Come si fa una buona Costituzione (Da Camaldoli in poi ...)
Data: Giovedì, 05 novembre 2015 ore 03:00:00 CET Argomento: Redazione
Periodicamente si torna a parlare del Codice di
Camaldoli, del suo significato e della sua possibile attualità,
soprattutto ad ogni tornante politico in cui il Parlamento si mette al
lavoro per cambiare la Costituzione. Il Codice di Camaldoli è a
distanza siderale dalla situazione di oggi, dalle scelte di oggi, dallo
spirito di oggi, dagli uomini di oggi. Parlare di Camaldoli non è però
inutile. Significa parlare del modo in cui si fa una
Costituzione, del modo in cui si pensa una Costituzione e anche del
tempo che ci vuole per avere UNA BUONA COSTITUZIONE.
Tutto comincia in una settimana del mese di Luglio del '43. Parte del
mondo cattolico sente "l'urgenza di prendere posizione di fronte alle
più vive e dibattute questioni sociali ed economiche" (Codice) per
essere preparata,quando si sarebbe presentata l'occasione, a dare
soluzioni ai problemi di una nazione, che già era prostrata da
tre lunghi e sanguinosi anni di guerra e si trovava le truppe straniere
in casa.
Venne organizzato un convegno nell'Eremo di Camaldoli, cui partecipò
una trentina di studiosi laici ed ecclesiastici.
I partecipanti ai lavori, che durarono una settimana, si
proponevano di dare forma organica e scientifica e anche
sintetica alle enunciazioni del Magistero della Chiesa sui principali
problemi della vita economica e sociale; di sceverare tra le
affermazioni quelle più adatte alle contingenze del tempo con
particolare riguardo ai problemi della ricostruzione di un ordine
sociale dopo il collasso della guerra;di tentare una prudente opera di
esegesi e di interpretazione e se necessario di integrazione e sviluppo
del pesnsiero espresso nei documenti ufficiali.
Inizia in quei giorni un percorso che si concluderà nel Dicembre del
'47 con l'approvazione del testo della Costituzione, che sarà
promulgata nel primo giorno del mese di Gennaio del '48.
Gli anni 43-47 nella storia contemporanea dell'Italia sono stati
anni di rara vitalità intellettuale e politica. In quel tempo per
grandi linee venne definito il destino dell'Italia Repubblicana e
non mancò il contributo importante del mondo cattolico che "non viveva
chiuso in un recinto,ma ormai in confronto diretto e in certi casi in
alleanza con le forze della sinistra operaia e della democrazia laica"
(P. Ingrao).
Si ebbe una politica democristiana che agiva a favore di uno
sbocco democratico.
La scelta delle istituzioni liberal-democratiche per la nuova
Costituzione non può essere considerata senza significato e non era un
esito scontato, perchè si dovette superare un insieme di forze
(apparati dello Stato, Monarchia, industria, truppe occupanti, settori
della Chiesa) che avrebbero preferito avere un assetto
conservatore-oligarchico. Lo scontro tra questi diversi orientamenti si
concluse a favore delle forze progressiste, perchè in quegli anni ci fu
un accostamento tra ceti vissuti per lungo tempo nella separazione; ci
fu un contatto con le correnti politiche avanzate, che diede vita
all'esperienza unitaria della Resistenza. (P. Ingrao).
Cattolici e Sinistra lavoravano per fare della democrazia l'unico
quadro della vita della nazione, l'unico metodo per dare soluzioni ai
problemi della società. Per tutti e due i mondi politici era una
conquista e l'inizio di un nuovo cammino politico, che per i comunisti
non fu privo di incertezze e contraddizioni.
Dice P. Scoppola: "La Chiesa non aveva mai accettato il principio
liberal-democratico, ossia che fini e contenuti della vita sociale
fossero affidati alla libera auto-determinazione della società stessa
in un'aperta concorrenza di idee e di forze, cioè al consenso degli
individui e in definitiva al numero nelle forme proprie del sistema di
governo parlamentare". In quegli anni viene superata la tradizionale
indifferenza della dottrina sociale cattolica nei confronti della
democrazia.
Il gruppo dei "professorini" che faceva capo a Dossetti assunse
il ruolo di guida della Democrazia Cristiana nei lavori della
Costituente (E. Ragionieri). La Costituzione uscita fuori dal
confronto delle diverse culture politiche dei padri Costituenti era
diversa da quelle liberali; era una Costituzione impegnata a definire e
a tutelare oltre ai diritti di libertà, anche i diritti sociali. A
difesa di queste alte finalità fu disegnata un'architettura delle
istituzioni, che apriva molti spazi agli sviluppi democratici e si
reggeva su un sapiente equilibrio dei poteri dello Stato. Determinante
il contributo dei cattolici democratici. La sinistra, dice Ragionieri,
non aveva una pari e salda cultura delle istituzioni.
La Costituzione del '48 è stata un vero miracolo di saggezza politica.
Definita proprio mentre si sfilacciava l'unità antifascista; messa al
riparo dalle vicende politiche contingenti e da qualsiasi scelta
del Governo. Non si ebbero nè sostituzione autoritaria di commissari,
nè espedienti per impedire il confronto, nè voti di fiducia.
Non può e non deve essere sottovalutato il fatto che alla scrittura
della Costituzione lavorò un'Assemblea costituente, eletta dal popolo
col sistema proporzionale, mentre alla riforma dei nostri giorni
ha lavorato un Parlamento costituito in virtù di una legge
elettorale maggioritaria, dichiarata anti-costituzionale. Ragione per
cui è legittimo pensare che con altra legge elettorale avremmo
avuto un altro genere di Parlamento; avrebbe potuto esserci un altro
genere di confronto politico, avremmo potuto avere un altro genere di
riforma costituzionale e forse non ci sarebbe stato bisogno di un
referendum confermativo.
Non può e non deve essere sottovalutato che la Costituzione del '48 è
stata approvata al larghissima maggioranza, mentre la sua
declamata riforma con pochi voti di scarto e con l'opposizione fuori
dall'aula.
All'Assemblea Costituente i cattolici, che si affermarono per il
contributo dato al confronto delle idee e alla stesura del testo
costituzionale, sono stati quelli che si erano formati nel lungo e
fecondo tirocinio, iniziato con la settimana di studio di Camaldoli e
concluso con la pubblicazione nel 1945 del testo "Per la Comunità
Cristiana-Principi dell'Ordinamento Sociale" Ed. Studium. Ne furono
curatori E. Vanoni - S. Paronetto - P. Saraceno - G. Capograssi: uomini
che saranno protagonisti in molti fatti importanti della
storia repubblicana, fatta eccezione di Paronetto, deceduto
precocemente all'età di 34 anni, prima di aver potuto mostrare per
intero il suo grande valore.
Coautori e ispiratori del testo furono uomini di forte personalità come
La Pira, Fanfani, Taviani, Vanoni, Saraceno, Paronetto, Dossetti,
Gonella, Capograssi, Nosengo, Moro: quasi tutti giovani e qualcuno
giovanissimo. Provenienti dalla Fuci, dal Movimento dei laureati
cattolici, dall'Università Cattolica.
Il Codice di Camaldoli si fa apprezzare ancora per autorevolezza e
organicità.
I suoi cardini erano:
1) Primato della persona rispetto alle istituzioni. Lo Stato non
crea,ma riconosce i diritti e li tutela;
2) Forte accentuazione del ruolo della Comunità Politica, come garante
e promotrice dei fondamentali valori di giustizia e di uguaglianza fra
i cittadini,
3) Funzione sociale della proprietà;
4) Insufficienza del mercato, anche se necessario, come istituzione
della vita economica;
5) Necessità dell'intervento dello Stato per sopperire alle deficienze
del mercato;
6) Piena occupazione e programmazione economica;
7) Redistribuzione del reddito attraverso la progressività delle
imposte;
8) Collaborazione tra le classi sociali nell'organizzazione del lavoro.
Queste idee sono del Codice, ma se si osservano bene le cose, sono
anche idee della Costituzione del '48.
In poche parole il Codice afferma la priorità dei fini sociali
rispetto agli interessi economici privati e la priorità dei fini morali
su quelli sociali e politici. Se si legge bene quel testo, ma a mio
parere anche la Costituzione, ne viene fuori una terza via tra società
ad economia privata capitalistica e società ad economia statalizzata.
Viene proposto un modello di società che fa della piena occupazione,
della dignità del lavoro e dei lavoratori il suo più importante
fondamento. Della giustizia sociale la sua stella polare.
Oggi siamo alla conclusione di un'operazione di revisione del testo
costituzionale che solleva grandi e gravi perplessità
sull'opportunità dei risultati che sono stati raggiunti.Insieme alla
legge elettorale prefigura un ordinamento diverso rispetto a quello
della Costituzione del '48. Sicuramente un'agibilità minore della
democrazia e la riduzione dei suoi spazi.
La democrazia ha un prezzo alto e inevitabile:quello di garantire ad
ognuno le stesse opportunità, il proprio spazio vitale. Conosce un solo
metodo per farlo pagare: la partecipazione senza impedimenti e
limitazioni alle scelte che contano: rappresentanti e contenuti
politici. Purtroppo è cresciuto e si è rafforzato da tempo il fronte di
quelli che non intendono più pagarlo. Il governo ha assecondato questa
tendenza oligarchica e sotto le mentite spoglie della necessità di
decidere ha ridotto gli spazi e le occasioni di partecipazione.
Il mito della democrazia che decide ci perseguita da più di 30
anni e in questi giorni celebra i suoi trionfi. Ma il problema
non è prendere decisioni,perchè se ne prendono a centinaia; il problema
è quello di renderle esecutive e questo problema è di pertinenza della
Pubblica Amministrazione. Non c'era bisogno di sfigurare la
Costituzione.
Le scelte fatte di riforma costituzionale vanno nel senso di svincolare
l'esercizio del potere dal peso della responsabilità di risolvere i
problemi sociali, in crescita in un momento di crisi e in un momento in
cui non si vuole più porre la questione della redistribuzione delle
risorse e delle opportunità.
Il restringimento del diritto di rappresentanza istituzionale, la
ricercata rottura dei rapporti con alcuni corpi intermedi come i
sindacati segnalano il passaggio dalla politica come mediazione a
quella delle scelte autoritarie. Si è voluto chiudere la stagione del
riformismo democratico che aveva puntato sull'allargamento della
partecipazione popolare e dei luoghi in cui questa si potesse
esercitare. Una stagione che comincia con la Costituzione del '48,
prosegue con l'impianto della Corte Costituzionale, l'istituzione delle
Regioni, lo Statuto dei lavoratori, gli organi collegiali della scuola,
la delega dei poteri ai Comuni, l'esercizio dei referendum,
l'istituzione delle Unità Sanitarie Locali.
A partire dalla metà degli annni '80 è iniziato il percorso che ci sta
portando inesorabilmente dalla cittadinanza alla sudditanza. Per 30
anni si è auspicato e alla fine si è avuto un riformismo adattivo alle
esigenze attuali degli interessi forti e prevalenti del sistema
economico,allergici ai principi democratici. Un riformismo che
allontana il cittadino dal controllo della Cosa Pubblica e che radica
il suo fondamento nella violazione del principio costituzionale
dell'uguaglianza del voto dei cittadini.
Le Costituzioni sottolineano i passaggi più significativi della storia
di una nazione e ne riassumono,se lo si vuole, il passato e ne
prefigurano il futuro. Non sono eterne, ma esprimono lo spirito del
tempo. Quella del '48 è la Costituzione della rinascita, dei diritti,
della libertà e della giustizia sociale. Quella di oggi, se dovesse
essere confermata col referendum è la Costituzione della
mortificazione del diritto e del dovere di cittadinanza.
Ci vorrebbe un nuovo Dossetti per gridare come nel '94" Sentinella,
quanto resta dell giornata?".
E' alta la scommessa. Nel Novecento democrazia e stato sociale sono
andati di pari passo. Se smonti la prima, finisce anche il secondo come
sua naturale conseguenza.
La democrazia è il luogo in cui i conflitti sociali si esprimono e si
risolvono nella mediazione. Il suo ridimensionamento è il risultato
della scelta di lasciare ai rapporti di forza e solo a quelli la
soluzione dei problemi sociali. Questo significa abbandonare a se
stessa una parte consistente e crescente della società. Quella in
difficoltà.
Difendere la democrazia è difendere la giustizia e le libertà;
difendere la democrazia è combattere questa riforma costituzionale.
prof. Raimondo Giunta
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