La guerra geografica della buona scuola
Data: Martedì, 18 agosto 2015 ore 01:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Adesso si
aspetta solo il tweet di Salvini contro l'invasione
scolastica dei professori terroni. A tre giorni dalla chiusura delle
domande per il piano straordinario di assunzioni abbinato dal governo
alla riforma della scuola, è evidente nei numeri quel che era scritto
nel mondo della scuola, a caratteri cubitali, da decenni: la maggior
parte dei precari da assumere sta al sud, mentre gli insegnanti servono
di più al nord. E non è - stavolta - colpa di Renzi.
Già monta una guerriglia retorica fatta di opposte assurdità: quella
nordista contro l'arrivo dei professori del sud nei posti lombardi,
veneti, liguri, piemontesi (quasi settemila solo dalla Sicilia, più di
cinquemila dalla Campania), e quella sindacale contro la "deportazione"
dei precari.
Sul primo punto, ha già alzato la voce Valentina Aprea, assessora
lombarda all'istruzione ed ex sottosegretaria al ministero
dell'istruzione (Miur) nei governi Berlusconi: il governo doveva tener
conto del rapporto tra graduatorie provinciali e posti disponibili
nella stessa provincia, ha detto. In sostanza, chiudere le frontiere
scolastiche, privilegiando i precari autoctoni. Opposta la ricetta dei
sindacati e dei vari comitati dei precari: contro la deportazione,
chiedono di rivedere la disponibilità dei posti. In sostanza, assumere
i precari non dove servono ma dove vivono.
La carica dei settantamila
Per quanto messi sempre insieme nella propaganda politica, i famosi
"oltre centomila" precari da assumere erano in realtà fatti di due
spezzoni: i docenti precari che, anche senza riforma, sarebbero
comunque entrati in ruolo quest'anno andando a sostituire i colleghi
che andavano in pensione (sono 29mila, un po' meno rispetto all'anno
scorso), e quelli che entrano per il "piano straordinario" previsto
dalla riforma e dal governo vincolato alla sua totale e rapida
approvazione. Piano riservato agli iscritti alle graduatorie a
esaurimento (gae), con l'esclusione degli insegnanti della scuola
materna, per il quale hanno presentato domanda in 71.643, ha fatto sapere il ministero allo scadere del termine.
Secondo i calcoli diffusi dalle stesse fonti ministeriali, uno su
cinque, tra gli iscritti alle gae, non ha presentato la domanda per
essere assunto. Presentata come una grande vittoria sulla protesta del
mondo della scuola (come se questa potesse spingersi all'autolesionismo
e portare a rifiutare un posto di lavoro), questa cifra è in realtà
perfettamente coerente con le premesse del piano stesso.
I giovani laureati e specializzati con i tirocini formativi sono
rimasti esclusi dal piano di assunzioni
Il piano ha infatti voluto limitare le assunzioni alla più vecchia e
calcificata delle graduatorie, universo enorme e sconosciuto ma nel
quale, si sapeva già, sono rimaste iscritte anche persone che non
lavorano da anni, o hanno altri lavori, o facevano pochissime supplenze
poiché, non potendo o volendo muoversi, accettavano solo quel che si
trovava vicino casa. Insomma, non era proprio un esercito di giovani
mobili (età media sui 50). Questi ultimi, i giovani laureati e
specializzati con i tirocini formativi, nonché i precari delle
graduatorie di istituto, sono rimasti esclusi dal piano di assunzioni.
Quelli che hanno fatto domanda, comunque, hanno dovuto accettare le
regole del gioco: esprimere la propria priorità sulle province dove si
potrà lavorare, e aspettare che l'algoritmo ministeriale, combinando
preferenze ed esigenze territoriali, assegni la sede. È una cosa
assurda? Difficile sostenerlo, in un paese nel quale il sistema
scolastico è (ancora) nazionale e non confederato. È una deportazione?
Un po' esagerato il termine, in un momento in cui i mari e le coste
sono pieni di cadaveri di persone che rischiano la vita per cercare un
lavoro.
Ma quanti dovranno spostarsi, dei settantamila? Secondo il sindacato
Anief, specializzato in ricorsi del personale scolastico, "un docente
su cinque sarà assunto in una regione diversa da quella scelta", e
dovranno trasferirsi dal sud al nord 15mila persone. Lo stesso
sindacato ha calcolato la differenza, regione per regione, tra le
domande presentate e i "posti" disponibili (sommando quelli previsti
dal potenziamento dell'organico, previsto dalla riforma, e quelli di
sostegno, insomma quelli che i tecnici del Miur hanno chiamato fase B e
C delle assunzioni).
Le regioni a più alto tasso di "esodo" sono Campania e Sicilia, ma
avranno un saldo negativo (più precari che posti) anche Lazio, Puglia,
Calabria, Abruzzo, Molise, Basilicata. Mentre sono importatori netti di
precari la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, la Liguria e il Friuli.
Ma questi numeri potrebbero non corrispondere alla realtà, alla fine
dei conti, dato che pare che tra le settantamila domande ce ne siano
molte irricevibili, perché provenienti dalla scuola dell'infanzia.
Secondo le stime che girano tra gli addetti ai lavori (si veda il sito Tuttoscuola), in realtà le domande valide
sono circa 61mila, dalle quali andranno poi detratti molti precari che
nel frattempo vanno a occupare posti vacanti che si liberano. Non solo:
tra i proponenti domanda, c'è anche chi ha appena ricevuto un incarico
di supplenza annuale - magari sotto casa sua - e dunque, per decisione
dello stesso ministero, potrà completare il suo anno prima di prendere
servizio. E nel frattempo farà ricorso per restare dov'è.
Niente algoritmo
Mentre si litiga sul "dove", non è affatto chiaro il "cosa": che
andranno a fare, i settantamila (o meno) assunti col piano
straordinario della Buona scuola? Su questo dettaglio, buio totale. Il
ministero non ha dato alcun numero ufficiale sul lato della "offerta":
dove servono i posti di potenziamento, e per fare cosa.
Le scuole hanno mandato le loro preferenze, ma non è detto che saranno
incrociate con le disponibilità dei professori: in questo campo, niente
algoritmo. Potrebbero aver chiesto più docenti di fisica, e trovarsi
con molti letterati (che predominano nelle graduatorie a esaurimento) e
anche con qualche stenografo (le ore di stenografia non ci sono più, ma
i docenti sì). Secondo l'idea del governo, il fatto che ogni scuola
abbia a disposizione un gruppetto di docenti fissi in più dovrebbe
aiutare a organizzare il lavoro, "potenziare" l'offerta formativa e
soprattutto coprire le assenze brevi dei docenti di ruolo.
Ma l'immissione delle forze fresche avviene con i più antichi dei
criteri e i più consolidati copioni del mondo scolastico: elenchi
infiniti, slalom tra province e graduatorie, punti da contare e
ricontare, trasferimenti, ricorsi. Non c'è alcuna traccia, per esempio,
del nuovo potere dei presidi nella scelta degli insegnanti: essendo
stato tutto il "nuovo" della riforma rinviato all'anno prossimo, per
impossibilità di procedere nei tempi strettissimi che il governo ha
imposto per far passare tutto il pacchetto.
Roberta Carlini - Internazionale.it
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