Mitologie e razionalità nell’attività didattica
Data: Domenica, 17 gennaio 2016 ore 02:30:00 CET Argomento: Redazione
A partire dagli
anni '70 la cultura della programmazione didattica ha introdotto
nelle relazioni educative il lessico (... e non solo) del mondo
aziendale. Pour epater les bourgeois e per sradicare quello di
derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità
del personale insegnante. Il segno cercato e imposto di una svolta
irreversibile verso la modernità, come auspicavano ambienti
ministeriali
progressisti, parte dei sindacati e del mondo accademico, molte
associazioni professionali.
Si coltivava (e si continua a coltivare)l'ambizione di replicare a
scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in
presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le
risorse
scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le
pietre, sono il tempo disponibile e l'attenzione degli alunni, sviata
da
mille sollecitazioni. Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al
meglio. Ma il meglio, non è la fretta e nemmeno l'abbandono di quelli
che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.
Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di
formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si
vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed
educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi
di ricambio, perché il processo di formazione è diverso da
qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta.
Da quegli anni si continua ancora a mettere in lite la
severa, stringente, rigorosa operazione di razionalizzazione dei
processi formativi, guidata dalla pedagogia per obiettivi, con la
passione educativa di chi si ingegna e si ostina a vedere delle alte
finalità nell'attività di insegnamento. La prima, a detta dei dottori
della legge, a far la parte dell'efficienza e dell'efficacia, la
seconda
a trastullarsi con parole senza significato. E tutto questo a
prescindere dai fatti che, come al solito, si prendono la briga di
smentire le teorie che vogliono imbrigliare la realtà.
Con i giovani di oggi senza passione morale, civica ed educativa non si
va da nessuna parte, anche se si è divorato tutto lo scibile in materia
di didattica, di metodologie e di psicologia
dell'apprendimento. Rifuggire dall'algida e ferrea logica degli
algoritmi della programmazione, non vuol dire banalizzare il
curriculum, ma cercare di dargli una senso. Un processo formativo al
riparo degli inconvenienti non è un'utopia, ma una
sciocchezza. Criticarne le pretese non vuol dire rifiutare di pagare i
prezzi dovuti per accedere alla razionalità delle procedure di lavoro.
Non si sta facendo il tifo per un'attività didattica senza regole e
senza razionalità; perché non avrebbe senso e non porterebbe da nessuna
parte. Il processo formativo va tenuto sotto controllo per non
disperdersi in iniziative inconcludenti e per raggiungere i risultati
che si ritengono necessari. E' chiaro a tutti che se si vuole
realizzare un progetto bisogna darsi un ordine e delle scadenze.
L'attività educativa è progettualità in sè e le sue mete non si
definiscono alla rinfusa. I saperi non si apprendono per maturazione
spontanea, ma secondo un preciso piano metodico di lavoro. I contenuti
e
le sequenze dell'insegnamento non possono essere arbitrari, perchè
senza
sistematicità, non c'è trasmissione dei saperi, non c'è scuola. Vi è
una
gerarchia degli apprendimenti, che vanno disposti secondo una linea di
pertinenza logica e di successione cronologica. Con certi saperi non si
fanno salti e non si possono omettere contenuti essenziali. Questo
discorso a mio parere vale anche se nell'attività didattica
in classe si fa ricorso costante alle tecnologie informatiche, perchè
se queste possono migliorare e/o facilitare
il processo di apprendimento, non è detto che ne possono mutare la
logica. L'immersione nei media non garantisce la formazione di solide
abitudini intellettuali.
Tutti sanno, però, che gli insegnanti ogni giorno devono far fronte a
diversi casi di emergenza, che possono confliggere con la
predisposizione dell'attività didattica e metterla in crisi. Le
varianti
intralciano sempre i lavori pubblici e fanno ritardare la consegna dei
lavori ...
Non è stato solo il dogmatismo a rendere, a lungo andare,
insopportabile
questo orientamento pedagogico, ma soprattutto la pretesa di mettersi
in alternativa all'affettività, alla creatività, alla
valorizzazione delle potenzialità del soggetto in formazione in un
mestiere che più umano non c'è al mondo.
Per lavorare bene ci vuole del metodo; ma c'è metodo e metodo. I metodi
devono essere attinenti allo statuto epistemologico di una
disciplina, all'età degli alunni e a loro grado di sviluppo
intellettuale; coerenti con gli obiettivi formulati, funzionali al
clima
educativo che si vuole creare.
Devono rispettare alcune condizioni per essere chiamati tali: chiarezza
espositiva, coerenza logica tra i vari momenti dell'azione
didattica, prevalenza dell'evidenza razionale e dei fatti, spazio per
il
confronto e per l'iniziativa intellettuale degli alunni. E' proprio
della razionalità il confronto, la verifica dei punti di vista per
arrivare al consenso. Devono soprattuto essere di facile
utilizzazione. Diceva R. Dottrens: "Se
un metodo ha bisogno per essere
efficace di un buon professore, non vale nulla".
Ai talebani della pedagogia per obiettivi sfuggiva e sfugge che
l'eliminazione dello spazio del confronto cancella il faccia a faccia
nelle relazioni educative e trasforma il processo formativo in una
pratica asfissiante di addestramento, dove non si fanno
prigionieri, perchè se si raggiunge il risultato si resta
dentro, altrimenti si viene emarginati. Alla sequenza terminata se ne
deve aggiungere un'altra e poi un'altra ancora perchè la programmazione
va rispettata e all'appello finale nessuna unità didattica(modulo/ufc)
si puo' dare per assente. . .
All'alto livello di complessità della nostra società di necessità
dovrebbe rispondere un alto livello di strutturazione dei sistemi
formativi e dei processi di formazione, ma è una pia illusione che
questo comporti e significhi cancellare la ricchezza umana del rapporto
educativo e di imprigionarlo in una sequenza ininterrotta di imput e
output (giusto per rifarsi al lessico aziendale ... ).
A scuola docenti e alunni sono messi assieme per vivere nel
migliore dei modi l'avventura culturale che porta a chiedersi quale
sarà il nostro futuro e come ci si possa arrivare e non per sbranarsi a
vicenda; si ha bisogno di una scuola riflessiva e dialogica e non di
una
scuola iperattiva e tuttologica.
prof. Raimondo Giunta
|
|