
Giacomo da Lentini, l’amor gentile e la nascita della lingua siciliana
Data: Domenica, 20 dicembre 2015 ore 04:30:00 CET Argomento: Redazione
Lungo la
trazzera che porta nel mio piccolo podere, l'altro giorno,
incontrai una bella ragazza che cantava: "L'amore è un desio che vien
da core / per abbondanza di gran piacimento; / e li occhi in prima
generan l'amore / e lo core li dà nutricamento". Accaldato, mi
soffermai un poco, in cerca di riposo e di frescura, e chiesi con
riguardo alla ragazza di chi fossero quei versi così pieni di
trasporto, e lei, tutta sorpresa della mia ignoranza, mi rispose, "Ma
son del Notaro! Son di Jacopo nostro!". "Jacopo!? E chi è costui?",
ribattei tutto perplesso.
Jacopo da Lentini, "poeta raffinato e assai gentile", è stato il
maggior esponente della "Scuola Siciliana", fiorita nel XIII secolo
presso la corte di Federico II di Svevia, ed è considerato il
caposcuola dei poeti e dei rimatori siciliani, e l'ideatore del
sonetto. E al "Notaro", come lo chiamava il sommo Dante nella "Divina
Commedia" e nel "De vulgari eloquentia", si deve la nascita della
lingua volgare e della lirica italiana. Scrisse la raccolta poetica,
"Rime e sonetti", e gli sono attribuiti 16 canzoni e 22 sonetti,
scritti tra il 1233 e il 1241.
Giacomo da Lentini nasce a Lentini, intorno al 1210, e muore verso il
1260, era un funzionario alla corte di Federico II di Svevia, e
comandante del castello di Garsiliato, sulla strada per Mazzarino. È
conosciuto anche come Jacopo da Lentini, «Jacobus de Lentino domini
imperatoris notarius», come si firmava in un documento messinese del
1240. Nella sua poesia viene celebrato l'amor cortese, con grande
originalità e creatività, utilizzando il sonetto con ingegno ed
eleganza. Nella sue liriche, il Notaro, analizza l'amore con
delicatezza e acutezza psicologica, come un evento umano e divino,
naturale e soprannaturale, con un linguaggio limpido ed espresso con
soave musicalità e sensibilità. Della vita privata di Jacopo si hanno
poche notizie, si sa soltanto che svolse un'intensa attività
amministrativa all'interno della Magna Corte di Palermo. La sua poetica
rappresenta la rinascita culturale della Sicilia, tanto che per le
successive generazioni il suo stile sarà molto imitato. E proprio
dentro il castello di Garsiliato, in un caldo mattino d'autunno,
incontrai Messer Jacopo da Lentini.
Messer Jacopo, com'era la Sicilia ai
suoi tempi?
«Eh, caro amico, ai miei tempi la Sicilia... era un'altra cosa! Era
veramente culla di cultura e di civiltà! Grazie, soprattutto, al nostro
sire Federico II, che l'ha fatta diventare una terra ricca e felice.
Un'isola piena di fervore e di pensier gentile, d'uomini d'ingegno e...
di beddi fìmmini!».
Proprio quasi come ai nostri giorni!
«A cettu, più o meno! Carissimo, la Sicilia, ai miei tempi, era anche
una terra ricca di ogni ben di dio! Boschi ubertosi, spiagge dorate,
mare pulito, aria profumata, campi di grano sterminati, castelli
incantati. Insomma, era un vero paradiso terrestre! E non come adesso
che sembra una discarica a cielo aperto, una spelonca maleodorante di
"munnizza scalfita", con qua e là,... qualche spina di fico d'india!
Per
non parlare poi di quell'altro bel fenomeno che voi chiamate...
maffia!».
Ci racconti come nacque la famosa
"Scuola siciliana"...
«Carissimo, devi sapere che il nostro Sire faceva le cose in grande!
Per promuovere l'arte, la poesia, lo studio, inaugurò lo "Studium", la
migliore scuola dell'universo mondo! La prima istituzione scolastica,
la prima università regia non gestita dai soliti parrini, in Italia e
in tutto l'Occidente! Non so se mi spiego, va! E adesso voi a chi
avete, la Gelmini, la Giannini, a Faraone, al Fagiano!? Ma fammi 'u
favuri, va!».
Messer Jacopo, ci parli un po' di lei,
della sua vita...
«Io nella mia vita ho fatto sempre grandi cose! Sono stato il Notaro
della Magna Curia siciliana, dal 1233 al 1240, e sono vissuto in un
periodo di grande splendore, di rinascita culturale e sociale della mia
Sicilia! Poi, la mia grande "creazione"! Insieme ad un gruppo d'amici
ho fondato la "Scuola siciliana", la prima scuola poetica dopo il
latinorum! Posso dire che, con la nostra lingua volgare, abbiamo
"creato" la moderna lingua italiana! Anzi, sai che ti dico, che senza
di noi siciliani, l'amico Dante poteva fare solo gli stornelli... ad
Aci!
Altro che la Divina Commedia! E Dante, che se ne intendeva, mi
considerava il "caposcuola" della lingua volgare siciliana! E se lo
diceva lui! Inoltre, ho scritto ben 16 canzoni, di vario schema
metrico, e 22 sonetti, rendendo immortale la nostra amata lingua
sicula!».
E allora, torniamo alla "Scuola
siciliana"!
«E caru amicu, la lingua batte dove il dente duole! La Scuola siciliana
non ebbe mai nessuna pretesa accademica, il nostro unico obiettivo era
quello di far fiorire una vera cultura poetica, con uno stile nuovo,
elegante, coinvolgente! Abbiamo fatto diventare la Sicilia un faro di
cultura e di bellezza in tutto il mondo! Volevano una poesia che
"risvegliasse" l'uomo dopo i tempi bui e tristi del Medioevo. Così
insieme ad altri illustrissimi siciliani, come Cielo D'Alcamo, Rinaldo
d'Aquino, Guido e Odo delle Colonne, Giacomino Pugliese, Jacopo
Mostacci, Stefano Protonotaro, ed altri, - e qui voglio ricordare
con affetto il bravo e sfortunato Pier delle Vigne - abbiamo dato vita
ad una poesia in siciliano colto, gentile, ripulito da parolacce
dialettali, municipali, paesane. Addirittura, anche lo stesso Sire
Federico II si divertiva a scrivere versi in lingua siciliana, insieme
a noi. Che spasso! E le poesie dei miei amici trattavano i temi che in
quel periodo andavano di moda presso le corti di tutt'Europa. Ma le mie
liriche avevano,... diciamo, una marcia in più! E come sentivano i miei
versi, le donne,... modestamente, mi cascavano ai piedi, mi cascavano!
E
non solo per le poesie! Capisci a mme!».
Messere, ma di cosa parlava nei suoi
sonetti?
«Sei curioso, e!? E di cosa potevo parlare, carissimu amicu!? Di
fìmmini e d'amuri! Le uniche cose per cui vale la pena vivere!
Del resto, mi dicono che anche tu scrivi, e scrivi bene, per le tue
tante amiche, e! Le mie liriche cantavano temi amorosi, dove il
rapporto tra uomo e donna era quello della grande tradizione cortese.
Ho composto molte liriche dove puoi trovare tutte le varianti
stilistiche elaborate dalla nostra Scuola Poetica Siciliana: la canzone
di argomento sublime, la canzonetta con temi narrativi e spesso
dialogati, e il sonetto, che ho inventato io! Come diceva chiddu,
quell'altro amicu siciliano famoso, di Militello, mi pari! Ho
scritto...
fiumi di poesie per analizzare e approfondire la natura dell'amore, dal
punto di vista, teorico, morale, filosofico... e fisico! Ma sempre con
delicatezza, con garbo, con eleganza, con stile! Il mio stile! Lo stile
dei siciliani! Nei nostri componimenti la donna assumeva in sé tutti i
valori, mentre, l'amante-vassallo proclamava la propria indegnità e
nullità. La mia era una poesia, diciamo, "altamente formalizzata", cioè
utilizzava le più raffinate tecniche retoriche ed era modellata sui
temi della lirica provenzale; ho codificato anche le strutture metriche
della canzone, della canzonetta popolaresca, del discorso e,
soprattutto, del sonetto. E poi, la sofferenza dell'amore non
corrisposto, l'incomunicabilità tra amante e amata, lo stato d'animo in
genere dell'amante-poeta, la riflessione sulla natura dell'amore. E mi
pare che tu di 'sti cosi te ne intendi,... veru!? Per caso, hai letto
le
mie poesie, "Madonna, dir vi voglio", o l'altra, "Meravigliosamente"!?
Ah, l'amour, l'amour, come dicono i francisi!».
Pare che molti hanno cercato pure di
"scopiazzare" il suo stile!
«E cettu! L'ammirazione e il rispetto per me e per le mie poesie è
stato grande assai! Molti "poetastri" hanno cercato d'imitarmi,... con
pessimi risultati! Come nella poesia siciliana, "Amor non saccio",
scritta, pensa un po', da un illustre sconosciuto. Ma la mia fama ha
varcato anche lo stretto di Messina, e anche oltre! Macari nella
lontana Toscana, alcuni poeti hanno cercato d'imitarmi, come si vede
nel sonetto di Mastro Francesco, già attribuito a Chiaro Davanzati, "Di
penne di paone e d'altre assai", che accusa il "novo canzonero",
Bonagiunta da Lucca, di copiare pedissequamente il mio sommo stile! Ma
nenti,... me la possono solamente annacare! E non so se mi spiego, va!».
Messer Jacopo, cosa ne pensa della
lingua e del "dialetto" siciliano?
«E a me lo chiedi!? So, che anche tu... ti diletti con il siciliano,
veru? Il dialetto,... o meglio dire, la lingua siciliana, caro amicu, è
sublime e va difesa e protetta sino allo spasimo! E comu diceva l'amicu
'Ngnaziu (Buttitta, n.d.r.), se ci levate la lingua 'n pòpulu è persu
ppi sempri! Questa nostra lingua è di una dolcezza infinita, di una
musicalità struggente! E anche tu, con la tua traduzione del Canticu
de' Cantici, ne sei un amante degno, geloso e appassionato! Bravu! Ma
per me il siciliano rappresenta anche una sfida, capace di combattere
l'omologazione e la massificazione culturale della nostra epoca, e di
tutte le epoche future! Una battaglia contro il latino e contro tutte
le lingue del potere! Il siciliano è una metafora di tutti i dialetti e
le letterature del mondo. Un compendio di musica e fascino! Questa è la
nostra lingua! Diccillu a tutti i nostri carusi! Amatela,... come amate
i
fìmmini!».
Messer Jacopo, cosa vorrebbe dire ai
giovani d'oggi?
«Ai miei cari picciotti siciliani dico, solamente, di studiare... e di
amare! Sempri! "Ama e fai ciò che vuoi", diceva il grande
Sant'Agostino! Amore spirituale, amor carnale, amor cortese,... "l'amor
che muove il sole e l'altre stelle", comu dissi Chiddu!».
Angelo Battiato
angelo.battiato@istruzione.it
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