Insegnanti: una professione sotto tiro, funzione docente e professionalità
Data: Sabato, 06 febbraio 2016 ore 01:30:00 CET Argomento: Redazione
Il destino
dell'insegnante va di pari passo con quello del sistema
scolastico e l'esercizio del suo mestiere deve fare i conti con i
cambiamenti della società, con le modifiche istituzionali, con i
compiti sempre diversi che vengono assegnati al sistema di
istruzione; il suo ruolo si modifica secondo i tempi e non sempre è
facile arrivare ad una proposta condivisa della sua definizione. Si
procede per accomodamenti e il dibattito pubblico non lievita mai alle
altezze che un problema del genere meriterebbe. Negli ultimi tempi si è
voluto intervenire sullo stato giuridico
dell'insegnante, ma non mi pare che ci sia curati di vedere
se e come questa operazione abbia inciso sui tratti
costitutivi della funzione docente nel sistema scolastico
italiano.
I compiti della funzione docente si desumono dal ruolo che svolge
e deve svolgere il sistema di istruzione nella società e dai fini che
esso deve realizzare; la loro formulazione non compete solo
alla pedagogia o alle scienze dell'educazione, ma anche e soprattutto
alle decisioni del parlamento e del governo. C'è da chiedersi
allora se le innovazioni della cosiddetta BUONA SCUOLA(L. 107/2015)
consentano un sereno e adeguato svolgimento dei compiti della
funzione docente statuiti nel DPR 417 /74 ("La funzione docente è
intesa come esplicazione essenziale dell'attività di trasmissione della
cultura, di contributoalla elaborazione di essa e di impulso alla
partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e
critica della loro personalità"), e ulteriormente specificati
nell'art. 1 del D. Lvo n. 297/94("Nel rispetto delle norme
costituzionali
e degli ordinamenti della scuola sabiliti dal presente Testo Unico, ai
docenti è garantita la libertà d'insegnamento, intesa come autonomia
didattica e come espressione culturale del docente. L'esercizio di
tale libertà è diretta a promuovere, attraverso un confronto aperto di
posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli
alunni").
Sono disposizioni che, delineando il ruolo
pubblico dell'insegnante, indicano come suoi
fondamenti l'autonomia intellettuale, la passione civica e
la cultura, perchè solo così puo' essere funzionale allo sviluppo
umano e professionale delle nuove generazioni .
Le pratiche didattico-metodologiche e le loro innovazioni, che
caratterizzano la professionalità dell'insegnante, il suo sapere
fare ed agire, sono strumenti e sussidi per i compiti che
sostanziano la funzione docente ed espressione della libertà con la
quale deve essere svolta . "La definizione del bravo insegnante (. . .
)non
ha senso in sè, ma in relazione a come è fatta e come funziona la
scuola
nella quale è chiamato a svolgere un ruolo non generico, ma
mirato"(P. Romei) . La professionalità del docente deve essere definita
in funzione del suo mandato:quello definito dalla legge fondamentale
dello Stato.
L'amministrazione ha fatto tre scelte che incidono sulla
professionailtà dei docenti che possono condizionare lo
svolgimmento della funzione docente:la selezione per concorso, la
chiamata diretta degli insegnanti da parte del dirigenti
scolastici e la valutazione del servizio . Che ci sia attinenza tra
questi provvedimenti e l'esercizio in senso professionistico della
funzione docente e la sua valorizzazione è tutto da vedere e da
dimostrare.
Tutti convengono sul fatto che gli insegnanti preparati e di qualità
non debbano essere un'eccezione, ma l'esito previsto, programmmato e
regolare delle modalità del loro reclutamento . Le riforme piccole e
grandi possono mettere piede, consolidarsi e dare frutto, se la
scuola dispone di insegnanti competenti; ma non solo per questo. Le
riforme possono funzionare se gli insegnanti, che sono stati
scelti e nominati, sono messi in condizione di svolgere il proprio
lavoro senza imbarazzi, senza intimidazioni, senza umiliazioni.
Se l'obiettivo che si vuole raggiungere è quello di
disporre di docenti colti, autonomi e professionalmente attrezzati, non
mi pare che gli strumenti scelti e le condizioni della vita
interna di ogni istituto, determinate con le nuove norme di
gestione dell'autonomia e con i poteri assegnati al dirigente
scolastico, lo possano consentire.
Ma in che cosa consiste questa benedetta professionalità?Che cosa
si chiede oggi che debba saper fare un insegnante?Ci si potrebbe
riferire a quelle che potrebbero essere le" avvertenze generali" dei
programmi del concorso, che dovrà essere bandito dal Ministero, ma al
momento sembra opportuno rifarsi alle indicazioni di un autore che su
questo argomento ha scritto pagine persuasive e a quanto pare molto
utilizzate. Philippe Perrenoud indica dieci domini di competenza
ritenuti prioritari nella formazione continua dei docenti e quindi
della loro professionalità:
1) organizzare e animare situazioni di
apprendimento;
2) gestire la progressione degli apprendimenti;
3) concepire
e fare evolvere dispositivi di differenzazione;
4) coinvolgere gli alunni
nel loro apprendimento e nel lavoro;
5) lavorare in equipe;
6) partecipare
alla gestione della scuola;
7) informare e coinvolgere i
genitori;
8) servirsi delle nuove tecnologie;
9) affrontare i doveri e i
dilemmi etici della professione,
10) gestire la propria formazione
professionale.
Non solo questo. L'insegnante deve sapere cosa insegna e come, ma
anche chi sono i suoi alunni, di che cosa hanno bisogno, come aiutarli
se
incontrano difficoltà, in che genere di famiglia e di ambiente vivono,
in
che genere di società crescono. La cura degli alunni, l'attenzione ai
loro problemi, l'accompagnamento nei loro processi di crescita non sono
azioni possibili "del" e "nel" rapporto educativo, ma atti dovuti.
perchè
senza di essi non si genera formazione, non si sviluppa crescita umana
La valutazione
Quando si parla di valutazione degli insegnanti, per eludere le
asperità del problema, si proclama che non c'è nessuna intenzione
vessatoria da parte dell'amministrazione e che anzi l'unica
preoccupazione sia quella di valorizzare il merito, mortificato da
politiche salariali egualitaristiche, come se gli insegnanti migliori
fossero angustiati solo da questo problema e non da
preoccupazioni più serie sulla deriva morale e pedagogica che ha
preso il sistema scolastico.
Ammesso, ma non concesso, che queste siano le uniche e vere intenzioni,
è noto a tanti, se non a tutti, che ogni sistema di valutazione innesca
logiche gestionali di controllo, che possono modificare la
natura e il senso delle relazioni di qualsiasi comunità professionale,
e
in modo particolare di quella scolastica. Nè si puo' dimenticare
nel riflettere su questo tema che sul mondo della scuola e sul lavoro
degli insegnanti convergono da molto tempo pressioni costanti da
parte degli organismi internazionali in favore di un modello unico di
istruzione e formazione, più o meno come si sta facendo per gli assetti
economico-sociali e che la valutazione del servizio scolastico e degli
insegnanti viene evocata e utilizzata principalmente
per conseguire questo obiettivo.
Più che premiare per rendere attrattiva (??) la professione, come si
proclama, la vera volontà è quella di regolamentare ogni aspetto
dell'attività dei docenti per inseguire l'obiettivo di armonizzazione
dei sistemi scolastici e dei programmi di insegnamento a livello
europeo. Il pilotaggio del sistema scolastico per risultati è l'unico
strumento possibile per questo scopo e la valutazione del servizio
scolastico e del lavoro degli insegnanti l'unico modo per poterlo
condurre.
Ad ogni buon conto valutare l'insegnamento, quali che siano gli scopi
che ci si ripromette di raggiungere, è operazione difficile
, complessa, particolaremente insidiosa(Castoldi) e che non puo' essere
fatta senza mille precauzioni. Insegnare non è un mestiere tranquillo
. Deve confrontarsi con l'altro, alle sue resistenze, alla sua
opacità, alle sue ambivalenze. Insegnare è un lavoro pieno di
contraddizioni:formare tutti/selezionare; prevenire le difficoltà
/sanzionare il disimpegno; suscitare la partecipazione/imporre la
propria autorità; trasmettere saperi strumentali/valorizzare la cultura
generale e umanistica; sviluppare l'altruismo/coltivare la
competizione/adottare le pratiche correnti /difendere la libertà
pedagogica. Su quali di queste scelte l'insegnante dovrebbe essere
valutato?
I sistemi di valutazione preferiscono obiettivi univoci e osservabili,
ma quelli scolastici non corrispondono a queste caratteristiche. E'
convinzione molto diffusa, ma non presa in considerazione, che gli
aspetti più esigenti e importanti del servizio scolastico non
siano facilmente misurabili e che le misure che si prendono trascurano
le emergenze educative in cui si dibattono le singole scuole.
Nessuno vuol discutere il fatto che con l'autonomia le scuole abbiano
la responsabilità di rendere conto del proprio operato, che debba
essere
messo in atto un sistema permanente di riflessione sull'efficacia delle
pratiche didattiche in uso, sulle modalità del lavoro collegiale, sui
risultati ottenuti, sul modo stesso di regolare l'insieme delle
attività
, sulle stesse finalità. Bisogna togliere, però, dal campo ogni
illusione
tecnocratica, perchè è impossibile il controllo totale di ogni azione e
l'eliminazione di ogni imprevisto e perchè non è realistico e
scientifico ridurre la realtà complessa dell'attività didattica a cio'
che è misurabile. Nell'insegnamento è impraticabile un rigoroso e
stretto obbligo di risultato. "Non si puo' attendere che un insegnante
istruisca un numero prescritto di alunni in tempi
dati". (PH. Perrenoud).
Fuori dai denti la verità è che la valutazione di norma non è al
servizio dello sviluppo professionale, ma all'intenzione di controllo e
di normalizzazione della categoria sulla quale si esercita e che gli
eventuali premi, se ci sono, come le evetuali punizioni sono funzionali
alla disintegrazione della solidarietà di un gruppo di lavoro, per
lanciare gli uni nella lotta ( o competizione. . ) contro gli altri. E
questo vale in modo particolare per gli insegnanti in Italia
, dove da almeno un quarantennio per cultura, per tradizione, per
scelte
professionali, per sensibilità sociale sono stati all'opposizione di
qualsiasi tentativo di omologazione politica, messo in atto
dall'amministrazione.
Il rapporto che si viene a istituire nella valutazione è un rapporto di
potere a vantaggio di chi è autorizzato a compierla. Potenzialmente la
valutazione istituzionale puo' nuocere allo sviluppo
professionale, contrariamente a quel che si va predicando. Una logica
di
controllo, puo' nuocere all'impegno, deviandolo dai suoi più genuini
obiettivi; puo' nuocere al sentimento di autonomia, di competenza, di
autodeterminazione, al diritto all'errore e ad altri elementi necessari
per il coinvolgimento morale e intellettuale nell'esercizio della
propria professione.
E allora niente e nessuna valutazione? No di certo, ma solo se ci sono
solide garanzie ed un ampio consenso su come la valutazione
si deve esercitare, su chi la deve esercitare, sui fini per cui si
deve esercitare. Si dovrebbe essere consapevoli che fare diventare la
valutazione un'opportunità non è per niente facile. L'autonomia,
occorre
ricordarlo, è condizione necessaria del dispiegamento della
professionalità, perchè la professionalità non puo' darsi se
l'insegnante non ha e non si prende uno spazio di iniziativa e di
decisione o se si dovesse limitare a seguire le prescrizioni altrui o,
peggio ancora, se dovesse farsi condizionare dalle intimidazioni
più o meno esplicite dei propri superiori.
"Gli studi di pedagogia comparata dimostrano che le nazioni in cui si
valuta non per classificare, ma per prevenire le difficoltà sono quelle
in cui gli insegnanti lavorano sereni, gli impedimenti sono piuttosto
rari, le innovazioni accettate, poichè le esperienze precedenti non
sono
demonizzate. "(O. Maulini). Appartiene a questo genere di valutazione
quella che si vuole mettere in atto in Italia?
Nel sapere di un buon insegnante si fondano, come si è visto, saperi
teorici, saperi procedurali, saperi esperenziali, saperi sociali e sul
suo
lavoro, cioè sulla trasformazione del suo sapere in azione formativa
non
è facile come si vuol fare credere esprimere un giudizio e tantomeno un
giudizio al riparo di risentimenti personali. Sia il giudizio di
efficacia, sia il giudizio di conformità alle buone regole
professionali (G. Le Boterf) su qualsiasi categoria di professionisti
, come anche sul lavoro degli insegnanti, possono essere formulati solo
da esperti della materia, e se i giudizi non sono di questo genere con
la valutazione si rischia di giudicare la persona, non le prestazioni
di
un insegnante. A norma dei commi 127 e 129 dell'art. 1 della legge 107
, invece, genitori e alunni del Comitato di valutazione, senza tante
cognizioni docimologiche e in condizione di evidente inferiorità in un
organo collegiale tecnico, che dovrebbe godere dell'assoluta parità dei
suoi componenti, possono intervenire in un'operazione finalizzata
addirittura a premiare gli insegnanti.
La chiamata diretta
Come non bastasse e forse ritenendo la valutazione insufficiente per
arrivare alla normalizzazione della scuola italiana, agli insegnanti
assunti a partire da quest'anno e a quelli che lo saranno in seguito è
riservata la chiamata diretta da parte del dirigente scolastico e la
triennalità dell'incarico, rinnovabile" purchè in coerenza con il piano
dell'offerta formativa"(??)(comma 80 dell'art. 1 della legge 107/205)
. Un attacco concentrico e sistematico per stravolgere la funzione
docente cosi com'è ancora stabilita e per sterilizzare la
professionalità ad essa congruente della sua costitutiva autonomia, per
asservirle alle ingiunzioni temporanee di qualsiasi grado
dell'amministrazione scolastica.
Viene di fatto cancellato il diritto di scelta da parte del docente e
il principio della sua organicità all'istituto di apppartenenza, che
storicamente ha dato solo buoni frutti. E' d'obbligo chiedersi a cosa
serva un serio curriculum di studi, vincere un concorso, se poi si deve
aspettare di essere scelti da altri sulla base di opinabili criteri. La
chiamata diretta è funzionale all'accrescimento smisurato del potere
del dirigente, non alla professionalizzazione dell'insegnate.
E che dire della triennalità del Ptof, fondamento della triennalità
dell'incarico del docente, come se la scuola dovesse cambiare pelle ad
ogni stormire di foglie? La scuola, fino al recente passato, è stata
giustamente accusata di non sapere tesaurizzare le esperienze fatte e
di dilapidare il capitale culturale collettivo di saperi
professionali, che col tempo si viene a produrre in ogni singolo
istituto, a causa di un'incontrollata mobilità e per l'instabiltà del
personale; oggi invece si teorizza e si pratica la precarietà di tutto
il personale, come un validissimo toccasana alle malattie della
scuola. Purtroppo basta avere avuto un semplice sentore di scuola per
sapere che si tratta di una pericolosa e inaudita sciocchezza.
La libertà di insegnamento è il tratto indiscutibile di una scuola e di
una società democratica; ed essa trova sostegno nella scelta della sede
da parte del docente e nella continuità didattica. Cancellando la
libera
appartenenza ad un istituto, si cancella la consistenza giuridica del
ruolo dell'insegnante e tutto ciò non si puo' gabellare come condizione
per valorizzarne il merito e la professionalità. Si pretende una scuola
buona, anzi migliore rispetto a quella del passato, umiliando gli
insegnanti.
Con le nuove disposizioni si accrescerà negli insegnanti seri, liberi e
preparati la percezione della propria marginalità sociale e la
convinzione di avere avuto un'esorbitante assegnazione di
responsabilità, ma senza garanzie e senza sostegno. Le
nuove norme hanno fatto a pezzi la dignità e l'autorevolezza
dell'insegnante, del cui ripristino avevano bisogno la scuola e
lasocietà. Produrranno l'insicurezza che porta alla remissività e alla
condiscendenza o all'aggressività nei confronti di ogni
controparte e forse in alcuni casi all'abdicazione alle proprie
responsabilità.
Il nuovo insegnante
L'insegnante, disegnato nel coacervo di norme della cosiddetta BUONA
SCUOLA, non è più un operatore della democrazia, impegnato nella
trasmissione dei saperi, dei valori e delle tradizioni della
società, sensibile allo sviluppo culturale umano degli alunni, attento
ai
problemi della classe, preoccupato dei risultati di apprendimento di
ogni alunno, così come lo vorrebbero le finalità ricavabili dalle norme
costituzionali. L'insegnate che verrà con le nuove norme sarà il
provvisorio esecutore di attività professionali alla ricerca della
propria riconferma. Ma non sarà la competenza a garantirgli il posto,
bensì soddisfazione del cliente e del padrone. . .
Le nuove regole hanno travolto l'identità della scuola italiana e
la funzione docente. Per questo in ogni scuola assume rilievo
politico-culturale di estrema importa la RSU, perchè ad essa, ora, è
affidata la custodia e la difesa dello Status e della dignità del
docente . Compito che richiede la capacità di oltrepassare i limiti
angusti della contrattazione dei premi, degli incarichi speciali, dei
turni di servizio e delle ore eccedenti.
prof. Raimondo Giunta
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