Buona Scuola - A chi fanno paura valutazione del merito, autonomia e nuovi poteri ai presidi?
Data: Martedì, 14 luglio 2015 ore 02:00:00 CEST Argomento: Redazione
Ormai contro e
sulla Buona Scuola è stato detto quasi tutto e, complice il caldo
torrido di questi giorni, dopo che 277 voti l’hanno varata alla Camera
dei Deputati, le proteste e le gazzarre inscenate fuori Montecitorio si
sono spostate sui social network e nelle infuocate dichiarazioni dei
sindacati che promettono un autunno caldo nella scuola. Sulla rete
corre l’insostenibile appello a non firmare la legge, rivolto al
Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e le disquisizioni su
una presunta incostituzionalità del provvedimento si sprecano.
Le frecce più acuminate hanno però come bersaglio l’introduzione della
valutazione premiale dei docenti. In realtà, l’esercito dei docenti
rivoltosi e dei pasdaran sindacali, capeggiato dai pretoriani della
demagogia come Fassina e Grillo, che non riescono proprio a digerire
quel poco di valorizzazione del merito introdotto dalla legge, sono
tutti figli del ’68 e dei conseguenti Decreti delegati del 1974. In
nome di un egualitarismo che non era certo equità, quello era il clima
del sei politico e del lassismo e per circa trent’anni quelle
generazioni se ne sono nutrite producendo genitori condiscendenti e
iperprotettivi, insegnanti rinunciatari e demotivati.
Quelli che strillano di più sono certamente i più dequalificati, quelli
che forse hanno più da temere dall’introduzione di meccanismi di
valutazione, ma non mancano anche larghe fasce di docenti, pur bravi e
scrupolosi, che si lasciano convincere da argomentazioni farisaiche del
tipo “il merito sì, ma non è questo il modo giusto di introdurlo”.
Peccato che sia la stessa argomentazione addotta quindici anni fa
contro la proposta dell’allora ministro della Pubblica Istruzione Luigi
Berlinguer, che forse garantiva maggiore oggettività di valutazione
perché la legava a una sorta di concorso in base a tre componenti:
curriculum, prove scritte a carattere pedagogico e osservazione sul
campo.
Probabilmente si potevano trovare anche altre soluzioni, come
attribuire la valutazione dell’efficacia dell’azione formativa a
soggetti terzi, con meccanismi capaci di garantire maggiore oggettività
e validità, ma spesso il meglio è nemico del bene e la ricerca della
perfezione diventa un alibi per non agire. Questa è comunque una svolta
epocale della scuola. Un tabu quarantennale, sancito proprio dai quei
Decreti delegati del 1973 e 1974, viene finalmente abbattuto e si
aprono concrete prospettive per rendere il sistema scolastico più
competitivo a livello europeo e per adeguarlo ai migliori standard
qualitativi e funzionali, su principi di meritocrazia e autonomia.
Un altro muro che scricchiola è quello che impediva, nonostante la
vasta legislazione dal 1997 al 2000, una vera attuazione
dell’autonomia. Oggi, maggiori competenze vengono affidate ai presidi
come la facoltà di individuare sull'organico dell’autonomia alcuni
docenti da chiamare sul piano triennale dell’offerta, la possibilità di
nominare i propri collaboratori fino al 10% dell’organico, la funzione
di indirizzo nel percorso di formazione del piano triennale
dell’offerta e l’attribuzione della titolarità nella gestione del bonus
premiale. Le polemiche di oggi contro il merito si saldano così anche
all’altra vexata quaestio, quella dei poteri ai preside che viene
additato come uno spauracchio terrificante. Ciò, tuttavia, non rende i
presidi dei satrapi dotati di potere assoluto ma dirigenti che devono
rispondere delle scelte e delle azioni compiute, senza potersi più
trincerare dietro l’alibi delle pastoie burocratiche e ipergarantiste.
Certo, è vero che più potere ai cattivi presidi può provocare gravi
danni come ha affermato Roger Abravanel in occasione della
presentazione a Roma del suo libro “La ricreazione è finta”, il 25
giugno scorso, proprio mentre il Senato approvava il ddl sulla Buona
Scuola. Forse danni maggiori di quelli che provoca la pastoia
burocratica al buon preside, ma la strada è spianata verso un sistema
che potrà risultare premiante per i bravi presidi e che consenta
finalmente di addebitare risultati e scelte sbagliate – o, peggio,
disoneste – a presidi incapaci o irresponsabili.
La protesta dei sindacati e dei docenti incantati dalla demagogia
estremistica, che minaccia di arroventare l’inizio del prossimo anno
scolastico, appare però ancora più incomprensibile se raffrontata
all’ingente piano di investimenti di 3 miliardi e di reclutamento di
100.000 precari più un concorso per 60.000 docenti.
Rompere con il trend degli ultimi anni, eliminare i tagli lineari e il
blocco delle assunzioni, non era una cosa di sinistra?
Donatella Purger - Firstonline.info
donatellaaura@gmail.com
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