Ammazzare il '68
Data: Giovedì, 28 maggio 2015 ore 01:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Sono passati quasi cinquant'anni ed ogni volta che si tenta una qualsiasi malversazione della scuola c'è sempre un ministro o un sottosegretario che ci annuncia di avere finalmente sradicato la malapianta del ' 68, causa universale di tutti i guai di cui non si riesce venire a capo nella scuola, in fabbrica, in famiglia, nella società.
Il '68 è stata la ribellione di massa dei giovani contro ogni forma di autorità con cui si devono fare i conti, contro le regole imposte senza alcuna ragione; è stato un urlo di gioia e di libertà giovanile contro ogni logica che si nutre di divieti, che non vogliono essere messi in discussione.
A partire da quell'anno stata messa in pista un'esigenza radicale di libertà: vietato vietare. Se ne è avuta tanta paura, che ancora assilla quanti hanno paura dei veri cambiamenti. Eppure se si pensa a tutte le innovazioni di costume e dei rapporti umani che distinguono l'attuale momento, si dovrebbe riservare a quella generazione più di un gesto di gratitudine. E invece nemmeno a distanza di tanto tempo si riesce ad essere sereni ed equi con chi ha voluto toccare il cielo, ma di fatto ha perso in più di un fronte di battaglia. In Italia è stata l'unica generazione che non ha preso il potere, scavalcati da quelli che erano venuti prima e da quelli che sono venuti dopo. Altrove le cose sono andate diversamente.

La convergenza, che si è venuta a creare, tra questa tempesta libertaria e le frange radicali dei vecchi movimenti di sinistra, ai tempi incui erano vivi i miti della rivoluzione armata, ha in parte deviato e poi snaturato il significato e gli esiti di quegli anni. Una responsabilità che ricade in parte cospicua su quanti che, per età e posizione politica, non hanno saputo comprendere, guidare e trasformare positivamente un'esplosione di vitalità di una generazione che reclamava il proprio spazio in società. Si ricorda ancora l'intervista di Luigi Longo su Rinascita, forse l'unico segnale di apertura.

La deviazione della protesta verso la lotta armata, il terrorismo, la violenza è stata conseguenza oltre che del settarismo proprio dei movimenti politici nascenti anche del fatto che in quegli anni non erano disponibili forme di espressione, di rappresentazione e di comunicazione politiche diverse da quelle che sembravano vivissime ed efficaci, anche se poi si vedrà che erano arrivate al loro momento conclusivo: le molteplici versioni del marxismo, che ispiravano le vicende e le lotte rivoluzionarie, quest'ultime operanti nel terzo mondo e nel sud-est asiatico.

Un linguaggio in cui non credevano tanti che l'usavano e l'avevano usato e che in mano ad una nuova generazione rivela ancora una certa capacità di seduzione e di orientamento e che riesce ad imprimere alle aspirazioni legittime e comprensibili dei ventenni un indirizzo esclusivamente politico e una tensione conflittuale sul piano sociale, che non accettava mediazioni.
La generazione del '68 negli stati occidentali è stata l'ultima ad usare ampiamente il linguaggio della rivoluzione, ma anche a darle il colpo finale per gli esiti che ne sono derivati.
Ma non le può essere addebitato a colpa. Le tradizioni, i linguaggi, le forme simboliche i giovani li trovano, li modificano, li storpiano, ma non li inventano. Cosa sarebbe successo se altra fosse stata la tradizione, altro il linguaggio disponibile? Si dice che la storia non si scrive con i se..
Si può, però, affermare che quella stagione ha lasciato un grande patrimonio di aspirazioni, di progetti, di aspettative, di sensibilità che andrebbe coscienziosamente storicizzato e valutato. E' da lì che comincia la modernizzazione delle società occidentali.

Di quel ciclone impetuoso qualcosa puo' essere ripreso in considerazione: si pensava in grande, si pensava collettivamente. Non c'erano destini individuali, carriere, posti di comando, ma un'aspirazione di solidarietà, di sicurezza, di fluidità sociale, di tanta, tanta libertà, di partecipazione.
La diga di contenimento contro cui sono andati a sfasciarsi quel movimento e quella generazione è stato in Italia il sistema politico, le sue tradizioni politiche e culturali, i suoi equilibri, i suoi rapporti interni ed esterni, il suo irrigidimento, da cui deriverà la sua decomposizione. Laddove questo non si è verificato (Francia, Germania gli stessi USA) si è avuto un processo di rinnovamento della classe dirigente che ha consentito di avere uno sviluppo sicuro ed equilibrato della società.

prof. Raimondo Giunta





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