Un giorno orribile che, per una sorta di strano ed automatico meccanismo di rimozione inconscia, si tende quasi a derubricare dal calendario
Data: Martedì, 24 novembre 2015 ore 04:00:00 CET Argomento: Redazione
Quest'anno
ricorre il 35° anniversario del terremoto del 1980. All'epoca, io ero
un adolescente ingenuo e spensierato. Stavo seguendo in TV un incontro
della seria A di calcio in un bar del mio paese, quando si verificò una
delle catastrofi che più si sono impresse nella memoria storica e
nell'immaginario collettivo delle popolazioni locali. Oggi ci siamo in
qualche misura ridotti a rimpiangere e idealizzare il tempo vissuto
prima del maledetto 23 novembre 1980. Un giorno orribile che, per una
sorta di strano ed automatico meccanismo di rimozione inconscia, si
tende quasi a derubricare dal calendario. Ma per le popolazioni che
subirono la furiosa e devastante forza tellurica della Natura (non
senza una correità politica e morale ascrivibile agli esseri umani), è
una data impregnata di ricordi strazianti, di risvolti psicologici ed
emotivi che hanno segnato intere esistenze personali.
Al terremoto seguì una fase di lunga emergenza e di ricostruzione,
attraversata da scelte politiche controverse assunte dalle classi
dirigenti locali e nazionali. Una data spartiacque, assai simbolica dal
punto di vista antropologico. Nel corso degli anni è intervenuta una
brusca e repentina accelerazione storica che ha visto deteriorarsi i
rapporti interpersonali, con effetti di abbrutimento spirituale ed
evidenti ripercussioni negative sul terreno dei comportamenti, dei
gesti e dei sentimenti nella sfera esistenziale quotidiana. Si è
innescato un fenomeno di imbarbarimento e regressione civile, una
deriva che ha dannato le nostre comunità ad un destino di involuzione
sociale. Tale effetto di brutalizzazione di massa ha investito pure il
funzionamento della macchina amministrativa, avvinta da una spirale di
faziosità, cinismo e spregiudicatezza morale che non si erano
riscontrate in precedenti fasi storiche.
Abbiamo assistito a faide e a rese dei conti tra bande rivali per
contendersi il controllo degli affari e l'occupazione sistematica degli
scranni istituzionali. Dal branco di lupi famelici sono emersi gli
esemplari più feroci, che hanno sopraffatto gli altri grazie ai mezzi
più disonesti. Tutto ciò alimenta sentimenti di rimpianto ed una spinta
all'idealizzazione dei "bei tempi", delineando una visione immaginaria
e idilliaca della vita "prima del terremoto". Non furono male gli anni
immediatamente successivi, che videro uno straordinario moto di
solidarietà e di partecipazione popolare ad iniziative politiche di
autogestione e protagonismo di massa, tra comitati e coordinamenti
vari. Per fornire un quadro integrale delle vicende post-sismiche e
rivisitare lo sforzo di chi ha lottato con l'obiettivo di un avvenire
migliore per le popolazioni irpine, ho pensato di mettere in luce i
momenti e le esperienze più esaltanti sul terreno della solidarietà
sociale e del protagonismo politico corale, dei desideri e delle
istanze di cambiamento, dell’azione politica di numerose persone
disinteressate, animate dall'ansia di riscattare la nostra terra
martoriata.
Tanto per iniziare, rammento le testimonianze di amicizia e fraternità,
gli attestati di soccorso fornito dai cosiddetti “angeli del
terremoto”, che diedero prova di un'eccezionale generosità, esprimendo
un impegno corale che coinvolse migliaia di giovani provenienti da ogni
angolo d'Italia e d'Europa, per portarci conforto morale ed assistenza
materiale, per scavare e salvare i sopravvissuti sepolti sotto le
macerie, per soccorrere i feriti e contribuire alla fase più immediata
e dolorosa dell’emergenza post-sismica. Ricordo l'esperienza
straordinaria dei “Comitati popolari”, che si costituirono nella fase
che investì l’opera di assegnazione e gestione dei prefabbricati,
partecipando anche ad altri importanti processi decisionali. Ricordo la
vicenda di Radio Popolare Lioni, uno strumento di controinformazione
proletaria già attivo nella fase antecedente al terremoto del 1980.
Rammento le riunioni, le discussioni, i momenti di lotta e di attivo
protagonismo vissuti grazie al “Coordinamento giovani Lioni”,
un'indimenticabile occasione di crescita personale, intellettuale e
politica, durante la quale ebbi modo di mettere a frutto la mia
passione per la militanza e la scrittura, pubblicando nel 1982 (se non
erro) il mio primo articolo su un giornalino autoprodotto da un gruppo
di giovani lionesi che misero in pratica un bisogno di autonomia ed
autorganizzazione politica e culturale. Ricordo le iniziative di
critica e rottura culturale, a cui diede vita il C.R.A.C. (Centro
Ricreativo di Aggregazione Culturale), che in un certo senso chiuse la
fase progressiva di emancipazione, di lotta e di protagonismo politico
di massa nella realtà di Lioni durante gli anni ’80, che segnarono
l’emergenza post-sismica e l’avvio della ricostruzione.
La ripresa dell'impegno politico avvenne verso la fine degli anni ’90,
grazie all’avvento del “movimento no-global”, che coinvolse ed
entusiasmò un'intera generazione di giovani (e meno giovani) in
Irpinia. Ricordo che nelle manifestazioni che si svolsero nella prima
metà degli anni ’80, a cui presero parte molti militanti irpini, uno
degli slogan più urlati era: “Ai morti dell’Irpinia non basta il lutto:
pagherete caro, pagherete tutto!”. Ebbene, le vicende successive hanno
purtroppo dimostrato che a “pagare” sono sempre gli stessi: i più
deboli, i reietti, i non privilegiati. Fu un periodo entusiasmante di
risveglio civile e di abbraccio corale, che suscitò sincere aspettative
di rinascita delle comunità locali. Speranze puntualmente disattese o
tradite.
Resta solo l'amaro in bocca per la cocente delusione storica, una
sensazione dolente, una coscienza rabbiosa per l'irripetibile occasione
storica fallita. Svanita nel "miraggio" di uno "sviluppo" incompiuto.
Un'illusione ingannevole. Lo spreco di un'opportunità di riscatto
economico e civile mancato dalle zone del "cratere". Occasioni
sfruttate solo da pochi arrivisti ed opportunisti. La "rivoluzione
proletaria" del clan familiare si è compiuta allorquando questo ha
conseguito il pieno controllo del "palazzo d'inverno" (cioè il
Municipio).
Da quel momento, la "cricca" degli ex rivoluzionari (e ciarlatani) ha
messo definitivamente "le mani sulla città", ponendo le sue grinfie
rapaci su tutto, e non ha più mollato la presa, esibendo una famelica e
vorace avidità di potere che non si era vista nemmeno ai tempi della
peggiore Democrazia Cristiana.
Lucio Garofalo
l.garofalo64@gmail.com
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