Gente di poca fede?
Data: Giovedì, 25 giugno 2015 ore 02:30:00 CEST
Argomento: Redazione


Si è negato che i Siciliani siano veramente religiosi; sarebbero uomini di poca fede. La ricchezza e la varietà delle feste e dei riti religiosi, delle tradizioni devozionali sarebbero la trasfigurazione di atteggiamenti e di sensibilità spiccatamente materialistici, il teatro in cui vanno in scena le diverse sfaccettature della loro psicologia.
La religiosità dei Siciliani sarebbe un fatto puramente esteriore, espressione delle passioni umane e delle paure che tormentano l'animo. Richiesta di aiuto e di grazie, esorcismo della morte; una religiosità di santi e di madonne, di appartenenza e quindi di sicurezza: devoto di, confrate di etc,. Una religiosità priva di spiritualità e con pochi slanci di generosità. Una religiosità incline alla mestizia o al furore, ma non alla gioia.
L'anima dei Siciliani, segnata dai confini dell'egoismo e della diffidenza, non conoscerebbe la trascendenza, la proiezione nel futuro: un fosco o rassegnato immanentismo sarebbe il loro orizzonte religioso. E in tanti secoli di storia niente sarebbe cambiato.

E' vero. La storia religiosa della Sicilia non è ricca di santi, nè di papi, nè di teologi, nè di innovazioni spirituali. Le novità sono venute sempre da fuori, non sono scaturite da processi autoctoni di vitalità religiosa.
La religione cristiana non avrebbe avuto una grande influenza sull'animo dei siciliani, non l'avrebbe nè diretto nè tantomeno migliorato. Anzi in mano ai peggiori è stata strumento per sanzionarne il loro potere e il loro dominio sulla società a danno dei pochi spiriti eletti, che avrebbero potuto migliorare la qualità della vita e della società siciliana. A risollevare le sorti della religiosità dei Siciliani non poteva tornare utile il secolare e strettissimo rapporto tra potere statale e chiesa; non è stata un perpetuo canto alla grandezza e alla misericordia di Dio.
Il mio convincimento è che questo genere di ragionamento non valga solo per i Siciliani; che ci sia tanto volterianesimo, tanto illuminismo da salotto; che ci sia tanta affabilità e sufficienza da signori. Un discorso fondato su spezzoni di antropologia e di sociologia di tipo intuitivo.

A considerare bene le cose e a dir la verità c'è stata poca religiosità nella stessa storia del cristianesimo; forse perché nella sua purezza, quella che ci piace apprezzare, la religiosità è un'esperienza elitaria. Le religioni come fenomeno sociale finiscono sempre per adeguarsi ai costumi di un popolo; danno qualcosa e molto ricevono nei vari paesi in cui vengono professate. Per restare nell'ambito del Cristianesimo mi pare di vedere una differenza tra ciò che era prima di diventare religione di Stato e dopo; tra ciò che era quando si poteva definire un'espressione del mondo mediterraneo e quel che divenne quando, ritiratasi o cacciata dal suo luogo di nascita, si è sviluppata nei popoli del Nord e dell'Est Europa.

C' è nel Cristianesimo sia una tensione verso la rivolta nei confronti del mondo circostante, sia una tensione verso l'accomodamento per utilizzarne le convenienze o addirittura per ridurlo a misura delle proprie intenzioni. E in diverso modo questo mi pare sia avvenuto dappertutto e quindi anche in Sicilia.
Quando ripenso all'educazione ricevuta, agli slanci di generosità e di umanità di tanta gente che conosco,allo spirito di dedizione e di sacrificio di tanta umile gente, alla loro dignità, mi sembra molto difficile che non ci sia stata una qualche influenza positiva della presenza del Cristianesimo nella società e che questa sia riducibile a semplice funzione degli interessi dei ceti dominanti.

C'è una storia religiosa della Sicilia post-unitaria che smentisce se non tutti, almeno alcuni di quelli che sembrano essere dei pre-giudizi: la costituzione delle casse rurali, la guida politica di parte del mondo contadino, la costituzione di congregazioni religiose dedite al servizio dei poveri (Boccone del Povero, Annibale di Francia) e in tempi recenti la lotta contro il fenomeno mafioso.
Il mondo cambia: anche in Sicilia.

prof. Raimondo Giunta





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