittura la stessa terminologia definitoria di certi vizi capitali: oggi l'accidia (tepidezza nel seguire il bene: "l'amor del bene, scemo/ del suo dover" Purg. c.XVII, vv.85-86) si chiama depressione; i peccati di gola sono considerati forme di relazione patologica nei confronti del cibo: è il caso della bulimia ( eccesso smodato di cibo ingurgitamento senza misura); o, viceversa della anoressia (rifiuto sconsiderato del cibo); l'ira (incapacità di autocontrollo) viene considerata, nei suoi eccessi, disagio psichico, e così via. E la lussuria? Essa non è considerata dalla morale comune come un peccato, quanto piuttosto come una libera disposizione alla sessualità.

Ma il "laico" Dante (M. Barbi), uomo di ragione, oltre che di fede, ci ricorda che la cultura cristiana è " una cultura alta della responsabilità"; ci ricorda a noi del XXI secolo che molti peccati sono il prodotto dell'acquiescenza morale, di scelte sbagliate, forme di schiavitù del godimento. E si badi bene: la responsabilità di cui parla Dante - e anche qui è la sua modernità - prima ancora di essere in rapporto a una valorialità ontologica, è una responsabilità per l'alterità del prossimo, per l'altro uomo, per il suo nome proprio, per il suo destino.
Non è mai una responsabilità astratta, generica.

Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com





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