Il 'Buono' che c’è nella buona scuola
Data: Domenica, 12 luglio 2015 ore 09:00:00 CEST Argomento: Redazione
Il prof Elio
Marotta, preside in pensione ed esperto docente nei corsi di
formazione ha scritto una lettera a "La Tecnica della
Scuola"e contrariamente al parere di tanti insegnanti e dei
sindacati,giudica la legge della "Buona scuola" un notevole
passo avanti per migliorare l'istruzione italiana. "Io credo", ci
scrive, "che rappresenti un vero cambiamento, confrontabile solo
con i decreti delegati del 1974" La scuola, come la società ha
necessità di "padri" e di guide esperte. Occorre attivare una reale
valutazione del merito per tutti gli operatori della scuola a
garanzia della vera autonomia.
Apriamo un dibattito on line e sono graditi gli interventi liberi
e frutto di diligente riflessione per il miglior bene della scuola.
Sono spinto a scrivere queste righe perché sono stanco di leggere, su
molti siti sulla scuola e talvolta anche su quello della Tecnica,
appelli accorati contro la legge sulla Buona scuola, per lo più fondati
su motivazioni parziali e talvolta infondate. Dico subito che
sulla Buona scuola e annessa legge vedo prevalere gli aspetti positivi,
alcuni dei quali trovano un riscontro in battaglie condotte
negli ultimi decenni da parte delle persone attive che hanno
operato per una scuola quanto più adeguata ai bisogni della società.
Sono un vecchio preside in pensione e ho vissuto nella scuola la
stagione segnata dall'attuazione dei decreti delegati. Una delle
cose di cui ho più sofferto, da insegnante e da preside, è la
difficoltà e spesso l'impossibilità di veder valorizzato l'impegno, la
serietà, la volontà di continuare ad imparare di alcuni colleghi.
Ricordo i mancati riconoscimenti verso gli insegnanti
disposti a spendersi - e a spendere parte del loro tempo - per i loro
allievi e in generale per la scuola (non solo per il proprio istituto,
ma per la Scuola). Ho incontrato insegnanti portatori di
esperienze di valore, per lo più minoranze e quasi sempre minoranze non
valorizzate e talvolta frustrate:in primo luogo dai capi
d'istituto ma spesso anche dai colleghi, preoccupati che il loro
esempio potesse nuocere loro alzando il livello richiesto delle
prestazioni.
Ancora più pesante dell'impossibilità di valorizzare impegno,
serietà, cultura dei docenti è la altrettanta impossibilità di
intervenire nelle situazioni problematiche e persino in quelle
patologiche. Se un genitore va a parlare con capo d'istituto lamentando
- legittimamente o no - una disfunzione della scuola, una
inadeguatezza, un comportamento scorretto da parte di un
insegnante,il dirigente scolastico ha sì il potere di fare delle
verifiche ma non gli è possibile andare al di là di esse, perché non è
stato adottato alcun metro di valutazione delle prestazioni del
personale, a partire da chi dirige.I concorsi per l'accesso alla
dirigenza di questi anni hanno dato per lo più esiti modesti: tre
procedure di valutazione dei presidi si sono succedute, e tutte e tre
sono andate a vuoto per la resistenza dei diretti interessati e delle
loro organizzazioni.Certo, non erano dispositivi perfetti, ma è
facile trovare punti deboli in qualsiasi sistema di valutazione. Le
obiezioni sono della stessa natura di quelle rivolte in
particolare da alcune organizzazioni degli insegnanti al sistema
nazionale di valutazione messo in atto dall'a.s. 2014/15 al 2016/17 o
alle prove INVALSI.
Per quello che ho sperimentato, c'è un numero consistente di insegnanti
non consapevole che il nostro mestiere richiede, per essere
efficace ad allievi che apprendano, formatori in costante
apprendimento. Si tratta oggi come ieri anche di riprendere /
continuare a studiare, a leggere, ma purtroppo molti hanno cessato di
farlo al momento dell'assunzione e guardano ai cambiamenti con
preoccupazione. Oggi un insegnante impreparato ha spesso paura di
entrare in classe, ha difficoltà crescenti con allievi che non
capisce (e che non lo capiscono) e teme adesso anche un attacco dal
"centro" del sistema formativo. Ciò non toglie che ci siano non poche
esperienza in cui i ragazzi incontrano un educatore
disposto a mettersi in gioco con loro, in uno degli infiniti modi
possibili. Si tratta di una minoranza, ma andrebbero spinti a farlo
anche le maggioranze che mal sopportano le iniziative di formazione (a
partire da quelle di auto-formazione). Dovrebbero sentirsi in colpa se
nell'ultimo anno non hanno letto un libro o non hanno partecipato ad
una riunione con i colleghi in cui discutere di ragazzi, di didattica,
insomma della propria professione, la quale è troppo importante per
limitarla ad una rivendicazione di diritti.
Romei quando ha introdotto in Italia il tema della scuola come
organizzazione ha utilizzato il concetto di organizzazione a legami
deboli, considerandolo non solo un limite o un problema, ma anche
una caratteristica positiva della professione del formatore. Osservava
però che la debolezza del legame ha raggiunto un grado ormai
insostenibile ed ha usato una metafora tratta dal gioco del
calcio. È difficile, diceva, indirizzare la palla verso la porta se il
pallone è sgonfio: fuor di metafora, se non esiste un minimo di
controllo, di valutazione / autovalutazione dei comportamenti
collettivi nella scuola. Gonfiare un po' il pallone significa avere
chiarezza sui risultati da raggiungere, assegnare a qualcuno la
responsabilità sui risultati, a partire dai propri, sapendo che
risultati di qualità dipendono da processi di qualità.
Processi formativi ed anche processi organizzativi, per il
ruolo che le dinamiche sociali e relazionali hanno sulla
formazione.
C'è un principio che attraversa tutta la produzione normativa sulla
scuola e in generale sulla pubblica amministrazione: il potere di
indirizzo è degli organi eletti democraticamente, quella di gestione è
degli operatori, ai diversi livelli. La"Buona scuola" ribadisce
il ruolo del potere centrale nello stabilire le finalità (Profili
educativi culturali e professionali che gli allievi devono conseguire,
norme generali sull'istruzione, ecc.) e, per il singolo istituto
autonomo, del Consiglio d'Istituto nel fissare gli indirizzi, gli
orientamenti generali in relazione al contesto; del Collegio dei
docenti per gli indirizzi formativi e per le scelte didattiche.
Il compito della gestione è organizzato gerarchicamente e dentro la
singola scuola è del preside. La gestione può, deve essere partecipata,
quando non lo è o non lo è stata accade per lo più che la scuola non
funzioni. Una organizzazione non può però fare a meno di qualcuno che
alla fine assuma il compito e la responsabilità della decisione,
compreso quello del controllo. Naturalmente la valutazione dei processi
e dei risultati è opportuno che sia fatta con la partecipazione di
tutti coloro che sono interessati, compresi genitori e, nel 2^ ciclo,
allievi. Valutazione che prenda le mosse da una auto-analisi del
sistema scolastico con l'onere della documentazione dei criteri e
delle procedure e di una rendicontazione pubblica.
Il sistema attuale, fortemente ingessato, presenta pochissimi veri
controlli. Certo, il nodo è la formazione dei dirigenti, come per un
verso più generale, la formazione dei formatori, dei docenti. Solo con
le riforme degli ultimi anni questo compito è stato assolto in modo
solo parziale dall'università. I buoni insegnanti e i buoni presidi che
conosco si sono formati sul campo, e solo quando hanno accettato rischi
e responsabilità, uscendo fuori dal recinto delle sicurezze
burocratiche.
Io credo che la legge sulla Buona scuola rappresenti un
vero cambiamento, confrontabile solo con i decreti delegati del 1974.
In realtà il cambiamento reale è già avvenuto.
Avrebbe dovuto essere quello dell'autonomia scolastica, ma si
tratta di un cambiamento che per la maggior parte delle
scuole semplicemente non è avvenuto, non c'è. In particolare in aree
geografiche e culturali in cui prevale una visione verticale e
quantitativa del potere.
Per quanto riguarda la critica alla norma che introduce il cosiddetto
principio di un 'uomo solo al comando', ritengo semplicemente che ogni
organizzazione strutturata abbia bisogno di qualcuno che in
ultima istanza possa decidere assumendosi le responsabilità della
decisione. Così come accade per le decisioni sul piano formativo,
sul quale l'insegnante si muove sulla base di obiettivi fissati dal
centro (dal Ministero, dal Parlamento), occorre che ciascun operatore
sia valutato in modo trasparente sulla base del raggiungimento degli
obiettivi.Più autonomia e quindi di fatto più poteri alle
scuole e ai loro organismi collegiali, ed opportunamente forme di
rendicontazione pubblica.
Con un piano triennale dell'offerta formativa (che non sostituisce il
POF, purché questo non venga considerato come una collazione di
progettini) la definizione dei fabbisogni parte dal basso. La
singola scuola interviene anche se in misura parziale e dentro il
quadro complessivo del curricolo, nelle scelte decisive di ogni azione
progettuale:allocazione delle risorse e quindi sugli
organici attraverso l'organico funzionale. Chi ha vissuto la stagione
delle sperimentazioni previste dal DPR 419/74, ricorda come le più
ambiziose, quelle di ordinamento e struttura, prevedevano già una
diversa normativa per l'assegnazione dei docenti alle classi
sperimentali. Operazione che allora - in assenza di autonomia di
ricerca e sviluppo - era coordinata dal centro, ma vigeva lo stesso
principio che lega in un progetto risultati attesi e risorse.
Penso che in fondo ci sia un fatto: ci sono insegnanti e presidi che
non hanno mai digerito l'autonomia scolastica e vedono male una scuola
che colloqui realmente con il territorio (capitolo dentro cui vanno
iscritti i percorsi scuola-lavoro o comunque di cultura del lavoro).
Penso inoltre che vada diffondendosi tra i protestatari, sotto una
veste vittimistica e appassionata,una visione prescrittiva,
quasi burocratica della scuola, che tra l'altro comporta poi la
conseguenza di privare - come avviene sostanzialmente oggi - i
dirigenti di strumenti effettivi per gestire le scuole
rispondendo dei risultati.
L'alternativa non può che consistere nel definire un sistema di
contrappesi che coniughi l'efficienza gestionale con principi di
garanzia e di trasparenza, verso l'esterno ed anche verso l'interno
della scuola, per una condivisione delle scelte di carattere
strategico che competono alla scuola autonoma.
Che tutto questo parlare del preside-capo riveli in fondo oggi un
riemergere del ruolo e della figura del padre di cui tanto si parla
nella saggistica ma anche nella letteratura?
Elio Marotta
Preside emerito
|
|