A cinquant’anni dalla scomparsa del grecista Manara Valgimigli
Data: Domenica, 13 settembre 2015 ore 02:30:00 CEST
Argomento: Redazione


Manara ValgimigliCosimo Ceccuti, benemerito promotore della Fondazione Spadolini, ha fatto opera egregia e molto opportuna nel ricordare su La Nazione di venerdì 28 agosto a p. 30, con grande affetto, la figura di Manara Valgimigli a cinquant'anni dalla sua scomparsa a Vilminore di Scalve in provincia di Bergamo; ma nel delinearne la biografia ha ignorato la sua permanenza fondamentale a Massa come acuto studioso e pubblicista, brillante docente di latino e greco al Liceo Classico "Pellegrino Rossi" e attivo assessore alla Pubblica Istruzione nel Comune.

Il "passaggio" massese di Valgimigli nel periodo 1913-1916 risulta purtroppo del tutto assente in Ceccuti e tuttavia è puntualmente documentato nel prezioso Registro dei verbali del Collegio dei Professori stilati dal 1911 al 1916, ininterrottamente, da Balbino Giuliano, docente di filosofia e futuro ministro dell'Educazione Nazionale dal 1929 al 1931. Tale registro è conservato nell'Archivio Storico del Liceo-Ginnasio "Pellegrino Rossi" e annota fedelmente nell'ottobre del 1913 l'arrivo di Manara Valgimigli, il grande filologo, storico e traduttore elegante di moltissime pagine di letteratura greca che adesso ha trentasette anni ed è nella pienezza delle sue energie intellettuali, nonostante la fatica dei continui trasferimenti per la Penisola ed il dolore per la morte della giovane moglie Sandrina (Alessandra Cantoni) il 9 luglio 1904. Egli partecipa alla prima adunanza collegiale del 7 novembre 1913 nella quale vengono affrontati temi assai delicati di pedagogia e di organizzazione scolastica e all'ultima adunanza del 4 luglio 1916.

Il periodo massese riveste un'importanza decisiva nella biografia intellettuale di Valgimigli, che a Massa ritrova l'entusiasmo per la ricerca e la serenità psicologica e può esprimere, ascoltato, il suo interventismo democratico, il suo socialismo mazziniano ed il suo idealismo pedagogico. Qui egli può lavorare sulla non facile ricostruzione del testo aristotelico della Poetica, che viene tradotto, interpretato e pubblicato nel 1916 (con "affettuosi consensi tra cui mi piace rammentare uno scritto di Balbino Giuliano", dice l'Autore nell'introduzione alla seconda edizione del 1934), collaborare intensamente con articoli pregevoli di politica e di cultura al giornale interventista locale E Vincere Bisogna e alle prestigiose riviste promosse da Gaetano Salvemini e Giuseppe Lombardo-Radice. Il libro La mia scuola pubblicato da Vallecchi di Firenze nel 1924, che è un piccolo capolavoro di stile e di profonde riflessioni pedagogiche (e che è dedicato al pedagogista Ernesto Codignola: "Mio caro Ernesto,Tuo è questo libro"), rivela il suo nostalgico ricordo di Massa, di Carrara e della Lunigiana ed esprime tutta la sua simpatia nei confronti di quei colleghi che come Giuseppe Procacci morto sul Carso fanno quotidianamente il proprio dovere in silenzio, ma in modo efficace, sia nella scuola, sia in guerra. Così Valgimigli compie il suo dovere professionale sino alla fine dei suoi giorni e risponde anche all'appello dell'antifascismo della prima ora sottoscrivendo il famoso Manifesto degli intellettuali antifascisti stilato da Benedetto Croce nel 1925.
Egli interiorizza la pedagogia idealistica e apprezza onestamente l'impostazione rigorosa che agli studi ha voluto imprimere Giovanni Gentile con la sua riforma scolastica del 1923: "Io non sono, tu lo sai, fascista; e non certo, anche questo lo sai, per pregiudizi e preoccupazioni di conservatorismo borghese, onde sono fascisti i più [...] Fondamentalmente la riforma c'è; e questo importa [...] Non è bene invece questa identificazione assoluta che si vuol porre di una dottrina filosofica con un movimento politico; il quale, nonostante tutta la buona volontà e le più rosee speranze di certi profeti a lunga scadenza, sarà sempre un movimento contingente e transitorio. La riforma scolastica muove da esigenze e dottrine interne che sono anteriori di parecchi anni al fascismo. Per non citare altro e non andare più indietro, il Sommario di pedagogia di Giovanni Gentile, che fu ed è per tutti questi nostri problemi il libro capitale, è del 1913. Sono dottrine che hanno una loro nobiltà più che decenne cui nessun'araldica fascista potrà mai aumentare di certo" (Dalla Prefazione di Manara Valgimigli a La mia scuola, cit.). E la riforma gentiliana, aggiunge il Valgimigli, va difesa "contro lo stesso fascismo" e quei professori che a Pisa "coprirono di urla e di ingiurie Croce e Gentile e te [ Ernesto Codignola] e gli amici tuoi e loro". Con intelligenza critica e con una perfetta conoscenza della pedagogia idealistica, elaborata in tempi non sospetti, egli si rende conto perciò che la riforma scolastica del 1923 ha una sua nobile fonte teoretica diversa dalla volgare ed eclettica dottrina praticata e diffusa dal fascismo.

A Lui ed al suo collega Balbino Giuliano, che ha intrapreso una strada completamente diversa nel ventennio (e che ha pagato duramente la sua scelta nel secondo dopoguerra) dopo l'adesione all'interventismo ed al nazionalismo, il Liceo-Ginnasio "Pellegrino Rossi" ha dedicato diverse iniziative e alcuni saggi pubblicati su varie riviste locali e nazionali che non potevano sfuggire alla diligente attenzione dello studioso Ceccuti. A costui però bisogna attribuire il grandissimo merito di avere tentato una ricognizione storiografica, seppure parziale, in un tempo difficile e privo di memoria storica e di avere illustrato in modo sintetico ma incisivo l'enorme attività bibliografica di un vero Maestro quale è stato e rimane il nostro Manara Valgimigli, che arriva tardi alla cattedra universitaria e che dà lustro agli Atenei di Messina, Pisa e Padova, dove rimane più a lungo e diventa collega e amico di Concetto Marchesi.

prof. Salvatore Ragonesi





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