Riforma scuola, i profili di incostituzionalità nel ddl 'Buona Scuola'
Data: Martedì, 30 giugno 2015 ore 01:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Porre la
fiducia da parte del governo sulla riforma della scuola ha significato
non consentire al Parlamento ed alle opposizioni di svolgere su temi
centrali della vita civile del Paese, attinenti alla tutela di diritti
fondamentali, il ruolo e la funzione che la Costituzione riconosce
loro. Infatti, il provvedimento prevede scelte di discrezionalità
legislativa destinate a ripercuotersi sui diritti di una pluralità di
soggetti, ed in senso più ampio su una struttura organizzativa
fondativa del nostro Stato sociale.
Bisogna dare al Parlamento ed alle opposizioni il diritto di svolgere
il proprio ruolo, costituzionalmente garantito, ed in particolare di
esprimersi su una serie di questioni di dubbia costituzionalità.
1. L’alternanza scuola-lavoro ed il conseguente vulnus del diritto allo
studio
In contrasto con il diritto allo studio sembra porsi la parte relativa
all’alternanza scuola-lavoro. Il riferimento, in particolare è
all’obbligo (e non alla mera possibilità) di ‘esperienza lavorativa’
per almeno 400 ore (nel secondo biennio e nell’ultimo anno negli
istituti tecnici e professionali) e 200 (nel triennio nei licei). Si
dubita della compatibilità di una tale imposizione con il diritto di
‘solo’ studio e col diritto ad una valutazione che tenga conto
esclusivamente del proprio percorso scolastico: viceversa, l’inclusione
delle esperienze extrascolastiche nel curriculum dello studente le
rende valutabili in sede di esame di Stato.
Sarebbe, pertanto, fortemente auspicabile articolare l’alternanza
scuola-lavoro su base volontaria e rendere immune il giudizio
valutativo da qualsiasi attività extradidattica.
2. Il c.d. Preside-sceriffo
Senza dubbio, tra le disposizioni più contestate rientrano quelle
concernenti il cosiddetto ‘preside sceriffo’. Si allude al conferimento
di poteri al dirigente scolastico in particolare al potere di
‘individuare’ il personale da assegnare ai posti dell’organico.
Attualmente, sono gli stessi vincitori del concorso a scegliere,
nell’ordine in cui sono inseriti nella graduatoria, il posto di ruolo
fra quelli disponibili nella regione.
La norma stabilisce che il dirigente, per la copertura dei posti
dell’istituzione scolastica, propone gli incarichi triennali ai docenti
di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, anche
tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi.
Prevede, inoltre, la facoltà del dirigente di utilizzare docenti in
classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati,
purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della
disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con
gli insegnamenti da impartire.
Si tratta di poteri significativi lesivi di diritti costituzionalmente
garantiti (uguaglianza, diritto al lavoro, buon andamento e
imparzialità dell’agire amministativo).
3. Valutazioni e premialità vs. la libertà d’insegnamento del docente
Un’ulteriore considerazione va svolta sul carattere del lavoro
dell’insegnante che ha strutturalmente, e aggiungerei fisiologicamente,
natura non subordinata nel senso che è frutto dell’esercizio del
diritto costituzionale alla libertà d’insegnamento (art. 33
Cost.). Se però è il preside che sceglie, come si è visto, il
corpo insegnante per l’organico funzionale, tale scelta condiziona la
libertà d’insegnamento nel senso che può costituire una forma di
pressione e di adeguamento alla volontà di una figura monocratica.
Identico discorso va fatto per l’aspetto premiale che, se oggetto di
una valutazione da parte di commissioni in cui seggono anche i genitori
e gli allievi, può risultare distorcente rispetto la serenità dello
svolgimento del lavoro del docente che avrebbe come valutatori quelli
che valuta. Di tenore diverso sarebbe usare tali commissioni per
provare la ricezione del proprio lavoro e introdurvi dei correttivi;
una cosa ben diversa dal legare questo momento ad una premialità di
qualsiasi tipo.
4. Risorse esterne e contributi pubblici per le scuole private
Infine ultima questione da valutare è la realizzazione di un’autonomia
non solo funzionale ma finanziaria delle scuole, legando la riuscita
della scuola alla possibilità di attrarre risorse esterne. In tal caso
i fattori economici e storico sociali del contesto in cui opera la
scuola diventerebbero poi un dato condizionante la disparità tra scuola
e scuola, in violazione dei primari principi fondativi dello Stato
sociale (artt. 2, 3, 33, 41 Cost.)
Identico discorso, in violazione dell’art. 33 Cost. (Enti e privati
hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza
oneri per lo Stato) andrebbe posto sulla possibilità per le scuole
private di incamerare oltre che il finanziamento statale anche le somme
che i singoli contribuenti hanno chiesto come rimborso per la spesa
dell’istruzione (il cosiddetto buono scuola).
In conclusione si tratta di tutti aspetti molto preoccupanti e
soprattutto lesivi di principi costituzionali, che meritano
approfondimenti e che soprattutto non possono essere “liquidati” con un
voto di fiducia. Prevedo sul piano giuridico ricorsi e soprattutto il
ricorso alla Corte costituzionale che ne verifichi la dubbia “tenuta”
costituzionale.
Alberto Lucarelli -
Ilfattoquotidiano.it
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