PAS sì, PAS no... Quando un punto di diritto è trasformato in questione opinabile!
Data: Lunedì, 08 febbraio 2016 ore 01:30:00 CET
Argomento: Sindacati


Troppe le opinioni che inquinano un dibattito che non avrebbe nemmeno ragione di esistere, in un Paese civile, appartenente all'Unione Europea, quello se sia giusto o no avviare nuovi Percorsi abilitanti speciali, detti PAS, per i docenti precari con servizio, perché dal 2005 ad oggi, l'Italia ha il dovere di applicare una Normativa, ratificata formalmente nel 2007, che riconosce l'esperienza professionale come percorso formativo ed equipara tre anni di esperienza lavorativa ad un titolo professionale acquisito con altri strumenti, ad esempio percorsi accademici o formativi di altro genere. Tutti i Paesi applicano questa norma, pure l'Italia, ma non per i suoi cittadini, perché i nostri diritti, in ragione di logiche “altre”, possono essere calpestati, senza che nessuno di chi può, perché in una posizione utile per poterli fare rispettare, si ribelli e gridi allo scandalo! L'Italia è costretta, a forza e senza ricorsi, a rispettarla a vantaggio delle decine di docenti europei che mensilmente chiedono, da anni, il riconoscimento del loro titolo ad un'abilitazione italiana, proprio in virtù del servizio prestato, nelle scuole del loro Paese d'origine. E nel 2012, questi docenti, che fortuitamente si sono trovati in Italia al momento giusto, sono persino entrati in GAE, quelle blindatissime GAE, aperte e riaperte tutte le volte che alla politica faceva comodo!

Ovviamente, nei confronti dei cittadini dei Paesi dove le normativa europea viene applicata, perché voluta per difendere i cittadini stessi dagli abusi di potere, vedi anche la normativa contro lo sfruttamento del precariato, l'Italia non può sottrarsi alle regole. Ma all'interno del nostro Paese, oltre alla disapplicazione delle norme, assistiamo a strumentalizzazioni di ogni sorta, architettate ad arte per mettere professionisti della scuola gli uni contro gli altri e continuare a dominare incontrastati sulla testa degli uni e degli altri, con un esercizio del potere arrogante e ingiustificato che lascia sgomenti e annichiliti.

Dalla nascita della problematica del riconoscimento professionale dei docenti precari delle Graduatorie d'istituto ad oggi, abbiamo assistito ad ogni iniquità, che hanno portato i docenti a doversi difendere con le unghie e con i denti per poter vedere rispettati i loro diritti. E' stato il caso della richiesta di percorsi abilitanti riservati a chi aveva servizio, è ora la volta di chi, abilitato, vuole vedere applicata la stessa regola che ha immesso i propri colleghi in ruolo, ovvero il possesso di un'abilitazione.

In ogni modo, l'Italia trova il modo di aggirare le norme, inventando termini e locuzioni che escludono sempre qualcuno o mistificano la realtà.

E' stato il caso di titoli con “valore concorsuale” per i classificare i titoli dei docenti delle GAE, dimenticando che anche le graduatorie d'istituto sono pratica concorsuale, come numerose sentenze hanno ribadito. E, in versione negativa, ma sempre a danno dei docenti delle GI, si parla di “sanatoria” quando si invocano percorsi abilitanti che nemmeno dovrebbero esistere, perché la normativa europea parla chiaro, il riconoscimento professionale è implicito nell'esercizio a con piena titolarità di una determinata professione, senza “ma” e senza “se”. La cosa che rende tutto grottesco, poi, è che a parlare di sanatoria siano amministratori, dirigenti, esponenti politici, persino docenti, nei confronti dei quali il pressappochismo terminologico e concettuale è inaccettabile, dal momento che dovrebbero costituire l'élite del Paese.
Sanatoria, in italiano, si usa per quelle situazioni non conformi alle regole, per le quali si cerca di mettere “una pezza”. Ma qui, altro che pezza, un velo pietoso andrebbe messo per coprire anni di inadempienze e abusi commessi dal MIUR, non da chi ha prestato servizio nelle scuole pubbliche assunto dal MIUR che, tra l'altro, ha informalmente favorito l'utilizzo del termine sanatoria per contestualizzare il Percorsi abilitanti speciali, quelli riservati ai docenti con comprovata esperienza triennale di servizio, che dovrebbero essere abilitati d'ufficio, come accade con decreti ministeriali per i loro colleghi europei che ne fanno formale e semplice richiesta. Invece, i “tapini” italiani chiedono un percorso abilitante, a pagamento! E questi corsi, checché se ne dica, son anch'essi a numero chiuso, perché l'accesso è contingentato e definito dagli anni di servizio, svolto in un certo modo, con precisi paletti, non da un generico servizio di insegnamento.  Quindi, il numero degli aspiranti è definito comunque a priori, perché il MIUR, se è vero quello che dice, conosce i dati numerici, mai pubblicati però, degli aspiranti ai PAS.

Strategia di distrazione di massa, quella dei numeri, aumentati o diminuiti ad arte, per alimentare disinformazione e dare forma a spauracchi!

Forse sto esagerando, forse sono prevenuta, ma dal 2009 ad oggi, da quando ho iniziato la battaglia con Adida contro decisioni politiche allucinanti, ne abbiamo viste di tutti i colori... Oggi mi andava di ricordarne qualcuna e di precisare qualche concetto, giusto per rinverdire la memoria!

Valeria Bruccola





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