
Problemi di giustizia nella valutazione
Data: Mercoledì, 02 dicembre 2015 ore 02:00:00 CET Argomento: Redazione
Il titolo di studio
fino a ieri in qualche modo era garante della qualità delle competenze
in possesso delle persone in cerca di occupazione e queste
risultavano funzionali domanda di lavoro delle aziende produttive
e delle organizzazioni erogatrici di servizi. Il presupposto per
entrare nel mondo del lavoro era,ma oggi molto di meno, che l'individuo
avesse alcuni precisi requisiti e questi dovevano essere
documentati da un titolo di studio.
In Italia la valenza pubblica e sociale del titolo di studio, seppure
residuale, rimane e va tenuta presente nelle operazioni di valutazione
che sottostanno al suo rilascio. Gli effetti sociali riguardano sia i
meritevoli, cui viene assegnato, sia le persone ritenute non idonee
alle quali viene negato. Per alcuni comporta la legittimazione ad
entrare in alcuni precisi ambiti del mercato del lavoro, per gli
altri, invece, può significare l'esclusione e la marginalità.
Tutto questo significa che fin dall'inizio dei processi di valutazione
si aprono questioni di giustizia e di equità sociale, che non possono
essere e non dovrebbero essere ignote ai responsabili delle politiche
scolastiche, ai responsabili di ogni singolo istituto e ai docenti. Non
si possono trascurare la questione dell'insuccesso scolastico di alcuni
alunni e quella delle pari opportunità per tutti.
Questi problemi vengono di solito raggruppati all'interno di due grandi
categorie: insuccesso scolastico e meritocrazia. L'aspetto più
ricorrente del dibattito su questi problemi è la sottovalutazione
delle dimensioni sociali non solo dei processi di formazione e
valutazione, ma soprattutto del contesto in cui opera un'istituzione
scolastica e in cui vivono gli alunni o i soggetti in formazione.
L'altro aspetto è quello di far giuocare la soluzione dei problemi
dell'insuccesso scolastico contro quella inerente la valorizzazione dei
meriti individuali, dando per scontato e necessario che l'una e l'altra
debbano essere per forza in contraddizione.
Alcune forme di valutazione sono congeniali a svuotare la
democratizzazione della scuola, perchè, purtroppo, funziona spesso come
sanzione per gli alunni in difficoltà e più deboli. La valutazione non
dovrebbe servire ad escludere e a stigmatizzare, ma dovrebbe essere
un'opportunità per apprendere meglio. Nei fatti si registra
un'oscillazione costante tra una concezione democratica della
valutazione, inclusiva e a sostegno delle pari e migliori
opportunità per tutti e una concezione elitista, formalmente
meritocratica, funzionale alla riproduzione delle distanze
sociali esistenti ad un certo momento della storia di una società.
Successo e insuccesso scolastico non sono solo legati, come spesso si
vorrebbe fare credere, alle caratteristiche degli alunni;
verosimilmente sono il risultato di un giudizio degli attori del
sistema scolastico sulla "distanza" di un alunno dalle norme di
eccellenza scolastica in vigore. I criteri di eccellenza cosi come
quelli di sufficienza non sempre sono adeguatamente giustificati e
scevri di connotati sociali, così come le prove che li dovrebbero
convalidare. Per dirla chiaramente, nella valutazione si annida spesso
un certo grado di arbitrarietà. Sia nei valori di riferimento, sia
nella scelta vincolante dei saperi e delle competenze da valutare.
Per potere affermare che le valutazioni scolastiche sono
sostanzialmente eque bisogna vedere se ogni giovane, qualunque sia la
origine sociale, riesce a confrontarsi a scuola con gli altri su un
piano di parità; se ogni giovane ha la possibilità di realizzare il suo
potenziale umano per vivere secondo il principio di dignità; se
qualcuno è rimasto indietro o è uscito dal sistema scolastico senza il
bagaglio necessario di competenze utile per non essere emarginato e per
vivere una vita dignitosa; se si è contribuito a diminuire le
differenze di riuscita tra giovane e giovane;se quelli che sono allo
stesso livello di talento, di capacità e hanno lo stesso desiderio di
utilizzarli hanno avuto le stesse possibilità di successo, senza tener
conto della loro condizione sociale.
Per fare giustizia nella valutazione si deve aver chiara l'idea che le
disuguaglianze della società si riversano nella scuola e
agiscono attraverso i meccanismi della sua organizzazione. I fattori
interni che possono produrre effetti di iniquità, registrati e
riassunti nel modo di fare valutazione, sono collegati al curriculum,
alla dotazione degli organici, al reclutamento e alla formazione
dei docenti, alle risorse disponibili,all'unitarietà e differenzazione
degli indirizzi, alla formazione delle classi, all'assegnazione dei
docenti alle classi.
Il curriculum ufficiale, quando evidenzia la prevalenza degli aspetti
logici, linguistici e astratti, rende probabile l'insuccesso di
determinati alunni. "L'ineguale distanza dalla cultura scolastica
è un fattore di successo per alcuni, di insuccesso per altri. Non
partendo tutti dallo stesso punto, non hanno lo stesso cammino da
percorrere per padroneggiare il curriculum. Basta che la scuola tratti
gli alunni della stessa età come eguali in diritti e doveri per
trasformare le differenze di patrimonio culturale in disuguaglianze di
successo scolastico(Bourdieu-1966).
Senza questa consapevolezza l'aura di oggettività con cui si cerca di
rivestire le pratiche di valutazione serve solo a dissimulare la
riproduzione dell'ordine sociale esistente, con le sue grandi
ingiustizie, mentre si proclamano ad alta voce il merito individuale e
la moblità sociale.
prof. Raimondo Giunta
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