A proposito di femminismo e femminilizzazione della scuola italiana
Data: Lunedì, 07 settembre 2015 ore 01:00:00 CEST Argomento: Opinioni
Probabilmente,
occuparsi oggi di "femminismo" è addirittura demodé. Nel
senso che, per quanto si sollevi un problema reale ed oggettivo,
l’approccio rischia di essere già superato e scorretto in partenza.
Numerosi segnali indicano in modo inequivocabile come, malgrado la
presenza
femminile in vari settori lavorativi della nostra società sia in netto
aumento, quando si tratta di ruoli decisionali, l’uguaglianza tra i
sessi
risulta un traguardo ancora distante. È innegabile come in tutti gli
ambiti
lavorativi e sociali i maschi detengano e mantengano a denti stretti le
posizioni di maggior prestigio, privilegio e potere. La discriminazione
è
un dato ancora più evidente quando ci si addentra nel campo della
politica,
soprattutto ai vertici del potere politico. Tranne rarissime eccezioni,
i
“boss” dei partiti politici in Italia sono in prevalenza elementi
maschili.
Nel contempo, laddove esiste una netta predominanza femminile, ad
esempio
nella scuola, il rapporto di potere è inevitabilmente rovesciato: sono
in
crescente aumento i dirigenti scolastici donna. A tale riguardo mi sono
formato alcune convinzioni che, all’apparenza, potrebbero essere invise
alle più accese "femministe".
Mi riferisco alla realtà della scuola
italiana, specie nei primi ordini di scolarità: scuola dell’infanzia,
primaria e secondaria di primo grado. In tale contesto la
femminilizzazione
è un dato dominante in assoluto: nelle scuole materne, laddove gli
elementi
maschili sono completamente assenti, o nelle scuole elementari, laddove
i
maestri costituiscono una netta minoranza. Sono convinto che uno dei
problemi della scuola italiana (non è l’unico, ovvio) sia proprio
l’eccessiva femminilizzazione.
Altrove, ad esempio in Francia o in altri
stati, nei paesi scandinavi, la presenza maschile è più consistente e,
in
alcuni casi (ad esempio in Norvegia), addirittura massiccia. La ragione
si
spiega molto facilmente.
In tali paesi gli emolumenti assegnati agli
insegnanti sono più appetibili, per cui gli uomini aspirano in maggior
numero ai posti di insegnamento, a differenza del nostro paese, dove le
retribuzioni alla classe magistrale sono indecenti e miserabili. Lo
scarso
valore, anche economico, riconosciuto alla professione docente in
Italia,
deriva in parte proprio dall'eccessiva femminilizzazione della scuola.
Infatti, le donne che insegnano sono nella quasi totalità madri e mogli
impegnate ad attendere alle faccende domestiche ed accudire la prole,
relegate in ruoli marginali rispetto ai coniugi, che invece svolgono
funzioni più remunerative in termini economici. Per cui le insegnanti
che
sono anche mogli e madri non hanno tempo o voglia di dedicarsi ad
attività
sindacali e tantomeno occuparsi di politica.
Per le stesse ragioni, quando
si tratta di scioperare e rivendicare i propri diritti sindacali ed
ottenere miglioramenti nella propria condizione lavorativa, le
insegnanti
(in gran parte mogli e madri) tendono a sottrarsi e disimpegnarsi, per
cui
il potere contrattuale e sindacale della categoria si è ridotto
drasticamente. Non a caso le adesioni agli scioperi nel comparto scuola
sono più basse che altrove, in fabbrica o in settori dove la presenza
maschile è più elevata, come le industrie metalmeccaniche.
Naturalmente, il
mio non è affatto un atto d’accusa nei confronti della presenza
femminile
nella scuola e nella società italiana.
Il mio intento è di ridestare le
coscienze assopite, o distratte, delle donne, siano esse insegnanti,
madri,
mogli o single, poiché l'emancipazione dell'umanità passa anche
attraverso
l’affrancamento effettivo delle donne dalla condizione di marginalità o
subalternità a cui ancora sono in gran parte costrette nella società,
in
alcuni ambiti professionali, ma ancor più sul terreno
politico-decisionale.
Lucio Garofalo
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