I compagni di scuola, la foto di classe e i ricordi di gioventù
Data: Lunedì, 08 febbraio 2016 ore 03:30:00 CET
Argomento: Redazione


Di quel periodo mi sono rimasti i ricordi legati a quelle fantastiche foto di gruppo, dove visini di adolescenti, sorridevano ignari della vita e del loro futuro. Qualche volto, ormai, purtroppo è andato via per sempre. Ti ritrovi a pensarlo con una stretta al cuore. Era quello magrissimo, con una massa di capelli neri dal taglio non identificato, ricordo il suo giubbino di una tonalità scura di azzurro. Dopo gli esami di Stato un mattino non si è più svegliato. Ciao dolce compagno di scuola, è strano come i sentimenti ti frustano il cuore anche dopo tanto tempo; ecco riemergere la ragazzina fra i banchi di scuola. "Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato dal fumo delle barricate? Compagno di scuola, compagno per niente, ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?". Non poteva esserci brano migliore se non quello di Venditti per descrivere il mio stato d'animo.

Quando, ritornando indietro nel tempo, mi ritrovo seduta nella mia sedia, davanti al mio banco personalizzato di disegnini e frasi dei Pink Floyd, pezzi di muro stilizzati con la matita e ali di gabbiano che spiccano il volo da quel colore verde marcio per finire nella città dolente con il "sommo" Dante, mio amico amatissimo, almeno fino a quando è rimasto negli inferi dopo, toccate le soglie del paradiso, lo tradii senza nessun rammarico, con l'Ariosto ed il rocambolesco Orlando. Erano più simili alla mia indole. Decisamente la rosa dei beati non faceva per me.

In ogni classe c'è il cicciottello che tutti snobbano ma con il cuore di panna (per forza a furia di dolci si è trasformato in un bignè); la "bonazza" con le grandi tette e il sorriso "dolcissimo" come la carta igienica vetrata, irritante al massimo; la santerellina che non la "darebbe" mai a nessuno, ma che quando si decide diventa... un'enciclopedia del kamasutra; il rosso pieno di efelidi che fa lo spaccone per nascondere il disagio provato con quella criniera leonina; lo spilungone, ciondolone, enorme, che ti faceva sentire un nanetto e finiva sempre all'ultimo banco o a cancellare la lavagna, lì dove i "comuni" mortali non riuscivano ad arrivare, professori compresi; lo sfigato quello che una ne faceva e cento ne sbagliava, era come se tutto l'universo lo avesse preso di mira e ridotto alla berlina; la sgobbona e l'intellettuale, lei frigida e lui asessuato ma perfetti nella loro aura, sempre puliti e profumati, capelli in ordine e quaderni sempre all'ultimo grido, i miei invece gridavano di disperazione, spesso riciclati dagli anni precedenti, qualora fossero rimaste pagine bianche.

Già, ... le pagine bianche! Quante ne avevamo allora da scrivere? E quante ne scrissi io!

Agata Sava - Vicepresidente Associazione Culturale "Graziella Corso"





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